Allo Scoglio Sant’Angelo (Appennino Centrale) Ginevra Calandrella e Pino Calandrella aprono 'La Prua'

Il report di Pino Calandrella che insieme a sua figlia Ginevra ha aperto 'La Prua' allo Scoglio di Sant’Angelo nel Monti Reatini (Appennino Centrale).
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Il tracciato di 'La Prua' allo Scoglio di Sant’Angelo, Monti Reatini, Appennino Centrale, (Ginevra Calandrella, Pino Calandrella 11-12/2024)
archivio Pino Calandrella

Un piccolo sogno nel cassetto, di quelli che tieni lì da una parte e a cui fai ricorso per sentirti vivo, per estraniarti dai problemi della quotidianità lavorativa. È così che ho sempre considerato questa parete, vedendola svettare dalla montagna dall’altra parte della valle, percorrendo la strada che da Leonessa mi porta in ufficio a Rieti. L’ho guardata con questo spirito per anni, anche quando la vita ti fa trovare in periodi duri, quella parete era il mio piccolo spiraglio di luce, tenuto lì ad alimentare speranze e progetti, anche su altre pareti, non necessariamente da realizzare.

La parete, denominata Scoglio di Sant’Angelo, spicca evidentissima dalla montagna, affacciandosi vigorosamente sulla Valle Avanzana, situata a confine fra Lazio e Umbria, nel Comune di Morro Reatino, in provincia di Rieti. Un sito con un forte Genius Loci, quasi tangibile, non a caso la parete racchiude fra le sue rocce, in una piccola grotta alla base sinistra della parete, l’interessante eremo di San Michele Arcangelo, risalente al XV sec..

Dopo anni di sguardi a distanza, nel 2017 decido di andare a vedere da vicino, di capire avvicinamento e fattibilità di una linea di salita. Con la strumentazione fotografica dell’amico Fabio D’Adamo, effettuiamo alcune belle foto di dettaglio che ci consentono di apprezzare meglio la parete. Di lì a breve nascerà, il 12/11/2017, con lo stesso Fabio, la via Jacopo, la prima linea di salita della parete, esattamente nel centro.

Aprendo questa via noto alla destra del secondo tiro, un particolarissimo diedro aperto fessurato, che sembra decisamente interessante e così l’anno dopo, il 20/10/2018, con l’amico Stefano Cascavilla, nascerà la via Leonardo. Anche in questo caso butto un occhio ancora più a destra, dove spicca nel vuoto a metà parete, un’evidente e marcata porzione di roccia a forma di prua di nave, che però questa volta osservo con un po’ giustificata soggezione.

Scrutando la Prua, ipotizzo una linea, ma senza crederci mai un granché, poiché mi appare troppo impegnativa e forse non realizzabile. Il tempo passa, su tante altre pareti, ma l’idea di tornare a provare l’ipotizzata linea sul lato destro della parete rimane e forse per lungo tempo mi è piaciuto che restasse lì, con l’intimo dubbio dell’irrealizzabilità, ma la permanente libertà di continuare a sognarla, come quando ci si imbatte in un bel fiore, che si ha l’istinto di raccogliere, ma che forse è più giusto e bello solo osservare.

A fine estate 2024, dopo aver completato l’apertura del trittico di nuove vie lunghe al Buco del Merlo nei monti Reatini, cedo alla tentazione. Si accende nuovamente in me l’interesse ad andare a vedere se realmente la linea sognata e tenuta nel cassetto per qualche anno sia veramente fattibile. Confido questa volontà a mia figlia Ginevra, che con il suo tipico entusiasmo minaccia di offendersi se non coinvolta anche in questo progetto. Ovviamente non posso che esserne felice, ma sicuramente anche preoccupato… come sempre avviene quando si scala con un figlio.

Lo studio di foto e video della parete non restituisce certezze e quindi, com’è normale che sia, c’è necessità di andare a provare. Il tiro chiave, come appare evidente, è quello de La Prua e quindi l’idea è quella di salire sin lì, riducendo al minimo le protezioni infisse, con l’idea di tornare ad aggiungerne successivamente, a certezza della fattibilità acclarata.

Il 9 novembre 2024, non prestissimo, andiamo a vedere, raggiungiamo l’ipotizzato attacco e dopo qualche breve riflessione carico tutto il necessario sull’imbrago e si va… inizio a scalare! Le ore di luce non sono tante, ma chiudiamo la giornata alla fine del terzo tiro, dopo aver salito un diedro bellissimo, su roccia perfetta. C’era ancora luce e la Prua era lì davanti a noi, ma l’idea di dover scendere in doppia fuori via, a causa dell’andamento della linea salita, ci costringe ad essere cauti, decidiamo quindi di scendere.

Torniamo, anche se per poche ore, qualche giorno dopo, rispettando la regola che ormai ci siamo dati: Ginevra ripete i tiri già aperti sino a dove eravamo arrivati precedentemente e da lì riparto io davanti in apertura. Sono nuovamente sulla cengia inclinata alla base della Prua, è affascinante, ai nostri occhi decisamente molto bella, anche se genera soggezione così strapiombante.

Dalla cengia parto subito in verticale alla base della prua, favorito dalla presenza di tre bei buchi per le dita, il tempo di rimuovere qualche tratto di roccia non buona e riesco a mettere due protezioni abbastanza ravvicinate da poter garantire la sicurezza su questo primo tratto. Un passo delicato e poi finalmente piazzo la terza protezione, ora la roccia diventa stupenda, entro sotto lo strapiombo. Da qui seguo la linea di debolezza ascendente a sinistra, un bel passo mi porta sotto un altro strapiombetto che mi dovrebbe introdurre in un diedro, come appariva nelle foto. Roccia perfetta.

Ora l’esposizione è fortissima e molto suggestiva, non solo sull’intera parete, ma sull’intera ampia valle sottostante. La sensazione di vuoto è molto forte e tangibile. Mi metto al lavoro per ripulire una fessurina a destra dello strapiombo, ci riesco e finalmente piazzo un friend piccolo che mi dovrà proteggere nel ribaltamento nel diedro. Sono un po’ indeciso, temo che avrò difficoltà a proteggermi una volta effettuato il ribaltamento e con il friend a quel punto molto basso sotto i piedi e oltretutto, con la spiacevole impossibilità a tornare indietro.

Queste sono le classiche sensazioni che si vivono nell’alpinismo, a cui evidentemente non ci si abitua mai, nell’affrontare il cosiddetto punto di non ritorno. Con il vuoto sotto i piedi, prendo coraggio e sfruttando due prese discrete sopra lo strapiombo, finalmente mi ribalto sopra, alla base del diedro. Qui la situazione non è piacevole, ho i piedi su buoni appoggi, ma il diedro è liscio e non vedo fessure nelle quali poter piazzare neanche un friend e fra l’altro non riuscirei a martellare neanche un chiodo, senza correre il rischio di perdere l’equilibrio e cadere.

Non ho alcuna possibilità di tornare indietro arrampicando, se non a patto di fare un salto nel vuoto, sul friend basso…mmmh non ci penso proprio! Ma non posso e non devo essere frettoloso, guardo meglio ed ecco che si materializza davanti ai miei occhi un piccolo buchettino al centro del diedro, giusto, giusto per un micro nut, che mi salva dalla sgradevole situazione. Ora sono più tranquillo e mi prendo anche la libertà di rispondere alla telefonata, nel frattempo in arrivo, del caro amico Corrado Pibiri, un pezzo da 90 della storia dell’alpinismo e dell’arrampicata sarda. Rassicuro Giny, che nel frattempo, superato lo strapiombo, mi intravede a mala pena. Riparto nel liscio diedro, ove un bel bucone alto e una dura fessura che segue sopra, mi consentono di salire, con non poco impegno il passo chiave della via. Esco su una cengia inclinata e con un non difficile, ma delicato run out, raggiungo un buon punto di sosta.

Abbiamo impegnato le poche ore a disposizione che avevamo, meglio non proseguire nell’apertura e scendere in doppia, poiché il tiro successivo da aprire è decisamente in traverso e in caso di problemi la ritirata sarebbe tutta da improvvisare. Scendiamo quindi in doppia dalla prua. Sì, è decisamente nel vuoto per tutta la calata, sino ad atterrare sulla cengia svasa e inclinata alla base del tiro, diversi metri a sinistra della sosta alla base della Prua. Da qui risalendo a destra sempre attaccato alle doppie, non facilmente e con qualche rischio, raggiungo la sosta alla base della Prua, dove posso far scendere con maggiore sicurezza Ginevra. Certamente una soluzione non consigliabile per abbandonare la via.

Torniamo dopo qualche giorno, finalmente con un’intera giornata a disposizione e ormai decisi a concludere la via. Stesse regole d’ingaggio, i tiri già aperti li sale Ginevra e da sopra la Prua riparto io in apertura. La roccia in questa zona della parete ha dei colori molto particolari, dal giallo al rossastro, a guardarla da lontano non mi aveva dato certezze sulla qualità. Inizio a traversare in esposizione dalla sosta sopra la Prua, scalando con un percorso ascendente verso sinistra e inaspettatamente mi rendo conto che la roccia, anche qui, è decisamente stupenda. Riesco a godermi a pieno questo tiro, sempre in grande esposizione e con bellissima arrampicata, decisamente appagante. Un tiro molto, molto bello che si conclude su una comoda cengetta contornata da bassi alberelli. Sono molto contento e urlo la mia emozione a Giny, che è già pronta a partire. Trovare roccia ottima anche in questo tiro conferma la validità della linea e ci dà la certezza che la completeremo su bella roccia, visto che sull’ultimo che ci rimane, si vede già ottima.

Riparto in traverso a sinistra e per rimanere su bella roccia, vado ad aggirare a sinistra uno strapiombo e da lì, su ottima placca ammanigliata, salgo sino in cima alla parete. Attrezzo la sosta sull’ultima paretina prima della cima e mi giro verso la valle a godere del paesaggio, le giornate sono corte e nell’approssimarsi del tramonto i raggi del sole colorano di rosso la valle, stupendo chiudere la via con così tanta bellezza. Arriva Ginevra, ultimi metri e finalmente un bell’abbraccio padre figlia a fine via. Ora che siamo fuori, felici e convinti di aver avuto la fortuna di salire una linea stupenda, sappiamo che dovremo tornare per assecondarne la vocazione sportiva. Ci sarà ancora da lavorare, riducendo run-out, aggiungendo protezioni e pulendo ulteriormente. Con Giny ritorneremo diverse volte, in piccoli scampoli di tempo, completando finalmente il lavoro programmato.

Fra le cose da fare, sicuramente il sentiero di discesa richiedeva un bel “lavoraccio” di pulizia e segnatura. In questa parte, anche e non solo perché la prima via aperta su questa parete ha il suo nome, viene ad aiutarmi Jacopo, il mio secondo figlio. Il terzo, Leonardo, è ancora troppo piccolo per poterci accompagnare. Un impegno non proprio scontato, ma che consente finalmente di regalare un unico sentiero di discesa, facile e rapido, per tutte le vie della parete (la vie Jacopo, Leonardo e La Prua).

A dicembre si concludono i “lavori” allo Scoglio Sant’Angelo e come mi succedeva quando facevo gli esami all’Università, provo un senso di vuoto, di assenza. Il legame che si crea con una parete è sempre molto forte, qui allo scoglio di Sant’Angelo ancor di più. Quando apri una via, non solo per te ma per chi verrà, senti forte il senso di paternità, la curi, immagini quali potranno essere le letture e le sensazioni di chi la ripeterà e questo fa sì che si crei un legame forte con la parete, la quale sembra animarsi, tollerando e consentendo il tuo passaggio, aiutandoti quando meno te l’aspetti. Questo legame di paternità, in senso ampio, però non ho voluto si trasformasse in un atteggiamento di proprietà e così quel fiore (la Prua) che temevo di raccogliere e quindi far appassire, in realtà è ancora lì a risplendere nella sua attraente misteriosità, ci ha solo consentito di apprezzare la sua linea più bella e di questo gliene siamo grati.

Sicuramente tornerò allo scoglio di Sant’Angelo, probabilmente a fare manutenzione alle prime due vie, con gli amici Fabio e Stefano, ma nel frattempo continuo a scrutare la parete da lontano, tutti i giorni andando a lavoro, con l’effetto di alimentare futuri progetti su altre pareti e gustare bellissimi e indelebili ricordi delle avventure di un’apertura condivisa in famiglia.

di Pino Calandrella

Si ringrazia: Montura – Montura Store Roma

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Note:

Pino Calandrella vive a Leonessa (RI), è Istruttore Nazionale di Alpinismo del CAI, Direttore da diversi anni della Scuola di Alpinismo, Scialpinismo e Arrampicata Libera “Franco Alletto” del CAI di Roma, Direttore della Scuola Interregionale di Alpinismo e Arrampicata Libera “Del Sud”, nonché operatore del Soccorso Alpino. Pratica la montagna in tutte le sue forme e discipline, come per molti, in una sorta di scelta di vita. Apritore di diverse decine di itinerari alpinistici invernali ed estivi, nonché di falesie e vie sportive a più tiri. Ha diverse spedizioni extraeuropee alle spalle (Argentina, Perù e Pakistan), in alcune delle quali è stato anche Capo Spedizione, come nel 2014 nel Karakorum, dove con i suoi compagni di cordata, ha effettuato la prima salita ad una vetta nella valle dell’Homboro, successivamente battezzata Leonessa Peak.




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