Grandes Jorasses e la Colton - Macintyre per Francesco Rigon e Edoardo Saccaro

Il racconto di Francesco Rigon che insieme a Edoardo Saccaro che ha ripetuto la famosa Colton - Macintyre, aperta da Nick Colton e Alex Macintyre nel 1976. Un intenso viaggio nel cuore della parete nord delle Grande Jorasses nel massiccio del Monte Bianco.
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Colton - Macintyre alle Grandes Jorasses: goulotte centrale
Francesco Rigon, Edoardo Saccaro

Non c’è due senza tre… soprattutto quando si parla di pareti Nord, così dopo aver salito le nord di Cervino e Eiger è finalmente arrivato il momento della mitica muraglia del Grandes Jorasses.

La via Colton-Macintyre è dopo la Cassin allo Sperone Walker la più famosa sulla parete, e mentre la mitica via del "Risolutore" (il soprannome di Riccardo Cassin ndr) è praticamente una via di roccia, la Colton è una vera via di misto che alterna pendii di neve e ghiaccio abbastanza ripidi a tratti in goulotte stupendi, e passaggi di misto tutt’altro che banali ed esce a pochi metri dalla punta più alta del Grandes Jorasses 4208 m.

L’estate appena trascorsa è stata caratterizzata da un meteo un po’ pazzerello che ci ha fatto tribolare non poco, ma il brutto tempo non è sempre una cosa che dispiace, perché le pareti come quella del Grandes Jorasses hanno bisogno delle umide nevicate estive per ricoprirsi di quel velo di ghiaccio, chiamato Alpine Ice, che le rende più docili e premette di superare più facilmente alcuni passaggi, altrimenti estremi su roccia. Così spesso nelle giornate di brutto a luglio e agosto il mio pensiero è andato a questa montagna, che corteggiavo da molti anni, direi da quando nel 2014 delle condizioni a dir poco straordinarie hanno permesso a molte cordate di salire questa parete, mentre all’epoca io non mi sentivo ancora pronto e certo non conoscevo molti alpinisti in grado di affrontare una parete come questa con me. Per fortuna i tempi sono cambiati!

Così mentre mi preparavo per partire per una vacanza in Corsica, Sacca (Edoardo Saccaro, un collega Guida Alpina della Valle d’Aosta, con cui avevo già salito la nord dell’Eiger) mi manda una foto della parete, la guardo velocemente, sembra in condizioni, così la mia risposta è stata laconica: "Sembra buona, partiamo!" non è servito aggiungere molto altro, il meteo è dalla nostra: l’alta pressione è confermata. Due giorni dopo sono sulla A4 ad "imprecare" per un incidente a Brescia che mi fa perdere più di un’ora.

Arrivo verso l’ora di pranzo da Sacca che aveva già preparato una ottima pasta al pomodoro, penso me ne abbia servito un piatto da 2 etti, ma lo mangio volentieri, anche perché so che da lì in poi le libagioni non saranno abbondanti, Edo ne avrà mangiati 3 etti ma conoscendolo non me ne sono stupito! Ultima occhiata al meteo che conferma la nostre aspettative: il giorno seguente sarà bellissimo, poco vento, forse solo un po’ freddino, ma d’altronde è anche metà ottobre.

Alle 13 siamo in macchina direzione Chamonix, lasciamo la mia auto a Courmayeur, visto che la discesa avverrà dal versante italiano della montagna, mentre Maria, un’amica di Edo, con la scusa di fare un po’ di shopping a Chamonix ci accompagna fino alla stazione del treno, che dalla bella cittadina francese porta alla Mer de Glace.

Saliamo sul primo treno per Montenvers e alle 15:30 siamo alla piccola stazione che si affaccia su quel che resta del grande ghiacciaio vallivo della Mer de Glace, qui troviamo il fortissimo Korra Corrado Pesce, uno dei maggiori esperti di questa parete, che ci aspettava per farci "l’in bocca al lupo".

Colgo l’occasione per chiedergli come vede le condizioni attuali, anche lui non è di molte parole: "Sembra un po’ secca, ma se siete motivati andate su!" e ci conferma che la via non viene ripetuta da qualche stagione… Così visto che la "motivazione" non ci manca ;-) partiamo per l’accogliente locale invernale del rifugio di Leschaux.

In un paio d’ore raggiungiamo il nostro nido d’aquile, inerpicato sulla destra orografica della valle a circa 2400mt di quota. Prima del buio, dopo aver risalito le lunghissime scalette che portano al rifugio, riusciamo a dare un’occhiata alla parete da vicino e soprattutto studiamo l’avvicinamento sul ghiacciaio, tutt’altro che banale al buio e senza traccia.

Mangiamo un ottimo piatto di tortellini in brodo (uno degli alimenti che preferisco portare in avventure come questa dove c’è ancora un minimo di confort e si possono evitare i liofilizzati), che condiamo con mezza confezione di pecorino romano DOP trovato in rifugio – anche i francesi apprezzano il formaggio italiano evidentemente, a scanso di equivoci la confezione era già aperta e abbiamo evitato che se lo mangiassero i topi (mai lasciare cibo nei bivacchi perché alla fine diventa solo un rifiuto, o peggio un’esca per i topi).

Dormiamo giusto qualche ora, sempre meglio di niente. All’una suona la sveglia e Edo ha già fretta di partire, facciamo colazione velocemente, riempiamo le borracce e si comincia, alle 2:00 siamo già legati sul ghiacciaio dopo aver disceso le lunghissime scalette del rifugio.

All’inizio sulla neve troviamo una traccia, la seguiamo, ma presto ci accorgiamo che va troppo a sinistra - forse si dirige verso l’attacco del Linceul - così con un piccolo traverso in mezzo ai crepacci ci riportiamo sulla linea che avevamo studiato la sera precedente. Continuiamo a salire fermandoci di quando in quando per orientarci, incredibilmente senza grandi intoppi, in circa 2 ore e mezza siamo alla prima terminale, non senza qualche passaggio circense per saltare i crepacci che non riusciamo ad aggirare. Devo dire che abbiamo superata davvero velocemente questo labirinto di crepacci, ma non va assolutamente sottovalutato, consiglierei di arrivare un po’ prima il giorno precedente e farsi la traccia per andare veloci all’attacco la notte seguente, in alternativa si può dormire nei pressi della terminale, ma a mio avviso è più confortevole dormire al caldo del rifugio.

La prima terminale l’abbiamo superata centralmente su un muretto verticale di ghiaccio divertente non più di 7/8m. Mentre la seconda più semplicemente stando a destra vicino alla parete. Da qui saliamo velocemente in conserva i 400m del primo nevaio, un po’ noioso tutto su Alpine Ice. Arrivati alla base della goulotte centrale faccio sosta e ci fermiamo un attimo per spegnere le frontali, finalmente inizia a far giorno. Le condizioni sembrano ancora buone e siamo felicissimi.

La prima goulotte è da antologia, 120m a 80°/85° su ottimo ghiaccio. In meno di un’ora siamo già al secondo nevaio e sopra di noi il tiro duro, ma da questo punto la musica cambia, la parete si fa più secca e c’è molta meno neve, ad ogni modo il tiro di ghiaccio non è formata, la variante Alexis sembra troppo effimera per salire così non ci resta che salire su roccia qualche metro a destra del tiro originale. Le difficoltà non sono elevatissime, sarà M6/M7, ma con lo zaino e le protezioni un po’ precarie mi prendo il mio tempo per salire questi 60m.

Superato questo ostacolo saliamo più semplicemente su goulotte e poi sul terzo nevaio, che è di ghiaccio nero e molto sottile, una "gioia" per i polpacci. Arrivo sotto le rocce dell’anfiteatro roccioso che sbarra la via e faccio sosta su uno spuntone. Da qui inizia una sezione di misto che con andamento ascendente verso sinistra in 5/6 tiri porta allo sperone Walker.

In questo tratto di via c’era pochissimo ghiaccio e la roccia era abbastanza friabile, inoltre i primi tre tiri sono abbastanza difficili e le protezioni scarse. Così seguendo la logica della linea più semplice abbiamo seguito la prima parte della Colton e l’uscita di Extrem Dream, visto che la goulotte finale era formata. In queste condizioni le difficoltà si aggirano sull’M5 su misto e V su roccia, un bel "palo" se contestualizzato al posto dove siamo.

Mentre recupero Edo sullo Sperone Walker fuori dai tiri di misto, finalmente mi rilasso, è il tramonto ma le difficoltà sono alle spalle. Questo ultimo tratto è stato snervante perché una ritirata sarebbe stata quasi impossibile e una volta superate le terminali fino a questo punto non c’è neanche un angolino dove bivaccare, per cui era obbligatorio arrivare allo sperone prima del buio e ci siamo riusciti per un pelo…

Da qui per un centinaio di metri abbiamo seguito la cresta e successivamente una facile goulotte adagiata che sbuca su una selletta. Con un ultimo tiro di misto di 60m si arriva sotto la cornice sommitale. Ciliegina sulla torta la cornice è enorme e strapiomba sul versante nord, ormai pensavamo di essere in cima ma questo ennesimo ostacolo ci sbarra la via, dopo un momento di sconforto in cui bucare la cornice sembrava l’unica soluzione, arriva un intuizione! Guardando bene l’andamento della cornice, a destra sembra esserci un passaggio, così Edo si infila sotto la cornice fino ad arrivare ad un punto dove è meno aggettante e con un paio di passaggi su neve verticale sbuca sulla cima pianeggiante della Punta Walker. Lo seguo veloce e pochi istanti dopo ci abbracciamo! Siamo entrambi esausti, addirittura troppo stanchi per gioire dopo aver superato questa muraglia!

Senza perdere altro tempo visto che sono le 22 e stiamo tremando di freddo iniziamo a scendere. Qualche centinaio di metri sotto la cima ventosa la neve diventa soffice e il vento si placa, senza indugiare scaviamo una bella piazzola nella neve, con l’unico materassino che abbiamo, gli zaini e le corde creiamo una discreta superficie isolata. Una volta entrati nei sacchi a pelo iniziamo finalmente a scaldarci, così mi dedico a sciogliere un po’ d’acqua sia per bere un po’ sia per mangiare. Sta sera il menù prevede pasta alla bolognese della Lyofood, nonostante sia uno dei miei gusti preferiti non ho molto appetito, vuoi per la stanchezza vuoi per la quota… Ad ogni modo dopo qualche boccone ci addormentiamo, la notte è serena e a parte la posizione non proprio comodissima visto che condividiamo l’unico sacco da bivacco non patiamo troppo freddo e l’alba arriva abbastanza presto.

Ci svegliamo con calma e all’alba usciamo controvoglia dai nostri caldi sacchi a pelo. Stanchi ma finalmente più rilassati. Ora bisogna scendere, almeno la discesa fila via liscia e tutto sommato rapida. Arrivati a Courmayer ritroviamo Maria che ci accoglie con del the caldo e due brioche! Che lusso!

Grazie a Maria per la logistica, a Cesare per il video e alla mamma di Edo che ci ha preparato un banchetto al rientro! Ovviamente anche ad Elena che resta a casa a preoccuparsi per noi…

Un ringraziamento va anche a Karpos che mi veste sempre perfettamente per queste avventure.

di Francesco Rigon

Info: francescorigon.com


Note: Grandes Jorasses - Colton Macintyre parete Nord
Punta Walker difficoltà ED V WI5 M6 lunghezza 1200m


Materiale
Due mezze corde da 60m
6 viti da ghiaccio (anche corte)
Friend dal 0,2 al 1 BD
Qualche chiodo da roccia
Due Piccozze (con martello)
Ramponi (io mi sono trovato bene con i bipunta)

Materiale da bivacco
Sacco a pelo
Materassino
Sacco da bivacco
Jetboil



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