Vicende dei ragazzi dello zoo di Erto. Di Sandro Neri

Sandro Neri e l’arrampicata ad Erto, dai mitici anni dei Ragazzi dello zoo di Erto degli anni ’80 fino ad oggi. Un tuffo nel passato per capire il presente, attraverso le vie e gli arrampicatori come Mauro Corona, Manolo, Icio Dall’Omo, Gigi dal Pozzo, Roberto Bassi, Gerhard Hörhager, Luca Zardini, Pietro dal Pra e molti altri che hanno segnato la storia di questo sport.
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I ragazzi dello zoo di Erto: Mauro Corona su Supervip, 7c, nel 1985
archivio Sandro Neri

Prendendo spunto dalla recente prima visita di Stefano Ghisolfi ad Erto ci è sembrato opportuno chiedere delucidazioni a Sandro Neri, uno dei locals per eccellenza e - anche se lui stesso non vorrà ammetterlo - un punto di riferimento per l’arrampicata italiana sin dagli anni ’80. Abbiamo chiesto ad Alessandro di esaminare le salite di Ghisolfi con un ottica moderna, ma soprattutto di fare quello che consideriamo un grande regalo: cercare di ricordare e ripassare la storia di Erto, dai mitici anni degli albori dell’arrampicata sportiva fino ad oggi. Una sorta di tuffo nel passato per capire come questo ha profondamente segnato la sua generazione, ma non solo.

Vicende dei Ragazzi dello Zoo di Erto di Sandro Neri

La storica falesia di Erto, situata vicino alla diga del disastro Vajont, si trova in una località chiamata Molièsa. Per quanto lo scrittore e alpinista Mauro Corona sia oggi molto conosciuto, non molti climbers, se non i cinquantenni, possono ricordare che proprio questo artista, sul finire degli anni ‘70 autore di splendide sculture in legno, si dilettava anche a "sgrafàr" (parole sue) in quella croda di Molièsa levigata, stratificata in orizzontale e strapiombante. Con mezzi artigianali, chiodi e cunei classici rigorosamente di produzione propria, si era protetto riuscendo a salire le linee più logiche, quali Molina, Pensionati e Pipistrelli. Intorno all’ ’80 cominciò ad arrivare dal Cadore un ventenne biondo, in autostop e spesso privo persino di scarpette da scalata, ma con gli occhi ricchi di sogni: Icio Dall’Omo aprì dal basso autentici gioielli come Pip Crash e Mani di Clown: oggi 6c, roba di prim’ordine per l’epoca!

La leggenda narra che un giorno invernale di quegli anni, mentre con Icio e Mauro scalavamo quegli strapiombi al riparo da una forte nevicata, sulla strada vicina si fermasse un’auto con gente stupita, che ci gridò dal finestrino in dialetto ertano: "voi siè matt !!... siete i Ragazzi dello Zoo di Erto"; si riferivano a un noto film dell’epoca, i Ragazzi dello Zoo di Berlino, che riguardava la gioventù drogata: e noi sembravamo drogati di croda, tanto da scalare anche sotto la neve… così ci battezzarono, con un soprannome che durò per i decenni a seguire.

Sino da allora, Corona sapeva vedere avanti: non si perdeva un solo Festival di Trento, e oltre a molti libri leggeva attentamente le riviste di arrampicata, anche quelle straniere. Intuì che in quella parete poteva nascere quel nuovo gioco ancora non ben definito, che doveva differire dall’alpinismo delle sue vie in Dolomiti d’Oltre Piave. Palestra era palestra, sicura, con gli spit a distanza giusta per non farsi male, per poter provare e cadere in aria, piantati faticosamente a mano e poi col trapano. Diede vita alle tante linee spettacolari che troviamo tutt’oggi, aiutato in diversi altri tiri da Icio, perché fra i due nacque una stima e un affetto profondo; fra una scalata e l’altra parlavano anche di filosofia, da lettori appassionati di Steiner. Non si creda però che tirasse aria da convento: filosofia sì, ma con gente come Icio, Mauro e Gigi Dal Pozzo che nel 2012 se ne è andato troppo presto, la si buttava spesso in ridere, e me ne tornavo a Belluno in Vespa con gli addominali provati, non solo dagli strapiombi. La parola d’ordine implicita fra noi era prendere e prendersi in giro: a 360 gradi, senza remore né differenze di età, sesso o posizione sociale; guai a chi se la prendeva: i permalosi si auto-escludevano da sé.

Tanto eravamo grintosi e determinati nel provare le vie, altrettanto invertivamo la tendenza tornando coi piedi a terra; sembravamo soggetti demenziali, consapevoli che il gioco era serio, ma bello e affascinante proprio perché aveva una fine, da cui cominciavano allegria e invettive : una sorta di terzo tempo nel rugby. Non vincevamo nulla, e lunedì era lunedì per tutti, a scuola o al lavoro. Non eravamo soli in quel luogo: posta a cavallo fra Friuli e Veneto, Molièsa veniva agli albori frequentata dai pordenonesi gemelli Stanchina, Giorgio e Andrea, insieme a Stenio Perin, altra persona che ci è mancata. Comparivano spesso anche i cadorini compagni di Icio, Ferruccio Svaluto, Mauro Valmassoi, Michele Chelleris, e un po’ più avanti nel tempo i fratelli Attilio e Paolo Munari. Nel 1982 Dall’Omo liberò Tortuga con le primissime scarpette a suola liscia, 7b duro impestato, che allora nessuno si azzardò a valutare più di 6c …. Il primo 7b finalmente dichiarato comparve nel 1985, Lucrezia Borgia, salito in quell’anno da Mario Dimai di Cortina : anch’egli si avvicina ai 40 anni di scalata; le sue spalle e braccia restano sempre immense, come la sua passione.

Nel 1984 giunse Manolo, il Mago: per noi era già un mito, tanto che nelle rare trasferte ad Arco, che allora ci appariva distantissima, lo ammiravamo da lontano col binocolo, per non disturbare: naturalmente sciolto ed elegante, arrampicava sulla famosa Swing Area in compagnia di Robertino Bassi, Heinz Mariacher e Luisa Jovane, altri mostri sacri che dopo il Mago vennero a trovarci nella nostra falesia. Un’altra leggenda ertana racconta che Manolo cadde a vista su Poltergeist, perché il laccio della scarpa gli finì sotto la suola nel passo chiave, e scivolò su quegli appoggi microscopici e svasi. Liberò la via nell’ ’85 (storia vera, non più leggenda), quando al sottoscritto non riusciva nemmeno un passaggio singolo: e ripeterla nell’ ’87 con le prime ballerine in commercio mi riempì di gioia, consapevole di aver migliorato l’uso dei piedi!

Col passare dei lustri, anche l’avvicinamento in auto alla falesia divenne a poco a poco più comodo, attirando climbers a frotte: l’apertura graduale dell’Autostrada 27 sino quasi a Longarone favorì la frequenza di crescenti aficionados veneziani e trevigiani, anticipati da Paolo Randon, Maurizio Venzo e Monica Malgarotto (ripetizione femminile dell’Ertana, 7c+, ’87). E pure le gallerie da nord favorirono altri locals sia nuovi che della prima, storica generazione: ampezzani grintosi come Bruno Menego Menardi, Nadia Dimai e Marcella Santuz, lo stesso Mario Dimai e Massimo Da Pozzo, e Renato Pancera di Zoldo (protagonisti delle prime storiche ripetizioni dei "gradi 8", sul finire degli anni ‘80).

Ma torniamo al 1985: dall’austriaca Zillertal arriva a Molièsa Gerhard Hörhager, diciottenne che segna in maniera indelebile la storia di questa falesia: libera Pole Position destra, 8a+ (con alcuni appigli in più, rotti nei 30 anni successivi) e Mister Rase 8a+/b. Ma il colpaccio di Gerhard avviene nell’ ’87 con la prima libera di Sogni di Gloria (8b+… più!), via che in quel tempo si colloca fra le più difficili, non solo in Italia. Mi riuscirà la prima ripetizione nel ’90, dopo un assalto di 13 mesi, che per mia fortuna si alternò con la frequentazione salutare di nuove falesie come Igne e Podezoi, vicine a Erto, qualche fantastica via con Gigi in Dolomiti, e una tesi di laurea al vecchio Isef di Padova; tra un tentativo sul tiro e un allenamento al trave, l’amicizia con Dal Pozzo mi aiutò a capire che era sì importante non mollare, ma anche saper variare, in arrampicata e nella vita; altrimenti mi sarei perso nel tunnel di una noia involutiva, e Sogni di Gloria forse non mi sarebbe riuscita. Di Hörhager non ci restano solamente le imprese: ci lasciò un preciso messaggio sportivo, fondato sulla ricerca intima della propria dimensione. Prima tendavamo un po’ ad emulare chi ci sembrava più forte; invece il ragazzo austriaco ci trasmise l’importanza di ascoltare noi stessi, seguire con rispetto ciascuno i propri obiettivi, allenamenti, viaggi in luoghi di scalata, giorni di riposo. Con Gerhard imparammo a coltivare, e a volte condividere, ognuno i propri sogni. Non dimentichiamo, tra l’altro, che gente come Icio e il compianto Gigi Dal Pozzo passano alla storia delle Dolomiti come signori apritori di oltre 2 centinaia di vie nuove durissime, e durante le lunghe, noiose perturbazioni che impedivano scalate in montagne e falesie, ci si trovava in gran numero in quel di Erto, veneti, friulani, austriaci e tedeschi: tutti liberi di provare anche progetti (altro aspetto dell’apertura mentale di Corona), su strapiombi sicuri e asciutti. Questo clima di libertà e sicurezza determinò la fortuna di Erto, tanto che Mauro ospitò a dormire nel suo studio, fra le sculture e il travo (uno dei primi nella storia del climbing), centinaia di scalatori da ogni dove, col trascorrere degli anni.

Fino alla metà degli anni ’80 non esisteva l’odierno ben di dio, il brulicare di fantastiche falesie che nacquero in periodi successivi: in zona disponevamo di Erto, il severo Totoga di Manolo in Primiero, e la nascente Valle del Sarche: con i trentini Roberto Bassi (che ci manca moltissimo) e Rolando Larcher ci si trovava spesso, "da noi o da loro". Uno di quei giorni Rolando mi disse: "Lo vedi quel bocia? Quello diventerà una bestia!"… alludeva a un giovanissimo Luca Giupponi, che esordì a Erto con la prima on sight di Acido Lattico, 7c duro. Nel ’92 Gippo siglò il primo 8b flash al mondo: il Ritorno di Ringo, linea stupenda, la più strapiombante di Erto. Non è dato sapere cosa avrebbe combinato a vista, se non mi avesse osservato mentre "lavoravo" le sequenze di questa via. L’impresa di Giupponi inaugurò un primo passaggio di testimone generazionale, che a Erto, e non solo lì, vide protagonista Luca Zardini Canon, di Cortina. L’ampezzano superò l’asticciola di Sogni di Gloria e di Aikido (altro 8b+ firmato Dall’Omo, 1990), con The last Way e The Big Mother, 8c+. Secondo in Coppa del Mondo a 19 anni nel ’92, finalista puntuale per 20 anni in competizioni internazionali, 8 volte Campione italiano, Canon ha inciso in gara e in falesia in maniera impressionante. Oltre queste performance, lascia di stucco il numero di anni a questo livello, ma non solo: credo debba passare alla storia, e figurare come punto di riferimento, la discrezione di Zardini, il suo comportarsi composto, mai spaccone. Più di lui, a Erto parlano le sue grandi vie, ma sarebbe un errore definirlo un chiuso taciturno; basta sentirlo attualmente commentare le gare di scalata su Rai Sport, per capirne la competenza e la straordinaria passione.

Il decennio ’90 e i primi anni del 2000 videro passare per Erto i più forti scalatori nazionali, e tra i migliori del mondo: il primo 8a a vista, Joker, appartiene a Nicola Sartori. Quasi 30 anni dopo la giovane Sara Avoscan ha siglato di recente anche il primo 8a femminile on sight sulla stessa Joker, splendida linea di resistenza un po’ a sinistra dell’impressionante prua del Ritorno di Ringo. Dal mese scorso sempre Sara ha al suo attivo la prima salita femminile di Akido, 8b+; col suo compagno Omar Genuin ha scoperto un incredibile incastro di ginocchio e una lunga spallata dove Icio nel ’90 ci sbalordì col fatiditico incrocio, il movimento più spettacolare della falesia (vedi foto di alto). Per circa 3 decenni in questa parete si sono sgranati gli occhi ammirando gente come Stefan Glowacz, i fratelli Le Menestrel, Marietta Huden (anche lei ci guarda da lontano…), Klem Loskot (f.a. di Ombre Atomiche, 8a+ blocco), Françoise Legrand, Tomaz Mrazek e Patxi Usobiaga (per questi ultimi due Giurassica a-vista), Jorg Verhoeven (Sogni di Gloria flash!). Mi scuso con molti altri fortissimi, che a cavallo del nuovo millennio hanno salito i tiri più duri di quel periodo: l’elenco non sarebbe breve, e sicuramente dimenticherei qualcuno, con la memoria che ormai tende a tradirmi…

Nel 2009 termina l’epoca "prima di Ondra": testimoni autorevoli raccontano che, nel giorno del suo arrivo, ad Adam venne consigliata Giurassica (8b/+) come 8a+ di riscaldamento; il fenomeno ceco si calò dalla catena sostenendo che la via era un po’ duretta, come a+… e poco dopo liberò la Grande Linea dei Sogni (8c+/9 a), inaugurando l’era del "dopo Ondra". Al momento solo Luca Canon e Matteo Menego Menardi, giovane ampezzano di 20 anni, figlio d’arte di Bruno, (forte scalatore della prima generazione sportiva già menzionato), sono riusciti a ripetere questo tiro di Ondra, la via più difficile di Erto. Mentre La Linea dei Sogni, 8c+, ovvero Sogni di Gloria allungata, è invece stata liberata dall’immancabile Canon, e ripetuta dal grande Pietro Dal Pra, appartenente allo Zoo ma non più proprio un ragazzo, che frequenta il luogo ertano dall’età di 15 anni. Altra ripetizione della stessa via appartiene sempre a Menardi junior; lo stesso Matteo ha inoltre liberato Pole Position diretta (8c+ con un passo di blocco infame, provato da vari big per anni), e con Fabio De Cesero di Igne, altro giovane impressionante, sta provando Rangèive, ultima creazione di Mauro Corona, dal nome ertano che è tutto un programma: trad. "arrangiatevi". Due attuali ragazzi poco più che ventenni, anch’essi straordinari per la dedizione e i risultati, sono i fratelli Enrico e Silvia Cassol (ripetizione femminile di Giurassica divenuta 8b+ dopo le ultime rotture di prese), che talvolta accompagna un certo Checco Vettorata a passeggiare su vari 8b+. La più recente botta di grazia arriva giorni fa da Stefano Ghisolfi, che in una scarsa mezza giornata si porta a casa a vista Tucson, Bricolage e Giurassica, oltre a Ombre Atomiche in 2 giri! A Molièsa non si sono mai viste salite simili, tra l’altro così ravvicinate, ad opera dello stesso autore: incredibile per la storia di questo luogo, ma comprensibile se si conoscono le capacità del campione piemontese. Ovunque il livello è salito in maniera esponenziale, e in quasi 40 anni a Erto si può notare questa evoluzione costante e inarrestabile, perché è giusto andare avanti: anche ricordando da dove si è partiti.

Continua ancora, seppure in tempi e livelli diversi, quella antica storia, quella "passiòn de sgrafàr": liberi, sicuri e su strapiombi sempre asciutti. (S.N.)

di Sandro Neri




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