Avventura totale sulla mitica 'Mingus' nel Verdon. Di Claudio Martoglio

Il racconto di Claudio Martoglio che a fine marzo insieme a Federico Floris ha ripetuto 'Mingus', la famosa via di più tiri nelle Gole del Verdon in Francia, liberata nel 1994 a-vista da Lynn Hill con difficoltà fino all’8a. Non una performance assoluta, ma una 'pura avventura totale'.
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'Mingus' nel Verdon: in calata su L3, 8a
archivio Claudio Martoglio

È arrivata l'alta pressione che stavamo aspettando da settimane. Dobbiamo prendere la palla al balzo e non farci scappare l'opportunità. A breve inizierà a fare troppo caldo e saremo costretti a rimandare per chissà quanto tempo. Le gole del Verdon ci aspettano e il secondo capitolo su Mingus sta per iniziare.

Questa storia inizia lo scorso autunno quando insieme a Federico, grande amico e collega, siamo stati per la prima volta su questa parete. Purtroppo siamo tornati a mani vuote, ma questa volta è tutto diverso. Abbiamo studiato una logistica ben più dettagliata, abbiamo più tempo, siamo più forti, più motivati e conosciamo già le difficoltà della via dopo averla guardata qualche mese fa.

Mingus è una via leggendaria, aperta negli anni Ottanta e poi liberata da Lynn Hill nel 1994 interamente a vista. Ancora oggi è una via ambita per la sua difficoltà e soprattutto per la sua bellezza ma in generale poco ripetuta, nonostante lo splendido lavoro di richiodatura di Nina Caprez del 2019. I fortissimi ci mettono un giorno, i forti due, noi ne abbiamo tre a disposizione e l'obiettivo di scalare in libera tutte e 12 le lunghezze. Portiamo con noi un portaledge, cibo e acqua a sufficienza e soprattutto grinta da vendere.

E' sabato mattina e siamo sull'orlo della gola, nei pressi del belvedere de l'Escales. Iniziamo a calarci carichi come muli per raggiungere metà parete dove attrezzare il nostro campo base. Dopo un paio di calate raggiungiamo una comoda cengia e lasciamo una piccola parte del nostro cibo e della nostra acqua. Ci servirà per l'ultimo giorno e ci eviterà di portarci peso inutile durante i primi due. Una volta raggiunto il punto prestabilito dove abbiamo intenzione di montare la nostra amaca rigida incontriamo il primo ostacolo. Ci è stato detto da persone fidate che questo è il punto preciso, ma è molto strano. La parete non è liscia e comoda per ospitare la nostra casa sospesa e ci sembra difficile che la branda possa rimanere dritta. In ogni caso ci fidiamo ciecamente dei consigli che ci sono stati dati e soprattutto, contro ogni previsione, sta iniziando a piovere. Dobbiamo montare tutto più in fretta possibile e sperare di non bagnarci come pulcini.

Il lavoro è ben più complicato del previsto. È la prima volta sia per me che per Fede che montiamo un portaledge appesi in parete. Abbiamo fatto tutte le prove del caso a Torino nella palestra in cui lavoriamo, ma qui è un'altra faccenda. Siamo più scomodi, più infreddoliti e più impacciati. Il risultato è accettabile per la fretta che abbiamo, per il ritardo accumulato, per essere alle prime armi e per averlo fatto sotto la pioggia, ma "comodo" non è un aggettivo che userei per descrivere il nostro bivacco.

Appena la piccola perturbazione si allontana torniamo a calarci alla velocità della luce. Abbiamo perso molto tempo e la tabella di marcia per il primo giorno è ancora molto lunga. Arriviamo alla base della parete e iniziamo a scalare il primo tiro molto in ritardo, anche se per fortuna é decisamente facile ed entrambi ce lo togliamo correndo.

Nel nostro tentativo di Novembre non eravamo riusciti a guardare la seconda lunghezza, il che ci dà un'altra batosta in termini di tempistiche. Speravamo di scalarla in fretta ed entrambi al primo giro, ma purtroppo sono due a testa i tentativi che ci servono per arrivare in cima entrambi senza cadute. Ci troviamo finalmente alla base del più grosso scoglio dell'intera via. Il terzo tiro è 8a.

Ricordiamo qualcosa, ma la sezione difficile è molto tecnica e serve ripassare i movimenti con attenzione. Io sono lento nel provare le sequenze e Fede è costretto a fare la sua ricognizione al buio con il frontale sulla testa. L'ipotesi di toglierci questo tiro il primo giorno è fuori discussione. Era l'obiettivo più ambizioso nonché il più importante della giornata, ma dobbiamo fare i conti con la realtà.

Scaliamo al meglio delle nostre possibilità le lunghezze che ci separano dal portaledge provando a tirare la libera il più possibile. Fede sale un difficile 7a da primo di cordata con la frontale, controllando saldamente i nervi quando qualche appoggio e qualche appiglio si staccano sotto il suo peso. Io lo seguo da secondo ringraziando che sia toccato a lui. Purtroppo entrambi cadiamo sul passo difficile del tiro successivo. Siamo stanchi e ormai pensiamo solo alla cena che ci aspetta a soli 30 metri di distanza. Il tiro in questione non è così difficile ma è protetto quasi solo a chiodi, pochi e lontani. Fuori è buio pesto e la roccia è spesso di una qualità terribile. Capita più di una volta di dover improvvisare la linea sperando di star proseguendo nella direzione giusta o di dover rimettere al suo posto una presa rimasta in mano. Ancora una volta sono grato che non tocchi a me scalare da primo. Purtroppo nonostante una tenacia di ferro Fede si appende a pochi metri dal ledge. Io con la sicurezza della corda dall'alto riesco ad arrivare in libera alla sosta.

Siamo esausti e un po' demoralizzati. Non è tutto perduto, ma siamo molto indietro rispetto ai piani che ci eravamo prefissati. Per fortuna siamo molto bravi a prendere sul ridere le situazioni di difficoltà. Ridiamo e scherziamo prendendoci un po' in giro mentre ci godiamo le pizze che ci siamo portati per cena, tipico cibo per un pasto in parete.

La notte trascorre lenta, fredda e scomoda. Al mattino siamo tutti accartocciati e ora siamo certi che "comodo" non è l'aggettivo adatto per descrivere il nostro bivacco. Conveniamo anche però che non è la situazione adatta per fare i viziati. Ci aspetta una giornata molto lunga ed è ora di fare una bella colazione.

Le cose non possono iniziare in maniera peggiore. Ci accorgiamo infatti che durante la notte il sacchetto con metà del nostro cibo e una buona parte dell'acqua è caduto giù dal portaledge. E' rimasto solo il cordino a cui era attaccato. Dopo un rapido calcolo e un inventario molto breve capiamo che dovremo fare molta economia sul mangiare e sul bere nei prossimi due giorni. Nessuno di noi lo dice ad alta voce ma entrambi sappiamo che le cose si complicano decisamente.

Con lo stomaco vuoto e la gola un po' secca ci caliamo per iniziare le fatiche del giorno e ci ritroviamo in breve appesi ai blocchi di partenza dell'8a. Ripassiamo rapidamente le sequenze a voce e ci scambiamo qualche consiglio. Tocca a me partire. Sono teso e un po' freddo ma ho il coltello tra i denti e sono deciso a dare il massimo. Supero la prima parte difficile e arrivo a un riposo decente. I prossimi tre spit rappresentano il chiave del tiro. Prendo due bei respiri e inizio a tirare e caricare appigli e appoggi minuscoli. Senza neanche accorgermene arrivo alle prese buone dove finiscono le principali difficoltà. Da qui in catena é puro godimento. Seguono una ventina di metri di roccia tra le più belle mai toccate in vita mia. Arrivo in catena con il sorriso stampato in faccia. Non so bene come, ma sono riuscito al primo tentativo di giornata a fare il tiro più duro dell'intera via.

È il turno di Fede. Percepisco un po' di tensione ma cerco di tranquillizzarlo. Anche lui in un men che non si dica raggiunge il riposo precedente alla sezione più dura, ma appena abbandona le prese buone gli scivola un piede e cade. E' indeciso se tornare giù per fare un altro tentativo o se andare in sosta e quindi abbandonare ogni velleità di una libera integrale. Si sta chiedendo se non sia il caso di limitarsi al ruolo di accompagnatore per concedere a me di avere più tempo e possibilità di scalare la via.

Riesco a convincerlo che non è finita, che gli serve solo una pausa e che abbiamo ancora tutto il tempo necessario. Mi raggiunge e rimaniamo in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri, per una buona mezz'ora. Al suo segnale ci mettiamo in posizione. Lui con le sue mani sulle prese di partenza, io con le mie sulle corde. Sa che deve dare tutto quello che ha. Raggiunge in un men che non si dica il punto che lo ha buttato giù nel tentativo precedente e riesce senza soffi e senza sbuffi a superarlo. In pochi minuti raggiunge la sosta ed entrambi scoppiamo in un urlo fragoroso. Siamo entrambi riusciti a salire l'8a da primi di cordata.

Da qui al portaledge rimane solo il duro 7b+ di L5 da liberare. Ce la possiamo fare. Parto io da primo di cordata, ma sul passo duro cado di nuovo. Così lascio il comando al mio socio che invece con un metodo differente riesce a passare. Lo seguo in moulinette e finalmente arrivo in catena anche io. Risalendo con una jumar una fissa che abbiamo lasciato sotto il portaledge arrivo al nostro campo base e Fede mi raggiunge da secondo liberando il 6c con la roccia marcia.

Potremmo fermarci, ma rispetto a ieri abbiamo molta luce in più. È cambiata l'ora nella notte e pensiamo che sia un'opportunità troppo golosa da lasciarci scappare. Quello sopra di noi è un 7c, il secondo tiro più difficile della via. Parto io e guardo soltanto i movimenti, segno qualche presa e mi calo. Fede decide di fare un giro di ricognizione in top rope, ma sorprendentemente riesce a scalarlo interamente senza cadere. Quando scende si chiede se non sarebbe il caso di rifarlo da primo. Io penso che sarebbe una perdita di tempo e di energie, così per par condicio lo salgo anche io da secondo e riesco ad arrivare in catena.

Ormai è buio. Potremmo concludere la giornata ma siamo elettrizzati dal ritmo con cui stiamo procedendo. Decidiamo quindi di scalare finché abbiamo un briciolo di energie. Parto sull'ottava lunghezza nel buio più totale su delle gocce perfette. Poco prima di arrivare a un buon riposo mi accorgo che devo pedalare un bel pò tra una protezione e l'altra, ma ormai sono in modalità zen. In qualche modo che ancora adesso mi stupisce riesco ad arrivare in catena senza cadere. È il turno di Fede che dopo una bella lotta cade a pochi metri dalla sosta. È esausto e lo sono pure io così ci confrontiamo sul da farsi. Potremmo scendere ma 20 metri sopra di noi, a un 7b di distanza, c'è la cengia dove abbiamo lasciato parte dell'acqua e del cibo e io dopo la giornata di sciopero della fame e della sete di oggi voglio godermi una golata di acqua senza badare al risparmio. Urlando a ogni difficile movimento, stringendo i denti e ignorando la distanza spesso importante tra le protezioni, arrivo incredulo alla cengia, senza più energie e senza pelle. Anche Fede riesce a salire in libera il tiro. Beviamo e mangiamo per la prima volta senza preoccupazioni da questa mattina e ci caliamo fino al campo base. Dopo aver sgranocchiato qualcosa la giornata è davvero terminata. Mi infilo nel sacco a pelo e mi abbandono al meritato riposo

Tutto d'un tratto sento la branda muoversi e mi ritrovo sottosopra. Il portaledge si è ribaltato. Tutto è assicurato alla sosta, ovviamente noi compresi, quindi nulla cade giù. Ma lo spavento è importante. Il posto in cui abbiamo piazzato la nostra amaca rigida non è per niente adatto. Lo sapevamo bene mentre la montavamo, ma la fretta e la fiducia nelle parole di chi ci ha consigliato lo spot, sicuramente dette in buona fede, ci hanno fregati. Ci mettiamo una buona ora di lavoro a risistemare il nostro letto sospeso e finalmente, questa volta per davvero, possiamo chiudere gli occhi. Sappiamo entrambi che dormire non sarà una passeggiata. Oltre al freddo e alla scomodità questa notte si aggiunge anche la paura che la situazione si ribalti di nuovo.

Ci svegliamo la mattina ancora più incriccati e indolenziti del giorno precedente. Le dita sono cotte, la pelle è finita e i tagli sui polpastrelli cominciano a bruciare, ma non abbiamo tempo per lamentarci. Dobbiamo impacchettare il portaledge, riempire il saccone e muoverci alla svelta.

Risalgo sulle fisse i due tiri sopra di noi e recupero il mio compagno a cui tocca ancora liberare l'ottava lunghezza. Riesce nell'impresa e mi raggiunge con le energie ai minimi storici. Ci tiriamo con le jumar sul 7b scalato la sera prima da entrambi e finalmente siamo in piedi sulla comoda cengia da cui parte il business dell'ultimo giorno di scalata. Il terzultimo tiro è un 7b+ molto duro e aleatorio. Fede parte per primo per una rapida perlustrazione, ma è molto in difficoltà. E' stanco e ho paura che stia un po' perdendo la motivazione. In alto fa molta fatica e riesce a provare i singoli movimenti a malapena. Quando scende lo guardo in faccia è capisco che tira un'ariaccia. Parto io con la corda dall'alto per risparmiare qualche energia. Mi ricordo i movimenti abbastanza bene dal nostro tentativo di Novembre e riesco al primo giro, non con poche difficoltà, a raggiungere la sosta. Torno alla cengia per tenere Fede che dopo pochi metri cade sfinito. Capisco che la situazione si fa ostica e che ancora una volta sta meditando se scendere e riprovare o evitare di perdere tempo e supportare me per gli ultimi due tiri mettendo in secondo piano la sua salita. Riesco nuovamente a convincerlo a fare una bella pausa, questa volta di un'ora di orologio, per riposare e recuperare le energie e soprattutto la grinta che ho paura se ne stia andando irrimediabilmente.

Per la prima volta in tre giorni ci giriamo con le spalle alla parete e ci ricordiamo in che posto incantevole ci troviamo. Un po' mi vergogno di essere in un paradiso simile e aver guardato per 72 ore solo il muro di fronte e mai il mondo intero che ci si apre alle spalle.

Il panorama verdoniano è pazzesco e richiama sempre in me uno scenario preistorico. L'immenso canyon, le distanze infinite, il vuoto sotto i piedi e i giganteschi grifoni/pterodattili che sfrecciano in tutte le direzioni, mi teletrasportano in una dimensione giurassica. Ci godiamo questo spettacolo in silenzio per 60 minuti esatti.

Quando Fede è pronto per partire con gli occhi della tigre e gli artigli del puma torniamo con la testa a questa era geologica. In poco più di 10 minuti raggiunge l'ultimo ancoraggio dell'ultimo grosso scoglio della via tra urla sguaiate sue e mie. Ormai ci è chiaro che abbiamo la vittoria in tasca, è solo questione di tempo. A fatica saliamo le due lunghezze che ci separano dal pianoro sommitale esaurendo le ormai ridicole energie rimaste per recuperare portaledge e saccone oltre il grosso tetto dell'ultimo tiro, mentre infuria un vento gelido. Una volta raggiunta la vetta ci sleghiamo, ci abbracciamo e ululiamo al tramonto come lupi.

I fortissimi ci mettono un giorno, i forti due. Noi ce ne abbiamo messi tre e siamo usciti al pelo, sudandoci ogni singolo spit, anche sul facile. Gli esperti non perdono metà del cibo e dell'acqua e non ribaltano nessun portaledge. Noi abbiamo fatto entrambe le cose oltre ad aver commesso altri vari errori di valutazione.

I mille imprevisti e una logistica non proprio impeccabile ci hanno costretti ad accettare dei compromessi, salendo da secondi di cordata qualche lunghezza in più del previsto e liberando i vari tiri della via non sempre nell'ordine crescente dal basso verso l'alto.

Ma alpinismo e arrampicata vogliono dire anche questo. Saper azzardare tra rischio e prudenza, andare avanti anche con qualche punto interrogativo, rinunciare a qualche pretesa per un obiettivo più grande e imparare dai propri errori per le esperienze future.

Se fossimo fortissimi ed espertissimi sarebbe stata una salita come tante. Per noi è stata pura avventura totale.

- Claudio Martoglio

Mingus, 300m, 8a max, 7a+/b obb
[6c+, 7b, 8a, 7a, 7b+, 6c, 7c, 7b+, 7b, 7b+, 7a+, 7a+]




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