Rocchetta Alta di Bosconero, Dolomiti: sulle orme di Renato Panciera e Nanni de Biasi

Il report di Michele Lucchini che, insieme a Tommaso Marchesini e Dimitri Bellomi, ha collegato la Via Minorata e la Via Minorenne, due vie aperte nel 1984 da Renato Panciera e Nanni de Biasi sulla Pala del Rifugio della Rocchetta Alta di Bosconero nelle Dolomiti.
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Sulla Via Minorata e Minorenne, Rocchetta Alta di Bosconero nelle Dolomiti (Michele Lucchini, Tommaso Marchesini, Dimitri Bellomi 08/2020)
archivio Michele Lucchini

Aprire una via in Bosconero era per me una delle più grandi ambizioni. Ogni volta che vado in questo tempio dell’alpinismo dolomitico mi guardo attorno e l’ultima volta, un mesetto fa, l’occhio è caduto su questa parete situata poco a destra della mitica Nord. Rispetto a quest’ultima, sarà alta la metà, ma ha le stesse caratteristiche: verticalità assoluta e zone di splendide placche grigie che serpeggiano tra grandi strapiombi gialli.

Consulto la guida di Angelini e Sommavilla (1983!) e pare non ci sia niente. Chiedo un po' in giro e nessuno sa niente. Chiedo a Nicola, il rifugista e dopo alcune ricerche ancora niente. Propongo a Tommaso Marchesini e Dimitri Bellomi di provare. Insieme abbiamo fatto tante vie e qualche prima. Ci conosciamo e funzioniamo. Il meteo è perfetto.

Reduci da qualche bagordo serale in compagnia dei ragazzi del rifugio attacchiamo la via neanche troppo presto. Il programma è questo: seguire il facile, la bella roccia e, se la via merita, mettere giù qualche chiodo per le ripetizioni. Fin dall’inizio il sogno diviene realtà: la roccia, come spesso succede in Bosconero, è un grigione slavato spaziale. La conformazione della parete si presta ad un’arrampicata entusiasmante su gradi classici ma sostenuti.

Tommi, il solito fuoriclasse, risolve placido due bellissimi tiri di placca. Riparto io e cavalco con poca grazia delle lame e dei diedri, sempre di roccia perfetta. Ed ecco che succede di nuovo: mi raggiungono in sosta i butei: "ma non hai visto il chiodo?!". Non l’avevo visto e diciamolo, avrei preferito non vederlo (anche se la svista a posteriori ci sarebbe costata una bella figura del cavolo). Vabbè, decidiamo di proseguire ma a pochi metri dalla fine (mancheranno 150m non difficili di roccia apparentemente più scadente) si è fatto tardi e non abbiamo assolutamente idea di come scendere. Se saliamo in vetta rischiamo il bivacco e l’indomani si lavora.

Buttiamo le doppie nel vuoto perché dalla linea di salita, visti i traversoni che abbiamo fatto, è impossibile scendere. Colpo di scena: con 55 metri arriviamo ad una cengietta sospesa dove troviamo una vecchissima sosta di una via di artificiale che attraversa degli enormi tetti sulla sinistra. Capiamo che la parete non è vergine.

Torniamo al rifugio con quel chiodo piantato in testa. Chiedo a Nicola se per caso ha un libro del rifugio. "Si!". E me lo da. Apro, e la prima via relazionata nell’84 (!) pare coincidere con la seconda parte della via, mentre la seconda con la "nostra" prima parte. Le vie si chiamano la Minorenne e la Minorata e sono aperte da un gigante silenzioso dell’alpinismo dolomitico: Renato Panciera, insieme a Nanni de Biasi. Panciera era uno scalatore che negli anni ’80 aveva un grado in arrampicata sportiva da capogiro ed apriva vie su pareti selvagge con pochissimi chiodi su alte difficoltà. Era poi quello delle invernali bestiali: il Pilastro Fiume, lo Strobel e, soprattutto, quell’inspiegabile Philipp-Flamm in giornata il 27 dicembre 1988. Molto bene, molto molto bene.

Al rifugio ci confrontiamo davanti ad una birra, poi a due, poi a tre. Non solo non è una prima, ma abbiamo messo dei chiodi collegando due vie di Panciera. L’indomani mi faccio coraggio e lo chiamo. Mi sembra l’unica cosa intelligente da fare.

Lui mi risponde gentilissimo: "ah non preoccuparti.. magari ora qualcuno va a farla! Delle mie vie una delle uniche ripetute è Libidine Grigia…" e inizia a raccontarmi storie pazzesche di un alpinismo estremo e silenzioso.

Visto il tono cordiale mi sono concesso di chiedergli come mai lasciavano le vie schiodate, se per etica o per altri motivi. Lui mi risponde: "Io non amavo molto i chiodi: un paio di volte mi sono usciti e ho fatto dei bei voli. Quindi era sulle mie capacità che contavo. Non bisogna volare mai." Infine gli ho chiesto come cavolo erano scesi e mi ha detto che dalla vetta si riesce abbastanza agevolmente - espressione che in alpinismo risulta piuttosto relativa - senza doppie. Della misteriosa via di artif invece non sa niente neanche lui.

Scrivo quindi questo articolo perché credo che questa via meriti di essere (ri)scoperta per una serie di motivi: prima di tutto perché è bellissima e verticale; la roccia è perfetta a parte la seconda metà dell’ultimo tiro da noi percorso; è vicino a rifugio, ben più breve delle grandi classiche della nord e la discesa rapidissima. Quindi in caso di meteo incerto può essere un’opzione da considerare. La via è (da noi) chiodata con 3 chiodi alle soste e pochi chiodi sui tiri (da 1 a 4 chiodi su tiri di circa 40m e i passaggi non sono azzerabili).

Subito dopo la via, su al rifugio, il gusto che avevamo in bocca era decisamente agrodolce. Ma dopo la rassicurante conversazione con Panciera - che ancora ringrazio per la gentilezza - e dopo aver lasciato sedimentare qualche giorno l’accaduto, crediamo di aver piantato quei chiodi in buona fede e di aver vissuto insieme una giornata mitica, in uno dei luoghi più belli e affascinanti delle Dolomiti.

La via ora si presta a diventare una piccola classica del luogo, ma chi vorrà arrivare in vetta dovrà affrontare ancora qualche incognita. O magari come per Navasa e KCF, ci si accontenterà di finire poco prima.

di Michele Lucchini

SCHEDA: via Minorata e Minorenne, Bosconero, Dolomiti




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