Storie di alpinismo e arrampicata: Tra fortuna e realtà di Maurizio Oviglia

Estate 1983, via degli Svizzeri, parete Nord de Les Courtes, Monte Bianco. Un storia vera, come tante altre. Una storia di alpinismo che, ancora una volta, svela quanto profonda ed immediata possa essere l'esperienza vissuta in parete. Di Maurizio Oviglia.
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Maurizio Oviglia, Monte Bianco, estate 1983
Valerio Bertoglio

C'è una storia, narrata in una famosa canzone di Fabrizio De Andrè, che dopo tanti anni mi continua a turbare. E' la vicenda del massacro del fiume Sand Creek, 29 novembre 1864, dove le Giubbe Blu sorpresero nel sonno donne, bambini e vecchi di un villaggio indiano e li massacrarono senza pietà.

Chiusi gli occhi per tre volte
Mi ritrovai ancora lì
Chiesi a mio nonno è solo un sogno
Mio nonno disse sì


Ho sempre pensato, ascoltando questa canzone, a cosa avrei fatto io trovandomi in una situazione del genere e la risposta è sempre stata la stessa: mi sarei finto morto, aspettando da un momento all'altro una pallottola nella schiena. Ma con un po' di fortuna, forse, mi sarei salvato... Già, solo questione di fortuna.

Eravamo partiti dal rifugio di notte ed il cielo era limpido. Volevamo fare veloci e di buona lena ci eravamo fatti tutto il ghiacciaio sino alla base della grande parete nord. Immensa, quasi 1000 metri, ci sovrastava, silente e glaciale. L'alba ci aveva colto sulle prime lunghezze, tutto procedeva bene, salivamo spediti. Ce la saremmo tolta in fretta. Ma, ad un certo punto, verso le 11, l'aria si era fatta improvvisamente calda. Un fohn inaspettato aveva cominciato a soffiare e la neve si stava ammorbidendo a vista d'occhio sino a divenire una pappa appicicosa. L'improvviso rialzo di temperatura ci aveva convinto a tenerci prudentemente a ridosso delle rocce, su misto, evitando il colatoio centrale. Ma, ad un certo punto era giocoforza attraversarlo, per raggiungere una crestina dalla parte opposta, che ci avrebbe portato verso la vetta...

Quando il mio compagno fu a metà del traverso alzai gli occhi e vidi il cielo cosparso di punti neri, che si stavano avvicinando a velocità supersonica. Corrrriiiiii!!!! Gridai al mio compagno. Lui corse più veloce che potè sul pendio a 60 gradi, mentre io, praticamente nel mezzo, non potevo fare più niente... Mi appiattii sulla neve e incominciai a piangere, mi sorpresi a pregare. Stavo dunque per morire, immobile aspettavo la fine, con sassi grossi come macchine che sibilavano e come bombe colpivano il pendio a fianco a me.

Ma la fine non venne e rialzai la testa, guardando timidamente verso l'alto. Un sassolino di un cm mi colpì la guancia ferendomi. Mi toccai e la mano era piena di sangue, ma non sembrava grave. Allora cominciai a correre anch'io verso il mio compagno, salvo anche lui. Ci trascinammo annaspando nella neve sino in cima. La discesa nella neve marcia fu penosa oltre che pericolosa. Faceva caldissimo. Perdemmo il trenino di Montenvers e, 23 ore dopo aver lasciato il rifugio, raggiungemmo la strada a monte di Chamonix. Un’automobilista, vedendomi sanguinante, mi caricò.

Molti anni dopo appresi che un amico, Lorenzo, era morto così sull'Ortles. Appiattito sul pendio aveva aspettato in silenzio di essere colpito, oppure la miracolosa salvezza, che per lui non arrivò.

Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso
Il lampo in un orecchio nell'altro il paradiso
Le lacrime più piccole
Le lacrime più grosse
Quando l'albero della neve
Fiorì di stelle rosse


di Maurizio Oviglia

(ispirato ad Abbi Fede, racconto contenuto in "La linea Invisibile", Fabula Editore)




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