Uli Biaho Spire, Trango. L’intervista a Alessandro Baù, Leonardo Gheza e Francesco Ratti dopo Refrigerator Off-Width

Intervista a Alessandro Baù, Leonardo Gheza e Francesco Ratti dopo l’apertura in stile alpino di Refrigerator Off-Width (510m, 7a, A2, M5) sull’Uli Biaho Spire (5620m) nelle gruppo delle Torri di Trango nel Karakorum in Pakistan.
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Uli Biaho Spire (Trango, Pakistan): Refrigerator Offwidth – Cumbre per Alessandro Baù, Leonardo Gheza, Francesco Ratti
Ettore Zorzini

A luglio gli alpinisti Alessandro Baù, Leonardo Gheza e Francesco Ratti hanno aperto in stile alpino Refrigerator Off-Width sull’Uli Biaho Spire (5620m) nelle gruppo delle Torri di Trango nel Karakorum in Pakistan. La via supera il grande diedro che solca il centro della parete est e il successo, dopo un primo tentativo abortito al secondo tiro, è maturato dal 22 al 23 luglio, con un bivacco in parete e difficoltà fino a 7a, A2 e M5 nei suoi 510 metri di sviluppo. L'evidente, freddissima linea non era mai stata salita in precedenza e Refrigerator Off-Width è soltanto la seconda via della parete. Ecco tutti i dettagli

Partiamo dall’inizio, insolito. Una gruppo che prima di andare in spedizione non si conosceva. Com’è nata questa cordata?
Gheza: L’anno scorso al rientro dal Nepal, durante il trekking in uscita dalle valli dell’Everest, Francesco e io abbiamo iniziato a fantasticare su qualche bel progetto per il 2022. L’idea comune più gettonata è stata il Pakistan nella zona delle Trango Towers, siccome nessuno di noi ci era mai stato. Una volta in Italia poi Fra ha convolto Alessandro e da li è nata la nostra cordata. È stato un po' difficile organizzarsi viste le distanze tra noi, Valtournenche-Valle Camonica-Padova, comunque nonostante queste difficoltà iniziali la cordata ha funzionato molto bene, ci siamo trovati d’accordo quasi sempre su tutto ed il risultato è stato ottimo.

Non eravate solo voi, ma anche con il fotografo e filmmaker Ettore Zorzini
Ratti: Sì, esatto, c’era anche Ettore che non ha scalato con noi ma che ci ha seguito durante tutta la spedizione ed è stato parte integrante del team. Io e Ale non conoscevamo Ettore prima di questa spedizione. È stato Leo a farcelo conoscere e fin da subito siamo stati entusiasti di poter avere un fotografo e dronista insieme a noi per "documentare" la spedizione. Poi Ettore si è rivelato anche un compagno di viaggio ideale, sempre di buon umore e disponibile a mettersi in gioco per la buona riuscita dei nostri progetti. Infine il risultato del suo lavoro è stato davvero ottimo: abbiamo immagini di alta qualità, molte delle quali fatte col drone direttamente in parete, siamo molto soddisfatti di averlo avuto con noi.

Quindi zona Torri del Trango. L’Uli Biaho Spire e quella linea erano l’obbiettivo principale, già prima di partire?
Baù: La proposta di andare alle torri di Trango è venuta da Francesco e Leo. Quando abbiamo iniziato a ricercare materiale della zona mi è capitato in mano un pdf che indicava la linea di Silvo Karo e Andrej Grmovsek. Conosco Andrej perché ha fatto una delle prime ripetizioni di Colonne D’Ercole in Civetta e ci siamo visti varie volte in Dolomiti. Così l’ho chiamato e gli ho chiesto di quel diedro, era così evidente… lui mi ha detto che dalle sue informazioni non era stato salito, mi ha mandato una cartella con tutte le sue foto e abbiamo iniziato a fantasticare. Avevamo in mente anche un’altre linea ma era logisticamente ancora più complessa, quindi ci siamo concentrati su quella più "abbordabile"!

Sembra una linea pazzesca, talmente evidente, tra l’altro sopra il campo base…
Gheza: Esatto, la linea è molto evidente ma non è altrettanto facile raggiungerla. Per arrivare al campo alto servono 5 ore abbondanti passando per canali di sfasciumi e neve che spesso scaricano dall’alto. Da li altre 4 ore per raggiungere la parete, tra misto e pendii nevosi dove il rischio non diminuisce. Si è sempre soggetti a scariche, passare quindi nelle ore di rigelo è fondamentale. Per raggiungere poi l’evidente diedro che solca la parete è stata un’altra ragliata mezza in artif, 80 mt di placca verticale piena di scaglie che si rompevano a guardarle. Forse anche questi i motivi che hanno tenuto lontane molte cordate...

Prima di tentarla però, vi siete acclimatati. Fino ad una sella a oltre a 5000 metri, giusto? Poi non su una via qualsiasi, bensì su Eternal Flame…
Ratti: Sì, certo, prima di pensare di poter scalare su quelle difficoltà a quelle quote è necessario acclimatarsi. Io e Ale il primo giorno dopo il nostro arrivo al campo base non riuscivamo a starcene tranquilli e siamo saliti in giornata alla selletta tra Trango tower e Trango Monk, a circa 5400m, mentre Leo sgomberava dalle pietre, il suo campo per l’atterraggio col parapendio. Poi tutti e tre siamo saliti lungo la via normale della Great Trango Tower, con un bivacco a 5300m e arrivando alla cima NE a più di 6000m. Dopo questa "rotazione" ci sentivamo pronti a scalare in alta quota, purtroppo però la lunga finestra di alta pressione che ci aveva accompagnati durante il trekking e i primi giorni al campo base si stava esaurendo. Nonostante le previsioni meteo annunciassero giornate un po’ instabili abbiamo deciso di lanciarci lo stesso su Eternal Flame e di confrontarci con questa mitica via. Il primo giorno siamo saliti lungo la via slovena fino alla Sun Terrace dove abbiamo bivaccato. Il secondo giorno ci siamo svegliati con una giornata già abbastanza nuvolosa e non proprio "calda", ma abbiamo deciso di attaccare lo stesso Eternal Flame e di salire fin dove fosse stato possibile. Alla fine siamo riusciti ad arrivare a cinque tiri dalla cima prima che una tempesta di neve ci obbligasse a scendere. La via non era in condizioni ottimali: diversi tiri erano bagnati e il freddo non ha di certo aiutato a godere dell’arrampicata, però è stato davvero emozionante toccare con mano questa mitica via e salire lungo queste fessure perfette fino a più di 6000m

Eravate anche in ottima compagnia su quella via: Edu Marin, Jacopo Larcher e Barbara Zangerl
Gheza: Sì, al campo base c’erano altre tre cordate, Jacopo e Babsi, due ragazzi francesi e Edu con fratello e papà. Mi piacerebbe a questo punto fare i complimenti a tutti per i risultati ottenuti soprattutto al papà di Edu per la tenacia visti i 70 anni! Poi per fortuna ha fatto piuttosto bello quindi ognuno aveva il proprio progetto e non abbiamo passato così tanto tempo insieme, anche se i momenti di confronto ci sono stati.

Oltre al meteo, quanto entra in gioco il fattore quota su una via come questa? E con che spirito poi avete accettato la decisone di scendere
Baù: Arrampicare a quelle quote è faticoso. Quando siamo andati su Eternal Flame già sui primi tiri oltre la Sun Terrace, mentre scalavo, avevo sempre il fiatone e lo sforzo fisico si faceva sentire. Forse non eravamo ancora perfettamente acclimatati ma volevamo sfruttare al massimo il tempo a disposizione. A quelle quote basta un attimo che la temperatura precipiti. Gli ultimi 3 tiri fatti su Eternal Flame, li abbiamo saliti veramente in condizioni proibitive e, anche se a tutti e tre dispiaceva, non abbiamo avuto ripensamenti quando abbiamo deciso di scendere. Eravamo andati ben oltre la nostra "comfort zone".

Avete fatto bene, che discorsi. Poi è arrivato il momento del primo tentativo sul Uli Biaho Spire, giusto?
Ratti: Il grande diedro al centro della parete est dell’Uli Biaho Spire era il nostro principale obiettivo e all’arrivare di una buona finestra di bel tempo siamo subito partiti per la nostra avventura su quella parete. Durante la parentesi di brutto tempo, dopo il tentativo su Eternal Flame, eravamo già saliti fino alla sella alla base della parete per fare un primo deposito di materiale. La nostra strategia iniziale era quella di risalire a questa sella, installare il nostro campo e in giornata raggiungere la base della parete e aprire i primi due tiri lasciando delle corde fissate per poi scendere a dormire nella nostra tenda sulla sella e il giorno successivo lanciarci nell’apertura del grande diedro. Come spesso accade però, la montagna ci ha mostrato il suo lato più duro facendoci completamente rivedere i nostri piani: il primo giorno a causa del troppo caldo non siamo neanche riusciti ad arrivare alla base della parete, e il secondo giorno il pendio ghiacciato alla base della parete e i primi due tiri della via ci hanno dato del gran filo da torcere impegnandoci tutto il giorno. Quindi il nostro piano di poter aprire la via in due giorni era malamente naufragato e ci siamo ritrovati la sera del secondo giorno con solo due tiri aperti. Lo stile che ci eravamo prefissati era quello di sfruttare al massimo le fessure e le linee logiche della parete limitando al massimo l’uso di spit. Una volta aperto il secondo tiro della via e aver raggiunto il sistema di fessure che ci avrebbe portato al grande diedro, eravamo di sicuro a corto di energie, di cibo e di materiale per poter terminare la via senza scendere a riposarc e fare rifornimenti al campo base.

Quindi cambio di tattica?
Ratti: Di fatto la tattica non è cambiata, solo che la montagna ci ha dato un gran filo da torcere e i tiri iniziali si sono rivelati molto più complicati del previsto. Siamo comunque riusciti a raggiungere il diedro limitando molto l’uso degli spit ma siamo stati costretti a rientrare al campo base. Scendendo abbiamo fissato in parete un cordino in kevlar nella sezione più difficile del secondo tiro. Quando due giorni dopo siamo tornati per finire la via, abbiamo riscalato i primi due tiri aiutandoci con il cordino.

Poi la salita, dal 22 al 24 luglio, con un bivacco in parete.
Baù: È stato un bel lavoro di team. Ci siamo alternati ad aprire in base alle sensazioni e ognuno ha dato il proprio importante contributo. Essere in 3 su queste pareti è un grosso valore aggiunto. Siamo arrivati giusto all’imbrunire alla fine del diedro, dove abbiamo bivaccato. Il ripiano dove dormire era veramente piccolo ma per fortuna avevamo anche 2 amache: Leo è rimasto sulla neve, mentre io e Fra abbiamo appeso le amache una sotto all’altra. L’indomani è filato tutto liscio e alle 2 del pomeriggio eravamo in cima con una giornata meravigliosa e una vista mondiale! La discesa è stata ancora impegnativa e siamo arrivati solo verso mezzanotte al campo avanzato a 5000m dove ci aspettava Ettore.

Il nome della via è un programma… offwidth al freddo. Sogno o incubo?
Gheza: Direi entrambi, forse più incubo. Quei 200m di off-width ci sono costati molta fatica, quell’ andare" verso l’alto strusciando all’interno di strettissimi camini e larghe off-width ha consumato noi ma anche le nostre giacche, i nostri pantaloni e i nostri imbraghi ;-) A complicare il tutto è stata la presenza di neve e molto verglas all’interno, la fessura sputava fuori aria gelida. Fortunatamente Jacopo e Babsi ci hanno prestato un friend BD del 5 e uno del 6, senza quelli doppi sarebbe stato impossibile salire, anzi ci avrebbero fatto molto comodo i nuovi 7 e 8 ma ci siamo arrangiati con quello che avevamo.

La line sembra pazzesca. Comunque una domanda sorge spontanea: dopo il bivacco, come mai la deviazione verso sinistra, invece di andare dritto?
Baù: Dritto sarebbe stato più difficile, con ancora molte offwidth. A sinistra c’era la linea più logica e sensata. Vale sempre la regola di Detassis "cercare il facile nel difficile". Inoltre la linea dritta si bagnava molto di più vista la presenza del fungo sommitale. Diciamo che non c’è stata scelta, eravamo tutti concordi sulla linea che abbiamo seguito!

Dopo l’apertura, la spedizione è continuata con altri obbiettivi.
Gheza: Sì, io sono riuscito a fare qualche volo, il più bello durante l’acclimatamento dalla Great Trango Tower. Secondo me il paralpinismo offre tante nuove possibilità ed è in grande sviluppo, visto l’evolversi delle vele e dei materiali sempre più leggeri. Spero nei prossimi anni di poter spingere sempre di più in questa direzione. Capire le condizioni senza bollettini meteo/vento, pulire dai sassi per ricavare un piccolo atterraggio a fianco dell’enorme morena glaciale, volare a quasi 6000m è stata per me un enorme soddisfazione. Per questo devo ringraziare Nova Paragliders e La Sportiva che mi hanno supportato. E sicuramente devo ringraziare anche i miei due soci di cordata (ai quali devo ancora una birra) visto che li ho "piantati" su là e mi hanno aiutato a volare.. forse non troppo etico ;-)
Ratti: Io e Ale invece, mentre Leo si godeva le gioie del volo, dopo Refrigerator volevamo sfruttare al massimo gli ultimi giorni a disposizione prima di partire per cercare di raggiungere la cima della Nameless Tower, visto che non ci eravamo riusciti durante il primo tentativo su Eternal Flame. Così, dopo un solo giorno di riposo dopo essere tornati dalla parete est dell’Uli Biaho Spire, siamo ripartiti di nuovo alla volta della Nameless Tower. Siamo risaliti per bivaccare alla Sun Terrace, e il giorno dopo abbiamo attaccato la via Slovena per percorrere un itinerario a noi nuovo. La parte bassa della via si è rivelata molto bella, anche qui lungo fessure davvero spettacolari su roccia perfetta. Nella parte alta della via invece abbiamo trovato tanti camini bagnati e gelati e la scalata si è fatta meno interessante. Finché a pochi tiri dalla cima siamo riusciti a deviare di nuovo su Eternal Flame e a percorrere gli ultimi tiri che non eravamo riusciti a fare a causa del brutto tempo la volta precedente. Alle 18 di quella magnifica giornata siamo riusciti a toccare la cima della Nameless Tower dopo una lunga e faticosa salita: è stato davvero molto bello trovarci in cima al tramonto, quasi non ci credevamo neanche noi! Il rientro è stato poi lungo e faticoso, siamo arrivati al campo base a notte fonda e alle 5 del mattino, dopo solo un paio d’ore di riposo, la sveglia ha suonato per partire per il rientro a casa!

Pazzesco. Bravi. Tornando a Uli Biaho Spire: la vostra è la seconda via sulla est. Adesso che avete toccato con mano la parete, cosa ne pensate dell’apertura di Andrej Grmovsek e Silvo Karo del 2006?
Baù: La via è molto logica ed era l’unica salita della cima. Da quello che ho letto sono saliti e scesi molto velocemente, ma non sorprende affatto, conosciamo bene le loro capacità alpinistiche. Infondo anche la salita in giornata di Eternal Flame (fatta nello stesso anno) non è proprio una passeggiata! Anche Luca Schiera e Silvan Schüpbach avevano provato una nuova via credo sulla parete ovest, non sulla est; dopo un’infortunio alla spalla di Luca erano scesi senza completare la via.

Allora cosa rappresenta questa via per voi? Com’è aprire una via di questo genere non nelle montagne di casa, ma in un massiccio distante ed importante come il Trango?
Lì si sono confrontati i migliori alpinisti di sempre, aprire una linea in centro parete e lasciare un segno in quel posto è stato, per tutti noi, la realizzazione di un sogno.

Alessandro Baù ringrazia: CAMP, Montura, SCARPA, Saliceocchiali, Dynastar, Hdry e Reload
Francesco Ratti ringrazia: CAMP, Millet Mountain, La Sportiva
Leonardo Gheza ringrazia: CAMP, La Sportiva




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