Velino: una traversata con gli sci nel Giardino Barocco degli Appennini

Una traversata in sci dei monti del gruppo del Velino, un’esplorazione che regala silenzio e panorami unici di montagne ancora selvagge nell’Appennino Centrale. Di Alberto Sciamplicotti.
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Traversata del Velino: il Vallone dei Briganti e la piramide del Velino
© Massimo Marconi

Un giardino barocco. Ecco a cosa somigliano maggiormente i monti del Gruppo del Velino. Varcare la soglia dei suoi fondovalle è come entrare in uno di quei giardini nati in Francia fra il cinquecento e il seicento. Quegli spazi costruiti sul principio di base delle teorie di Cartesio in cui "Lo spazio infinito può essere diviso in parti finite". Un luogo in cui effetti scenici immaginifici e grandiosi riescono a stupire il visitatore con colpi di scena fantastici.

Il gruppo del Velino non è infatti un massiccio definito da una sola dorsale come ad esempio la Maiella. Si tratta piuttosto di un insieme di creste, valli, pendii, colli che s’intersecano, si uniscono si fondono uno nell’altro. Come entrando in un giardino barocco ostacoli sono posti a chiudere la vista per svelare poi improvvisamente una nuova meraviglia, la siepe del bosso tagliata a labirinto che conduce alla fontana zampillante che a sua volta è la porta per il sentiero che conduce a un casino di caccia, così valli si aprono su pareti e colli e ogni cresta conduce in un nuovo angolo dove lo sguardo può spaziare verso meraviglie sempre nuove.

E’ stata proprio questa voglia di ricercare lo stupore che ci ha condotto, durante tre giornate delle metà di febbraio, attraverso il giardino barocco del Velino. Perché nonostante il Gruppo del Velino abbia accessi facili, direttamente dall’autostrada che dalla capitale d’Italia conduce alle città dell’Aquila e di Pescara, al suo interno ancora si conservano ampie zone in cui il selvaggio è il compagno di viaggio che si trova al fianco chi decide di attraversare questo massiccio.

L’approccio è iniziato così dalla Valle dell'Asina: qui siamo passati vicino ad alcuni antichi ricoveri di pastori, piccole strutture in pietra che hanno svolto questa funzione fin dal medioevo, quando qui venivano a cercare rifugio quanti fuggivano dalla guerra che opponeva le armate di Corradino di Svevia a quelle di Carlo d’Angiò. Un uso ripreso anche durante la seconda guerra mondiale, nel momento in cui la Linea Gustav fu sfondata dall’avanzata degli eserciti delle truppe Alleate.

Più in alto, sotto i pendii del Monte Morrone, abbiamo lasciato i pesanti zaini nel piccolo bivacco di Fonte La Vena per proseguire leggeri, verso la cima. Una discesa su neve polverosa colore rosso sangue, riflesso del sole che stava scomparendo dietro una cresta, è stato il regalo inatteso prima delle ore che avremmo passato davanti alle fiamme del camino, presi nei tanti racconti che il clima dei bivacchi fra amici sempre richiama.

La mattina successiva, la neve si è aperta davanti alle spatole dei nostri sci scricchiolando. Il freddo della notte non aveva di certo accelerato la sua trasformazione e ora non bastava nemmeno il debole calore dei raggi di un sole lontano per distruggere quei cristalli di sogno. Una brezza fredda spirava però sulle cime intorno, sollevando nuvole di neve: un suggerimento a modificare il percorso che avevamo ipotizzato. Accantonata l’idea di scendere al Lago della Duchessa e risalire poi al Murolungo, abbiamo preferito scendere direttamente verso la valle del Campitello per poi salire lungo il vallone che conduce al Valico del Puzzillo guadagnando così i pendii che ci avrebbero portato al Rifugio Vincenzo Sebastiani. Al valico, Massimo non si è lasciato scappare l’occasione per scendere una ripida spina innevata. Così, ho provavo a sfruttare al meglio il momento scattando qualche foto delle sue curve saltate con lo sfondo della parete del Costone.

Per chi è abituato a pensare all’Italia come a una penisola circondata da mari e coronata solo in alto dalle montagne, potrebbe sembrare strano immaginare la difficoltà di entrare in un rifugio appenninico: anche qui, come sulle più blasonate Alpi, bisogna però spesso scavare gradini verso il basso per arrivare alla porta. Per fortuna, lo staff che gestisce il rifugio ha braccia forti e grandi capacità di gestione: così, oltre a trovare l’ingresso giù pulito, ad attenderci c’è anche una succulenta e abbondante cena e, la mattina successiva, una colazione altrettanto pantagruelica.

Evitiamo di superare direttamente il Colle dell’Orso: i suoi pendii sono troppo carichi di neve e i segni delle diverse slavine già scese non predispongono di certo l’animo alla tranquillità. Risaliamo invece il pendio che sovrasta il rifugio e nel farlo iniziamo a seguire le impronte di un lupo. Una traccia nella neve che ci accompagnerà per tutta la giornata. Sulla cima lo sguardo è libero di giocare con la ripida discesa che conduce fino in Val di Teve, di salire fino al Monte Sevice, di cercare la piramide perfetta del Velino, di esplorare ogni angolo di questo paesaggio.

Siamo soli sulla cresta. Cominciamo a seguirla in una lunga sequela di sali e scendi e dove perde quota maggiormente, scolliamo le pelli dagli sci per godere delle curve su questa stupenda neve invernale. Solchiamo così le dorsali delle Punte Trieste e Trento. Una lunga discesa su neve sempre polverosa ci porta fino al colle poco sotto la Tavola, saliamo sulla sua cima e poi ancora giù, fino ai ricoveri dei pastori di Valle Genzana. Ora rimane solo da risalire alla Cima dei Campetti della Magnola, attraversarli e infine, una volta raggiunto il comprensorio di Ovindoli, scendere per le piste battute.

Le impronte del lupo hanno sempre preceduto i nostri passi, come quelli di una guida esperta. E’ bastato seguire quei segni nella neve perché l’itinerario si dipanasse sotto i nostri sci. Ai Campetti delle Magnola le tracce della nostra guida sono sembrate però farsi incerte. Eppure è il tratto più facile, un tranquillo su e giù fra boschi radi e piani innevati. Qui, a pochi minuti dalla neve morta delle piste battute, il silenzio e i panorami che attraversiamo riescono a regalare l’emozione più grande: immensa perché colma della misura senza fine della poesia.

Un sentimento che riecheggia però di dolore. Questa potrebbe essere infatti una delle ultime volte che attraversiamo gli stupendi Campetti delle Magnolia così come ora li stiamo vedendo: sembrerebbe che la prossima estate avranno inizio i lavori per portare il carosello degli impianti di discesa fin in quest’ultimo tratto della nostra traversata. Forse è per questo che la traccia del lupo ha perso forza e direzione giungendo qui.

di Alberto Sciamplicotti

Grazie a K2 Skis, Montane Italia, SCARPA, 22 Designs, Makalu Sport per il supporto.




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