'Il mistero del Phandambiri' aperta in Mozambico da Dell'Agnola, Giacomini, Giordani e Paoletto

Sabato 9 agosto in Mozambico Manrico Dell'Agnola, Antonella Giacomini, Maurizio Giordani e Nancy Paoletto hanno completato 'Il mistero del Phandambiri' sul pilastro sud-est del Phandambiri, anche conosciuto come Monte Panda. La via raggiunge la cima principale della montagna e arriva pochi giorni da 'O caminho dos cogumelos', aperta dai compagni di spedizione Mirco Grasso e Samuele Mazzolini sulla parete est
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L'apertura di 'Il mistero del Phandambiri' sul pilastro sud-est del Phandambiri / Monte Panda in Mozambico (Manrico Dell'Agnola, Antonella Giacomini, Maurizio Giordani e Nancy Paoletto 08/2025)
archivio Verso il Phandambiri

Dopo la bella salita di Mirco Grasso e Samuele Mazzolini, che ha portato i due scalatori, accademici del Cai, sull’anticima nord del Phandambiri, sabato 9 agosto altri due accademici, Maurizio Giordani e Manrico Dell’Agnola insieme a Nancy Paoletto e Antonella Giacomini hanno terminato la loro via, Il mistero del Phandambiri, raggiungendo, lungo il pilastro sud-est, la cima principale della montagna a 1436 metri.

L’itinerario sarebbe voluto essere una facile via normale per l’accesso alla vetta, invece sono stati necessari 19 tiri per superare gli 800 metri di dislivello con 1100 metri di sviluppo, dei quali solo i finali 150 m attraverso cenge e banche erbose, sino all’ultimo salto di roccia per raggiungere la vera cima. Il tutto in circa 6 giorni e due bivacchi.

Già dalla ricognizione dei primi giorni, con la quale i quattro alpinisti avevano perlustrato tutti i versanti del massiccio di granito, era risultato che la montagna non presenta pareti facilmente accessibili. La scelta è quindi ricaduta sullo spigolo sud-est che sovrasta il campo base e che appare il versante più vulnerabile del massiccio. Numerose le sorprese: il granito si è dimostrato subito molto compatto, privo di fessure, inchiodabile con sistemi tradizionali, con placche di aderenza che hanno confermato ancora una volta come Maurizio Giordani, che ha aperto tutti i tiri, sia un "artista" nell’arrampicata tecnica. La parte più impegnativa: i 5 tiri centrali verticali con passaggi di 6a e 6b e la placca finale con un elegante movimento di 6c in equilibrio sull’unico appiglio presente.

Per Maurizio Giordani "questa è stata un’esperienza completa e complessa, attraverso un itinerario lungo e mai scontato, dove non è permesso sbagliare sia per la lontananza delle protezioni sia per il fatto che ci troviamo in un luogo isolato, dove anche un piccolo incidente può diventare un problema. È una salita che ha richiesto abilità nella lettura della parete. Siamo molto soddisfatti, perché il progetto prevedeva di raggiungere la cima in quattro e così è stato; anche se più complicato del previsto, ognuno ha realizzato il proprio sogno".

Manrico Dell’Agnola aggiunge che "fatti i primi tiri e valutata la caratteristica della roccia non ho avuto alcun problema a lasciare il comando a Maurizio. Placche delicatissime, l’impossibilità di chiodaree passaggi sui piedi rispecchiano precisamente la sua arte. Inoltre devo aggiungere che prima di partire ero molto preoccupato. Malgrado la ricognizione dello scorso anno, che ci ha permesso di stabile che la roccia era granito, non avendolo arrampicato non potevo garantire al cento per cento la sua scalabilità. L’apertura di due vie di qualità e di una probabile terza, che Mirco e Samuele stanno chiodando in questi ultimi giorni sulle pareti strapiombanti di un satellite, mi danno ragione e per me questo è un successo e una grande soddisfazione."

Il nome che i quattro hanno deciso di dare alla via Il mistero del Phandambiri trae origine da ben due misteri. Tutte le ricerche fatte in questi due anni di preparazione danno la montagna mai salita, al massimo si parla di solo alcuni tentativi da parte di un fantomatico pastore. Giordani e compagni nella sezione più impegnativa hanno trovato una serie di golfari e alcuni spit rudimentali; materiali riconducibili agli anni ‘80 posizionati inoltre in punti privi di logica. Nessuna traccia prima, nessuna traccia dopo. Sulla cima nessun segno evidente di passaggio. Da qui le supposizioni più fantasiose, che introducono il secondo mistero: la montagna, in un periodo indefinito, è andata letteralmente in fiamme. Il devastante incendio, probabilmente dovuto alla perdita di controllo dei fuochi che vengono accesi per liberare il bosco dall’erba secca e alimentato dal vento quasi sempre presente, ha lasciato tracce su tutte le pareti sino sulle cime. Questo potrebbe far pensare che prima dell’incendio, alcuni tratti di parete potessero essere saliti utilizzando la vegetazione erbosa che successivamente bruciata ha lasciato posto ad ampie macchie di granito bianco. Inutile dire che superato il primo momento di delusione e perplessità si è fatta strada la curiosità e la voglia di indagare sui due fenomeni: per questo sarà ancora fondamentale l’aiuto di Anna Mazzolini, mediatrice culturale della spedizione. Una trama eccezionale per quello che sarà il film, che la spedizione conta si arricchisca via via di particolari sempre più misteriosi.




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