La Trappola Celeste sul Baruntse, Márek Holeček racconta la nuova via con Radoslav Groh

L'alpinista ceco Márek Holeček parla di Heavenly Trap, Trappola Celeste, la via aperta in stile alpino in 10 giorni sulla parete ovest del Baruntse (7129m) in Nepal insieme a Radoslav Groh.
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Heavenly Trap su Baruntse di Márek Holeček e Radoslav Groh
Márek Holeček, Radoslav Groh

Dal 21 al 30 maggio i due alpinisti cechi Márek Holeček e Radoslav Groh hanno aperto una nuova via sulla parete ovest del Baruntse (7129 m) in Nepal, a sinistra della via russa aperta nel 1995 da Valery Pershin, Yevgeny Vinogradsky e Salavat Khabibullin durante una spedizione guidata da Sergey Efimov. Una volta in vetta, Holeček e Groh sono rimasti intrappolati in una tempesta e hanno finito il cibo, avendo pianificato di trascorrere sei giorni a scalare la montagna in stile alpino, non dieci. La coppia ha sopportato una discesa estenuante in condizioni terribili e dopo un bivacco finale sono stati trasportati prima in elicottero e poi in aereo a Kathmandu. Chiamata Heavenly Trap, ovvero Trappola Celeste, e dedicata ai loro connazionali Petr Machold e Kub Vanek che perirono su questa parete 8 anni fa, secondo il due volte vincitore del Piolet d'Or (per le nuove vie sul Gasherbrum I nel 2017 e Chamlang nel 2019, entrambi con Zdeněk Hák), questa è la via più difficile che lui abbia mai salito in alta montagna.


UNA TRAPPOLA CELESTE SU BARUNTSE
di Márek Holeček

Il mio obiettivo e di "Radar" Radoslav Groh era la parete ovest del Baruntse (7129 m), che sale ripidamente sopra la valle di Hunku nella regione del Khumbu in Nepal. Per diversi anni avevo accarezzato l'idea di aprire una nuova linea su questa bellissima parete, e ho sempre pensato a questa cima con grande rispetto. Nel 2019 l'idea si è riaccesa quando ho rivisto il Baruntse in tutta la sua bellezza. All'epoca però c'era un'altra montagna nella mia lista, poco più avanti, nella stessa valle, ovvero la parete NO del Chamlang, che ho salito poi con Zdenda "Háček" Hák. Quella fugace vista della montagna mi è bastato però per rendermi conto che dovevo tornarci, ecco quindi spiegato il mio ritorno quest'anno.

Abbiamo raggiunto il campo base sotto il Baruntse il 13 maggio. Eravamo già ben acclimatati dal trekking precedente, quindi abbiamo soltanto aspettato quattro giorni consecutivi di bel tempo per iniziare a salire la parete ovest. Il 21 maggio abbiamo preparato il materiale per l'arrampicata e il cibo per sei giorni, poi abbiamo attraversato il ghiacciaio fino a raggiungere un bivacco appena sotto la base della montagna.

Il giorno successivo siamo partiti presto ma abbiamo incontrato problemi fin dall'inizio, perché abbiamo trovato ghiaccio duro nella parte bassa che spesso si è trasformato in complicate sezioni di misto. Questo perché la parete ovest ha subito un grande cambiamento negli ultimi anni di siccità. In effetti, molta neve e ghiaccio sono scomparsi dai pendii e, nelle condizioni attuali, non riesco proprio ad immaginare che qualcuno possa ripetere la via del 1995 di Sergey Efimov sul pilastro a destra della nostra linea.

A causa della complessità del terreno non siamo riusciti a fare rapidi progressi. Al contrario, più salivamo, più le cose diventavano difficili. Quando il sole e le temperature si sono alzate, hanno iniziato a scaricare delle frane mortali. Dopo dieci ore sulle punta dei ramponi, non abbiamo avuto altra scelta che scavare una piazzola sul ghiaccio, sederci e, agganciati alla corda, sopravvivere al primo bivacco. Eravamo nel posto sbagliato al momento sbagliato, e circa un centinaio di metri più in basso di quanto inizialmente previsto.

Il 23 maggio il tempo era buono. Siamo saliti verso la placca ghiacciata, che ci ha portato in diagonale verso sinistra, oltre le rigole di neve per raggiungere i tratti di roccia. Le nostre piccozze hanno colpito ghiaccio duro tutto il giorno e abbiamo seguito un canalino, che era delimitato da una costola composta da neve non consolidata. Guadagnare altezza è stato lento e ci è costato molta energia. Prima del tramonto abbiamo scoperto un buco sufficientemente grande per la nostra tenda e abbiamo bivaccato.

La mattina successiva ci siamo trovati di fronte al punto chiave dell'intera via, una barriera di roccia marcia alta 250 metri subito sopra le nostre teste. Ci è voluto un po' per decidere dove salire e sfortunatamente la nostra velocità di salita ha iniziato a rallentare proprio quando il tempo è peggiorato. Con tutte le nostre forze siamo saliti tra abbondanti nevicate fino a settanta metri sotto la cresta, ma lì siamo stati costretti a bivaccare. Fortunatamente, abbiamo trovato uno sperone roccioso, che sporgeva ripidamente sopra la valle, esattamente delle dimensioni della nostra piccola tenda.

Il 25 maggio il tempo era brutto, ma non c'era altra via d'uscita che salire in cresta, raggiungere la vetta e scendere per la "via normale“. Più facile a dirsi che a farsi però, e a causa delle abbondanti nevicate e dei forti venti gli ultimi tratti di misto ci hanno richiesto tutto il giorno di salita. Siamo arrivati ​​in cima intorno alle 16:00, completamente ghiacciati, e a causa delle nuvole fitte non riuscivamo a vedere il successivo passo davanti a noi. Poco dopo abbiamo piantato la nostra tenda. Durante la notte un uragano è arrivato e ha coperto completamente la nostra tenda di neve fresca. Il vento ha continuato a soffiare forte la mattina successiva, portando con sé grandi quantità di neve fresca. Abbiamo provato a scendere, ma dopo pochi metri abbiamo rimontato la tenda e ci siamo ributtati dento. Con quelle condizioni era semplicemente impossibile proseguire.

Per i due giorni successivi il tempo è stato diabolico, e anche i compiti basilari come bollire l'acqua o urinare erano ai limiti della sopravvivenza. In diverse occasioni abbiamo dovuto liberare la nostra tenda dalla neve e ci siamo semplicemente seduti lì ad aspettare. E a pregare. Non potevamo fare altro. Tutto quello che avevamo era bagnato e congelato, e avevamo freddo.

Il tempo è finalmente migliorato un po' il 29 maggio, il vento si è calmato e la visibilità è migliorata leggermente. Siamo scesi per più di 1000 metri lungo l'affilata cresta che scende verso valle, ma a causa dell'enorme quantità di neve fresca e del forte rischio di valanghe la nostra progressione è stata lenta. Nel pomeriggio era chiaro che non saremmo riusciti a raggiungere il ghiacciaio, e che ci aspettava un altro spiacevole bivacco.

Il 30 maggio ci ha accolto con una bellissima mattinata e la promessa di sarebbe stato un grande giorno. Abbiamo subito approfittato di questa opportunità e abbiamo chiamato un elicottero con il telefono satellitare. Le ragioni erano ovvie: nessuno ci aspettava giù al campo base. Inoltre, i pendii della montagna e l'intera valle erano ricoperti da grandi quantità di neve fresca ed instabile. Dopo aver sopportato giorni difficili in montagna, nessuno di noi ha voluto sfidare ulteriormente la fortuna e rischiare di essere travolti da una valanga. Fortunatamente la nostra chiamata è stata ascoltata e alle 7 del mattino siamo stati liberati dall'inferno ghiacciato da un elicottero che ci ha portato direttamente attraverso l'Himalaya a Lukla in soli 30 minuti.

Heavenly Trap è il nome della nostra nuova via che porta ripidamente attraverso la parete ovest del Baruntse. Le difficoltà della salita sono stimate in ABO+ (M6+/VI+/80°), per una lunghezza totale della via di 1800 m (1300 m di dislivello). Abbiamo concordato di voler dedicare la nuova via ai nostri due amici Petr Machold e Kuba Vanek, scomparsi su questa parete otto anni fa, da allora non sono mai stati avvistati. Posso tranquillamente affermare che finora non ho mai affrontato una salita più difficile in montagna. Vorrei ringraziare il mio compagno di cordata Radárek, e Dio Onnipotente per la loro pazienza. È stato grazie a loro che è stato possibile creare questo gioiello alpinistico.

Maara

Link: FB Marek HolecekMammut




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