Le 'Verità Nascoste' al Monte Fop in Val Franzedaz (Dolomiti) di Federico Dell’Antone e Simone De Toni

Mi è difficile definire il legame tra me e Federico "Fefo" Dell’Antone. Si presenta a casa mia una sera, ormai quattro anni fa, ed è subito feeling. Alpinista appassionato e rocciatore fortissimo, Fefo è un mix straordinario di carattere e competenza: compagno ideale per scialpinismo, arrampicate e i "bicchieri" che spesso coronano le nostre avventure.
Dopo qualche mese, travolti dall’entusiasmo, io, Fefo, Andrea "Vez" Darman e Matteo "Teo" Dagai – anche loro alpinisti esperti e amanti della montagna – fondiamo nel 2021 il Gruppo Rocciatori Tupaie. È proprio quel luglio che nasce un legame più profondo con Federico.
In seguito a una disavventura personale, Fefo ha bisogno di evadere, e così organizziamo una fuga di cinque giorni in Valle d’Aosta. Dopo aver salito i 4.173 metri del Dent d’Hérens per la via normale, affrontiamo un Cervino imbiancato da dieci giorni di maltempo. Alla nostra partenza da Cervinia, nessuno in stagione aveva ancora raggiunto la vetta. Da Capanna Carrel, partiamo alle 3:00 e alle 7:30 siamo in cima alla Montagna per eccellenza. Siamo i secondi: il fortissimo François Cazzanelli, con un cliente, ci aveva preceduti il giorno prima, confermando le critiche condizioni della normale del Leone. Inutile dire che, per me e Fefo, quell’impresa resta ancora oggi motivo di orgoglio.
Negli anni successivi, con Fefo, Vez, Teo e il Gruppo Tupaie – nel frattempo cresciuto con Alessandro Graziosi "Faure", Giovanni Zaccaria "Giozac", Lorenzo Bellenzier "Lollo", Luca De Nardin, Eddi Del Zenero, Daniele Geremia "Gere", Andrea Dorigo, Federico Neri "Fred" e Fabrizio Della Rossa "Sbrissio" – viviamo avventure indimenticabili tra le montagne di casa.
Sella, Moiazza, Falzarego, Civetta, Marmolada: ci passano tra le dita, le scaliamo con la fame di vivere ogni istante sospesi tra terra e cielo, riempiendoci di emozioni che solo chi arrampica comprende. Questa stessa fame ci ha portati sul Monte Fop, che domina la splendida Val di Franzedaz, parallela alla più nota Val d’Ombretta, ai piedi della Marmolada, la Parete d’Argento. La parete sud del Fop, quasi vergine, è stata "violata" dal nostro gruppo (oggi contiamo 8 vie aperte e liberate). Ed è qui che, a luglio 2023, Fefo mi propone di aprire una nuova via insieme.
27 luglio 2023
Quel luglio non ero in forma. Per motivi personali, da un anno non arrampicavo con costanza: il mio grado in falesia era ai minimi storici, e in montagna non ripetevo vie oltre il IV. Ero in un momento psicologicamente fragile quando l'arrampicata si è riaffacciata nella mia vita non solo come valvola di sfogo, ma come quel pezzo mancante di me stesso che finalmente ritrovavo. Proprio in questa fase di rinascita, un mercoledì sera, Fefo mi lancia: "C'è una linea che vorrei aprire con te. Secondo me è una figata, fa per noi!"
Lo guardo perplesso. Sogno di aprire una via da quando ho sentito parlare per la prima volta di arrampicata. Dopo averlo avvertito – "Guarda che non sono per niente in forma" – e aver ricevuto la sua tipica risposta – "Eeh ben ben, jon lostess!"– accetto.
Il giorno seguente ci svegliamo nemmeno tanto tardi, le giornate di luglio sono lunghe, e qualche bicchiere della sera prima ci fa ricredere sulla nostra volontà di partire all’alba. Arriviamo nella valle di Franzedaz per le 8.15 circa, e la foto che avevo visto sul telefono la scorsa notte acquisisce profondità e volume.
Scrutiamo quella tridimensionalità rocciosa, ed ecco che individuiamo il motivo che ci ha trascinati qui. Una cima, che con la prospettiva che si ha all’imbocco della valle, sembra esser la più alta. "Eccolo lì" dice Fefo, indicando un tetto bellissimo a sinistra della nostra linea immaginaria, "Puttega vecchio, che top" affermo.
Con il classico approccio un passo avanti e due indietro dovuto al cedimento dei ghiaioni sotto il nostro peso ci portiamo alla base della parete, sotto una bella e riparata nicchia, dove depositiamo il nostro materiale. In un attimo, il rilassante suonar dei campanacci delle mucche al pascolo è disturbato dallo sferragliare del nostro materiale che appendiamo all’ imbrago. Chiodi, friend, martello, cordini e rinvii, nel saccone, trapano, spit, giacca e guscio penso… "Top, abbiamo tutto!". Con il classico nodo a otto mi lego ai capi superiori delle mezze corde, sarò io a dare inizio alle danze. Anche se l’idea arriva da Fefo, la nostra amicizia ci porta a voler realizzare una linea nostra, dove ognuno apre seguendo il proprio istinto, nella logicità della crepa.
Un evidente camino appena sotto a dove ci siamo cambiati mi porta, con cinque metri facili, in piena parete. Vengo scaraventato in un mondo di placche, procedo verso l’alto con ancora qualche passo facile e, dopo aver messo due friend, riesco a piazzare anche un chiodo. Qui si presenta il primo passo duro. Salgo ancora un po’, ma d’un tratto, in quella roccia argentea, non riesco ad avanzare, sento la forza, ma mancano testa e lucidità.
Il terreno su cui mi muovo non lo reputerei difficile in falesia, ma in montagna, si sa, tutto diventa più arduo con la componente psicologica. Più mi allontano da quel chiodo, meno riesco a leggere la roccia. Il mio compagno, secchiello alla mano, mi incoraggia con un "Ale vecchio!", ma ormai sono in una bolla. Ritorno sui miei passi, mi affido al chiodo e mi faccio calare. Amareggiato, rifilo le corde e passo il testimone a Fefo che con un paio di gesti atletici e qualche chiodo si porta 45 metri più in alto, su un terrazzino ottimo per la sosta. Arrampicando da secondo libero anche io il tiro e questo, assieme all’affermazione di Fefo "eh, not banals" (non banale), mi ridà fiducia. Questi primi metri di via, saranno confermati di VI grado.
La seconda lunghezza si presenta già più tosta e difficile da proteggere, una lavagna grigia porta verso una pancia strapiombante. Va Fefo, e questa volta ricorrere agli spit. Tra una spallata e l’altra e un volo raggiunge un meraviglioso terrazzo inclinato, proprio sotto al tetto di roccia che ammiravamo qualche ora prima dai pendii di Franzedaz. Fa sosta e inizia a recuperarmi. Uscito dalla pancia strapiombante sgrano gli occhi nel vedere dieci metri di run-out su placca fatti da Fefo! In discesa lo pregherò, per la salute dei ripetitori, dimettere uno spit, utile anche per rinviare le doppie di rientro.
Il terzo tiro, ci vede ingaggiati nell’uscita del tetto dopo uno spostamento a destra su una fantastica placca a buchi "da coppa del mondo", la quale risulta più facile del previsto, ma stupendamente divertente! Il quarto round sono altri 45 metri di IV+ per spostarci a destra dove la parete sembra esser più compatta ed emozionante.
Stiamo discutendo sulla bellezza di quei primi quattro tiri quando veniamo interrotti dal verso di alcuni aquilotti e subito dopo, restiamo ammaliati nel vedere la madre gettarsi in volo sulla valle. Mi trovo, quindi, a pensare alla bellezza della montagna, a ciò che spesso regala, e alla fortuna di esser li ad ammirare quel volo d’aquila che grida libertà.
Alle 19.00, dopo quattro doppie per tornare alla base della cima, siamo di rientro e, ripensando al nostro e al mio ideale di apertura, prometto a Fefo che avremmo finito l’opera solo quando avrei avuto la capacità fisica, ma soprattutto mentale, di alternarmi a lui in parete.
20 luglio 2024
Il 2023 si conclude nel migliore dei modi, ritrovo la forma, faccio qualche bella via di VII anche in placca, in falesia ritorno a lavorare e a chiudere gli stessi tiri antecedenti al mio periodo di stop. Con una fortissima motivazione passo l’inverno tra trave, Moonboard, belle scialpinistiche e un po’, anche se sempre troppo poca, attività indoor.
La primavera scappa via piovosa, speravo di arrampicare di più ma non mancano le occasioni per testare la forma durante qualche sporadica giornata di sole, dove, chiudendo qualche bel tiro, mi rendo conto di esser sempre in carreggiata nonostante il riposo invernale.
Tra una via e l’altra, ecco che si ripresenta l’occasione di tornare in Franzedaz. Una sera Fefo mi manda una foto scattata dalla "Via dei rospi", dove vi è rappresentato un enorme e bellissimo diedro costeggiata da una placca stupenda, il tutto 150 metri sopra il punto in cui ci siamo fermati l’anno precedente in apertura.
"Dobbiamo riuscire ad arrivare su quel diedro" dice. L’impresa per quanto semplice non è scontata, in quanto quei fantastici metri di roccia, salendo in apertura, non si raggiungono se non si sa dove sono nascosti, così, con il prurito alle mani, propongo di salire nel fine settimana.
Arriva il sabato mattina e questa volta risaliamo la strada che porta nella magica valle in bicicletta elettrica. In 40 minuti siamo in Franzedaz e, abbandonate le biciclette lungo la mulattiera principale, ci incamminiamo verso l’attacco. Fatichiamo ad uscire da una fitta coltre di pini mughi, "Ma l’ultima volta eravamo saliti in un attimo" esclamo. "eh si, ma non ricordo mai il sentiero" risponde affannato Fefo. "Solo noi Tupaie possiamo aprire otto vie in una valle e dimenticarci il sentiero d’avvicinamento" ribatto scherzosamente. Usciti dalla "giungla" barancesca, in un attimo siamo all’attacco, il materiale che avevamo lasciato è sopravvissuto al morso della Dama Bianca; recuperato il tutto e legati di nuovo dalle mezze corde, siamo pronti a partire.
Parto io, è un motivo di sfida e di orgoglio affrontare questo primo tiro. Mi sento in forma, salgo ancora il camino, mi butto sulle placche, rinvio l’amico chiodo e proseguo. Adesso la roccia del Fop mi si palesa completamente diversa, lì dove un anno prima vedevo geroglifici incomprensibili, ora leggo lettere in stampatello maiuscolo. Mentre i chiodi, nascosti, si faticano a trovare, e spesso me li ritrovo sotto ai piedi. Continuo la mia arrampicata leggero e in un attimo sono in sosta. "È fatta" mi dico con un sospiro di sollievo. Recupero Fefo e si riparte, come piace a noi e come volevo io. Alternati, arriviamo in un paio d’ore alla quarta sosta della via. Ci accorgiamo che i chiodi non si trovano facilmente, così, per evidenziare meglio l’itinerario, alcuni li asciamo segnati da dei cordoni azzurri.
Ora bisogna andare a "caccia" del fantastico diedro. Parto e, muovendomi verso destra, salgo un bel diedro di V, metto un friend rosso, mi sposto verso sinistra, pianto un chiodo mediocre in una fessura cieca. Salgo ancora un po’ di metri e un fantastico buchetto attira la mia attenzione, ci batto dentro un chiodo a "U". Canta che è una meraviglia "ho messo il chiodo della vita, questo tiene un camion!" urlo a Fefo, che poi mi confesserà di averlo anche fotografato. La roccia si fa più facile, tra uno sperone e l’altro arrivo su un comodo terrazzo, faccio sosta e recupero Fede.
"Ci crepa!" (che roccia) esclamiamo assieme guardando la direzione della prossima lunghezza. Una placca fantastica, a buchi, lavorata dall’acqua che per milioni di anni ha eroso questa montagna per garantirci a noi questo divertimento unico. È impressionante pensare di essere i primi a toccare una roccia, a osservarne la forma, il colore, scaldarne con mani e piedi la superficie, per un attimo si è come Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden…
Il via a Fefo, con una gioia da bambino scala in modo meraviglioso quella prima parte, pianta due chiodi, attraversa a destra sotto un piccolo tetto e scompare dalla mia vista continuando a salire. Passa il tempo, le corde vanno via via verso la fine "cosa ca**o starà combinando…" sussurro da solo in sosta mentre l’ultimo raggio di sole mi saluta. Finalmente ecco la fatidica frase "passami il trapano e gli spit, faccio sosta!". Lego il tutto al cordino da recupero e ci aggiungo il capo di una delle mie mezze corde, in modo da poter recuperare poi il cordino e legarci il saccone.
"OK! Tiraa!" urlo. Il malloppo supera il tetto, ma non va oltre. Fefo mi chiama al cellulare "Non tirare se tiro io" mi dice "ma chi sta tirando" ribatto. "Noooo! Allora si è incastrato il trapano!". Dopo 40 minuti di tira e molla il trapano arriva a destinazione, ma, fatti i buchi per gli spit, Fefo si accorge che mancano i due tasselli, sono usciti dalle piastrine mentre disimpegnavamo il tassellatore! Come se non bastasse, la mezza corda che avevo legato al cordino di recupero non scende più, è incastrata in una lama. Federico ora è obbligato al lancio del cordino il quale, dopo tre tentativi, mi arriva tra le mani, ci attacco ciò che serve, e viene recuperato. Ormai il tiro dovrò affrontarlo con il saccone in spalla e per metà con una sola corda!
L’arrampicata è stupenda e nemmeno troppo difficile, con un movimento aereo esco dal tetto e con enorme felicità, mi accorgo di essere alla base del diedro fotografato da Fefo. Con dei movimenti goffi dovuti al saccone mi diletto ad affrontare quel libro verticale tra placche e lame stupende fino ad arrivare in sosta. Iniziamo a calarci alle 17.15, dopo aver affrontato ancora 35 metri di IV che ci portano leggermente a sinistra in una stupenda nicchia, dove abbandoniamo un pugno di spit per la prossima giornata.
Durante la discesa posizioniamo alla base del diedro una sosta, in modo da garantire ai ripetitori maggiore manovrabilità con le corde, visto l’enorme attrito che crea il tetto antecedente. Proseguiamo con le calate, e, tra qualche disgaggio e alcune sistemazioni, alle 20.00 siamo alla base, pronti per dirigerci a Malga Ciapela a bere la mediana che ci spetta dal buon Lino.
27 luglio 2024
La settimana passa in fretta, in men che non si dica siamo di nuovo sulle nostre biciclette a pedalare verso Franzedaz. Senza perdite di tempo siamo all’attacco della nostra via, questa volta non abbiamo cappellato l’avvicinamento! Sistemando il sistemabile della via, saliamo in circa quattro ore gli otto tiri che ci portano alla nicchia.
Ora la l’itinerario si sposta verso destra, con quindici metri di VI-. La realtà di questa lunghezza ha del divertente: Fefo, dopo aver affrontato i primi metri su un giallo confusionale, si ritrova ad arrampicare su un blocco di lame e speroni marci, che sembrano resistere alla gravità grazie solo alle tele di ragno. Dopo aver accuratamente superato questo tratto, Fefo fa sosta e una volta che entrambi siamo al sicuro procediamo, assicurati alla sosta a spit, a disgaggiare quella "lavatrice" di roccia.
"Uuh, pine le braghe!" esclama scherzosamente Fefo tra la polvere e l’odore di zolfo, "però ne vale la pena" continua. Nel dire ciò, fa cenno con la testa a una fessura che taglia verso sinistra per 5/6 metri una placca apparentemente inarrampicabile. Parte entusiasta, sistema una bella quantità di friend nel traverso fessurato, "ma che figata, la fessura ora sale in verticale" mi dice eccitato continuando a salire in puro stile "trad". Vedere Fefo in queste situazioni "ingheising", come le definiamo noi, è davvero qualcosa di spettacolare. Lo raggiungo dopo esser volato sul traverso per aver perso un piede, mentre cecavo di recuperare un friend viola messo a regola d’arte. Volare da secondo sui traversi ha sempre un che di adrenalinico…
Ora tocca a me, l’obbiettivo è raggiungere la cima, noi volevamo farlo in piena parete, ma la montagna ci ha obbligati a spostarci sulla sinistra e a buttarci sullo spigolo laterale. Salgo, la roccia è facile e, se non fosse per l’instabilità classica delle rocce sommitali dolomitiche sembrerebbe di salire una scala a gradoni. Posiziono qualche nut e friend di piccole dimensioni, riesco a mettere un chiodo. Proseguo verso una piccola pancia rocciosa, per sicurezza, batto ancora un bel chiodo, supero questo volume roccioso e… ecco che mi trovo davanti ad una distesa erbosa che porta in vetta. Non vale la pena continuare. Mi faccio passare spit e trapano, piantando così la sosta sommitale della via. Recuperato Fefo, ci abbracciamo e scattiamo il selfie di vetta.
Per lui, aprire una via è cosa normale, per me invece è la prima, sono così attraversato da una moltitudine di pensieri ed emozioni. Tira un’aria sottile. Mi guardo attorno, vedo Malga Ciapela, il Piz de Guda, la catena delle Aute, la valle di Franzedaz, quasi una seconda casa per noi Tupaie. Analizzo, in pochi istanti, tutta la storia di questo disegno che abbiamo creato Fefo ed io, e penso a quante cose nascoste ci sono dietro agli angoli e agli speroni rocciosi ogni volta che si è in apertura. Penso alla storia dell’alpinismo, a come le verità spesso vengono mutate e romanzate (e forse un po’ di romanzamento l’ho messo pure io nello scrivere questo racconto!), il tutto per dare un valore tangibile ad un’azione e ad una passione carnale come l’arrampicata in montagna. E così, preso da questa vena filosofica, propongo a Fefo un possibile nome per la salita, facendo emergere alcune cose nascoste nella via e nel nome stesso, e lui, colpito ed entusiasta, accetta.
Sono le 17.36 del 27 luglio 2024, ed esattamente un anno dopo che l’avevamo iniziata, sul monte Fop nella magica valle di Franzedaz, in compagnia di un grande amico, con la speranza di numerose ripetizioni, nasce la via Verità Nascoste, dedicata a chi sappiamo noi.
Grazie Fefo, e grazie Montagne.