Coffee Break Interview: Alex Blümel / Michele Caminati

L'alpinista austriaco Alex Blümel e il climber parmense Michele Caminati sono sotto la lente di ingrandimento della puntata #12 del Coffee Break Interview, il progetto di Daniela Zangrando che esplora sogni, desideri e limiti dei protagonisti dell'arrampicata e dell'alpinismo.

ALEX BLÜMEL

Daniela Zangrando: Il passo chiave*.
Alex Blümel:
Ogni giorno normale potrebbe essere il passo chiave, per gestire le diverse situazioni della vita quotidiana che in realtà sono molto più importanti dei problemi di lusso che ci creiamo da soli in montagna. Io sono stato fortunato, sono cresciuto in una famiglia con un certo grado di prosperità. Dopo molti anni mi ha affascinato come potessi essere capace di trovare delle soluzioni per così tanti passaggi chiave “di lusso” in montagna.
In ogni caso, ognuno di noi si trova di fronte a dei passi chiave in diverse situazioni della vita e la cosa fondamentale è di saper dire “no” di tanto in tanto. No, non è il momento giusto o no perché semplicemente bisogna fermarsi prima che vada peggio, … questo per me è il passaggio chiave in ogni tipo di vita!

D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
A.B.:
Non importa quanto tu sia bravo o pieno di talento. Spingere oltre il limite per me vuol dire avere la volontà di fare il meglio, così da essere soddisfatto e felice dopo una dura giornata. Se non sposto i miei limiti in montagna, mi manca quella certa intensità nella mia vita.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
A.B.:
Nel corso degli anni sono cresciuto e ho imparato quali siano i miei limiti. Sono grato di avere dei buoni amici che al momento giusto mi hanno aiutato a vederli e a prendere delle decisioni. Quella che divide una persona dai propri limiti è una linea molto sottile ed è importante non andare troppo al di là perché potrebbe comportare qualcosa di molto pericoloso, sia in parete che al di fuori di quest’ambito.
Comunque penso che sicuramente accrescerò le mie competenze, e spero che questo aiuterà a spostare i miei limiti più lontano.

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
A.B.:
È una buona domanda, che mi sono fatto più volte. Bene, posso dirti che sono molto lontano dalla figura del climber professionista perché rispetto ad altri (Hansjörg Auer, Conrad Anker, David Lama, etc.) mi guadagno da vivere come guida alpina. Sono consapevole che il mio corpo è la mia assicurazione: lo scorso anno ho passato quasi tre mesi con le stampelle. Mi sono fracassato la caviglia destra arrampicando su ghiaccio e mi sono chiesto se ne valesse davvero la pena. Sono arrivato alla conclusione che l’arrampicata e le montagne sono la mia passione, e, dopo il percorso come climber/guida alpina, troverò realizzazione in altre realtà come l’IVBV** o nell’organizzazione delle attività dei Giovani Alpinisti all’interno del Club Alpino Austriaco. Sono sicuro che scoprirò qualcosa.

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
A.B.:
Beh, direi che ci sono molte cose di gran lunga distanti dall’essere perfette. Quello che vorrei davvero cambiare è l’atteggiamento degli sponsor, molti dei quali di questi tempi hanno solamente il focus centrato sui social media. Non importa a nessuno quanto tu sia bravo, che progetti abbia o in che modo tu faccia qualcosa, tutto gira attorno a come sei capace di vendere nella sfera pubblica le cose che fai. Quello che davvero conta è la presenza sul mercato, ed è seguito solo dal numero di follower o di like che hai su Instagram o Facebook.
Sicuramente ci sono molti bravi scalatori là fuori, di cui non abbiamo mai sentito nulla finora perché o non sono fortemente determinati o non sono in grado di promuoversi come invece fanno altri.
Penso che sarebbe bello che le aziende trovassero un compromesso per supportare questi alpinisti, usando i social media in un modo normale, perché altrimenti a causa dei soldi non avranno nessuna possibilità di far qualcosa di grande.

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
A.B.:
Non è una domanda facile, perché mi piacerebbe descrivermi come un Kofferkind (un bambino della valigia), che al momento non ha un posto stabile.
Direi che questi luoghi sono temporaneamente limitati per me e che a volte li trovo tra le montagne.

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
A.B.:
A dire il vero sono contento della mia vita, anche perché altrimenti mi sarebbe impossibile arrampicare al mio limite. Oltre a questo, il desiderio di un piccolo appartamento diventa sempre più forte, ma penso ci vorrà ancora del tempo perché il mio sogno diventi realtà.
Inoltre, è essere soddisfatto di me stesso alla fine di ogni singolo giorno l’obiettivo primario della vita.

MICHELE CAMINATI

Daniela Zangrando: Il passo chiave.
Michele Caminati:
È quello più ostico. Quello che ti ha fatto passare attraverso numerose sessioni di insuccessi, mandandoti sempre a casa con un po' di amaro in bocca. Quello per cui ti sei dovuto ingegnare a trovare le soluzioni più strane, tanto che ci hai pensato pure la notte. La prima volta che riesci a superarlo ti regala una magica sensazione che è difficile da descrivere: ora sai che il tuo progetto è diventato finalmente una possibilità concreta.

D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
M.C.:
Spostare il proprio limite significa rendersi conto di riuscire a fare ciò che prima sembrava impossibile. Può essere un limite tecnico, fisico, o semplicemente mentale: realizzare un esercizio mai riuscito in fase di allenamento, trovare il giusto equilibrio per eseguire un passaggio, oppure affrontare in controllo una situazione che prima ci avrebbe mandato in panico. Una volta che superiamo un nostro limite questa cosa ci rimane impressa dentro. Se non altro perché ora conosciamo il processo che ci ha portato a passare oltre.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
M.C.:
A causa di un infortunio i miei principali limiti ora sono fisici, dovuti al fatto di non avere ancora la completa mobilità di una mano. Anche il ricordo dell'incidente però è rimasto vivido, e devo affrontare di nuovo una parte del cammino già fatto, per tornare ad essere a mio agio in certe situazioni.
Per il resto ho i limiti di molti: sto affrontando una situazione di incertezza e di cambiamenti, e nonostante la motivazione sia sempre alta non riesco a trovare la concentrazione che avevo un tempo sui miei obiettivi.

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
M.C.:
Sicuramente farei il fotografo e il filmmaker a tempo pieno. Sono mie grandi passioni anche queste, e a volte finisco per trascurarle a causa dell’arrampicata. Avere passioni diverse è molto importante; mi consente di staccare e dedicarmi con energie fresche ad altro, per poi tornare ai miei obiettivi con la giusta carica.

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
M.C.:
Probabilmente l'esasperazione della competizione al di fuori del naturale contesto delle gare. La corsa alla prestazione e al "numero" a tutti i costi, come se si dovesse scalare una sorta di graduatoria. Questo ci porta un po' ad allontanarci da una ricerca più personale e libera, che magari ci può far scoprire la bellezza di tutte le forme dell'arrampicata, non solo di quelle in cui già eccelliamo. Per fortuna però non si può generalizzare e ci sono parecchi esempi illustri di "pensatori liberi".

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
M.C.:
Quel luogo penso sia la solitudine nel fare le cose che più amo: ritrovarmi da solo ad arrampicare, oppure a scattare foto, è una sorta di rifugio. Mi da la possibilità al tempo stesso di sfogarmi e di riflettere sulle cose che mi preoccupano, senza che il loro peso mi schiacci.

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
M.C.:
Sono troppi i sogni e i progetti lasciati in sospeso per poterne indicare uno su tutti. Probabilmente il più grande sogno sarebbe quello di avere il tempo a disposizione per poterli inseguire tutti quanti, senza lasciarne andare nemmeno uno. Ma purtroppo siamo costretti a fare delle scelte, e certi sogni non faremo mai in tempo a realizzarli.

Daniela Zangrando 

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* Il termine “crux” in inglese identifica sia “il passo chiave” in senso alpinistico che “la chiave” vista come punto cruciale, soluzione, elemento nodale della vita quotidiana.
Gli intervistati sono stati lasciati liberi di intendere o fraintendere il termine a loro piacimento.

** Internationale Vereinigung der Bergführerverbande (corrispondente all’UIAGM italiano, Unione Internazionale delle Associazioni Guide di Montagna).




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