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L'apparenza inganna: la CIMA Research Foundation stima che la carenza di neve sulle Alpi sia, nel mese di marzo 2023, di -69% rispetto alla media degli ultimi 12 anni. Foto scattata dicembre 2021 sul Corno del Renon, con vista sulle Odle, il Sella, Sassolungo, Sassopiatto, Marmolada, Sciliar, Catinaccio
Fotografia di Planetmountain
La neve dell’inverno 2022-23 è stata scarsa, e rischia di aggravare la siccità che interessa l’Italia fin dallo scorso anno
Fotografia di CIMA Research Foundation
La situazione della neve sopra il Rifugio Dibona sotte le Tofane, Dolomiti, inizio marzo 2023
Fotografia di Alberto De Giuli
Valle di Daone, marzo 2023
Fotografia di Luca Bacer
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Crisi idrica sulle Alpi, 69% di neve in meno rispetto alla media

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Le Alpi sono a corto di riserve idriche, a dirlo uno studio condotto dal centro internazionale per il monitoraggio ambientale della CIMA Research Foundation. A rischio la disponibilità di acqua estiva.

Sulle Alpi il 69% di neve in meno rispetto alla media. A dirlo è l’analisi condotta dal centro internazionale per il monitoraggio ambientale della CIMA Research Foundation che, come di consuetudine, dopo il 4 marzo ha fatto il punto sulla situazione nivologica alpina e appenninica. I risultati parlano chiaro, “la scarsità di neve registra numeri peggiori rispetto al 2022 e si prospettano implicazioni per la disponibilità di acqua estiva” spiegano dal Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale. Una situazione estremamente critica se si pensa che, a oggi, il corso del fiume Po sta vivendo un deficit idrico del 66% mentre quello dell’Adige raggiunge ormai il 73%.

A soffrire maggiormente la mancanza di neve è il Trentino Alto-Adige, con un deficit superiore al 60% che interessa particolarmente il Trentino orientale, dal Lagorai fino alla Marmolada. Meglio le Alpi occidentali, con diverse zone di accumulo al confine con la Francia. Questi i dati emersi con le misurazioni condotte dopo il 4 marzo, giorno di massimo accumulo nevoso in Italia.

Sugli Appennini la situazione non è certamente migliore. Si perdono così le speranze accese dalle nevicate di fine gennaio, quando su Appennini e Alpi occidentali si sono concentrate nevicate intense. Un accumulo che, come evidenziano i dati, non è stato sufficiente per colmare il deficit idrico a cui molte aree erano ormai sottoposte da mesi. Per far sì che si formi una riserva idrica per la stagione è infatti importante che l’accumulo nevoso avvenga in modo costante e in un tempo relativamente lungo con temperature basse. Negli ultimi mesi abbiamo invece assistito a nevicate intense seguite, subito dopo, da rialzi termici e temperature miti con conseguente fusione anticipata del manto nevoso. Un’evidenza che è stata confermata empiricamente grazie alle foto scattate dai satelliti Sentinel-3 di Copernicus che, in un’immagine scattata lo scorso 5 marzo, mostrano una sensibile diminuzione della copertura nevoso nelle Alpi occidentali. Così tanto che "in quest'area l'equivalente giornaliero in acqua del manto nevoso valutato nella regione per l'inverno 2022/2023 è stato costantemente e significativamente inferiore al precedente record del 2021/2022 e al valore invernale medio calcolato nel periodo compreso tra il 1998 e oggi", spiegano gli esperti di Copernicus.

Cosa dobbiamo quindi mettere in conto per il prossimo futuro, soprattutto ora che l’estate è alle porte? La carenza di risorse idriche si è fatta sentire nella stagione estiva 2022 e si farà certamente sentire anche nella prossima. Come? Per le attività umane si parla di calo nella produzione di energia idroelettrica, maggiore fabbisogno di acqua per l’irrigazione, conseguente diminuzione di acqua per le nostre attività. Ma non c’è solo questo. La mancanza di acqua dovuta alla siccità ha conseguenze estreme sull’ambiente naturale e sugli ecosistemi. Poca acqua significa che la vegetazione boschiva si presenta secca, come in autunno, con un conseguente aumento del rischio incendi. L’estate 2022 è un esempio chiaro, dove caldo e siccità hanno portato in Europa alla perdita di oltre 758mila ettari di boschi a causa degli incendi. Vuol dire 7580 chilometri quadrati di foreste. Ovviamente perdita di bosco significa anche perdita di varietà animale, che trovandosi senza più un habitat è costretta a cambiare luogo di vita.

Conseguenze drammatiche si avranno anche su fiumi e laghi, dove la scarsità di acqua porterà a una moria di pesci e fauna ittica, come già accaduto negli anni passati lungo alcuni fiumi dell’Appennino e come successo nella primavera 2022 in Friuli Venezia-Giulia, lungo il corso dell’Isonzo. A fine marzo pesci siluro, anguille, trote marmorate, gamberi di fiume e molte altre specie sono state trovate agonizzanti.

Una perdita, sia quella boschiva sia quella faunistica, che potrebbe richiedere anni prima che il disequilibrio creato torni a essere pareggiato. Questo a patto che le attuali condizioni, esasperate dalla crisi climatica e dai cambiamenti climatici che tutti stiamo sperimentando sulla nostra pelle, non si ripresentino con sempre maggior frequenza.

di Gian Luca Gasca

Info: www.cimafoundation.org

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