La Fisica, l’alpinismo e la letteratura: una via per la natura e la bellezza. Di Silvia Petroni

Silvia Petroni, Fisica, alpinista e scrittrice, esplora il percorso che attraverso la natura, la scienza, l'arte e l'alpinismo avvicina alla conoscenza di sé, degli altri e del mondo.
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Silvia Petroni in arrampicata in Dolomiti, guardando il Passo Gardena e le Torri dei Cir (Gruppo Puez - Odle)
archivio Silvia Petroni

«La natura è uno specchio, uno specchio, il più trasparente che ci sia! Guardaci dentro e ammirati, ecco!» Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Ricordo come fosse ieri l’emozione che ho provato il giorno in cui i tasselli del puzzle hanno d’improvviso combaciato perfettamente tra loro: finalmente iniziavo a comprendere la Fisica Moderna nel profondo della sua essenza.

Sino a quell’indimenticabile pomeriggio, avevo osservato il mondo attorno a me attraverso una nebbia sottile e uniforme. Una foschia aveva nascosto abilmente ai miei occhi la vera struttura della realtà: ordinata, lineare, essenziale; di un’eleganza e di un’armonia inattese.

Mi rivedo a sgranare gli occhi. Un po’ come fanno adesso i miei nipoti, quando racconto loro che la Terra gira attorno al Sole a trenta chilometri al secondo e il Sistema Solare attorno al centro della Via Lattea a duecentoventi chilometri al secondo. Allo stesso modo, in quel periodo così ricco di stimoli mentali, mi stupivo ed emozionavo di fronte alla poesia della Fisica Moderna. Sì, mi ripeto, di fronte alla poesia della struttura intrinseca della natura.

Ho imparato che l'arte è l'espressione estetica dei pensieri e della sensibilità umani. Permette di percepire la realtà in un modo nuovo, poiché di fronte all’arte interviene con forza, in ognuno di noi, la mediazione dei sensi. L’arte è bellezza. Allo stesso modo, per me, la Fisica è bellezza.

Naturalmente per capirla, per accedere alla percezione della realtà che essa svela, serve un lungo percorso di studio che, nel caso della scienza fisica, permetta di acquisire competenze matematiche raffinate. Ma dedizione e fatica non sono necessarie in ogni ambito? Applicarsi con impegno, non è indispensabile per comprendere ogni materia? Come possibile arrivare a percepire tutta la suggestione di opere come quelle di Mozart, Michelangelo, Van Gogh, Dante o Austen, senza impegnarsi nello studio.

Tutto ciò vale anche per l’alpinismo. Siamo in grado di apprezzare nel profondo la bellezza di una salita alpinistica, se conosciamo la sua storia, ovvero le vicissitudini degli uomini e delle donne che hanno compiuto i primi tentativi, di quelli che hanno rinunciato e di coloro che sono riusciti nell’impresa. Allo stesso modo, quando camminiamo in montagna, soltanto se avremo le conoscenze adeguate, i nostri sensi saranno in grado di notare un fiore o una pianta o un animale che sappiamo crescere a fatica oppure trovarsi di rado in quel particolare luogo. E, magari, ci commuoveremo nell’osservarlo.

La logica unita al guizzo d’ingegno, la “lucida follia” di alpinisti che con il solo ausilio di una cartolina si sono recati alla base di una parete immensa per risolvere uno dei massimi problemi delle Alpi; o di altri che, sui cinque chilometri di una muraglia di placche repulsive, hanno individuato una impeccabile incisione di fessure che permette di uscire dalla parete sud per antonomasia. Ma, anche, la pulita sequenza di movimenti dove grazia e forza impegnano muscoli e tendini nell’assecondare il corpo sui passaggi tecnici di una salita moderna. L’ingegnosità nel risolvere taluni grattacapi alpinistici, l’estetica delle linee individuate, l’armonia del gesto dell’arrampicata lasciano stupefatti.

Credo davvero che la scienza, l’arte, la cultura in generale aumentino lo spettro delle cose belle della vita. Ci forniscono occhi nuovi con i quali osservare la realtà intorno a noi e il premio alla nostra dedizione è la scoperta di una profondità inattesa, di un’armonia che è pura bellezza. La Fisica, l’alpinismo e la letteratura (mi concentro su di essi, poiché sono i tre aspetti che porto avanti nella mia vita), nelle loro diverse sfaccettature, sono dunque accomunati dalla bellezza e dall’impegno necessario per arrivare a coglierla in tutta la sua essenza.

Ma c’è anche altro che li accumuna. Per esempio, il coraggio e l’umiltà. Due attitudini umane di fondamentale importanza in alpinismo. Il coraggio permette di sperimentare le proprie abilità di scalatori in prossimità dei limiti individuali; l’umiltà garantisce la capacità di valutare correttamente le proprie potenzialità tecniche e mentali, presupposto di importanza cruciale per la felice conclusione di una salita.

Più forzato potrebbe apparire l’estensione di questi concetti alla Fisica o alla scrittura. Eppure, nello studio della struttura e delle dinamiche della materia ho avvertito con chiarezza la sensazione di portare al limite le mie capacità intellettive. Ho trascorso nottate nel tentativo di comprendere nel profondo gli aspetti connaturati alla fisica del mondo in cui viviamo, che appaiono, dapprincipio, così lontani dai sensi. Il coraggio e l’umiltà spronano a “mettersi in gioco”, a proseguire nel faticoso percorso di studio, pur accompagnati dalla consapevolezza che le potenzialità individuali di comprensione possano scontrarsi, da un momento all’altro, contro un muro di dimensioni e spessore infiniti…

Anche nella scrittura il coraggio e l’umiltà sono qualità cruciali. Per scrivere è fondamentale sapersi mettere in gioco completamente, pur consapevoli delle proprie lacune e debolezze. E questo non soltanto se si narrano episodi ispirati al vissuto personale. Credo che un’analisi interiore disillusa, brutale persino, sia condizione necessaria per riuscire a raccontare in forma artistica ogni aspetto della vita, ogni pensiero, sia esso legato alla realtà o alla fantasia. Il bravo scrittore sa coinvolgere il lettore anche quando racconta la quotidianità del vivere, così come il bravo pittore sa realizzare un capolavoro dipingendo la propria camera da letto.

Toccando un altro aspetto, ecco che la visione del mondo cui la Fisica permette di accedere torna d’aiuto nel ridimensionare certi cosiddetti “problemi terreni”, ovvero aiuta a collocare nella corretta gerarchia d’importanza le futili piccolezze alle quali l’indole umana appare ancorata in maniera incontrovertibile. Mi spiego.

Accade che, tra le centinaia di migliaia di trilioni di stelle presenti nel Cosmo, che decorano l’Universo osservabile per un centinaio di miliardi di anni luce, accade che – dicevo – sul nostro bel pianeta, noi, esistiamo. Siamo “pezzetti” della natura, nient’altro; e, come tali, siamo governati dalle sue leggi. La natura è abbastanza ricca da comprendere meraviglie sorprendenti (chissà quante, ancora, che non conosciamo e non conosceremo mai!) e, anche, noi. Ma c’è di più. Perché anche le pietre esistono: noi, in effetti, siamo vita. Una particolare forma di vita, che possiede un’intelligenza sviluppata e la stupefacente attività riflessiva del pensiero, ovvero la coscienza di sé. Ebbene, ho sempre trovato poco sensato sprecare la nostra dimensione mentale – questa fortuna sfacciata che ci ritroviamo! – litigando con il vicino di casa perché un ramo dell’oleandro di lui sbuca di sette centimetri all’interno della nostra proprietà. Piuttosto, trovo lungimirante dedicarsi a sfruttare appieno le proprie potenzialità.

Anche la scrittura ha questo potere su di me. La critica, l’ironica, di più, la sarcastica visione di sé e delle umane debolezze in generale, mi aiuta a percepire con una maggiore leggerezza e un certo distacco le problematiche legate ai suddetti sette centimetri del ramo di oleandro.

Infine c’è l’alpinismo, con i suoi problemi quanto mai tangibili da risolvere. Centimetro dopo centimetro, si procede con circospezione alla ricerca di una soluzione, di una “via d’uscita” al grattacapo che ha catturato con forza la nostra attenzione, tanto da averci spronato a dedicare a esso una enorme fetta delle nostre energie fisiche e mentali.

Un ultimo aspetto suscita il mio interesse. Le prime volte che io (Fisica) ho fatto leggere a mio padre Franco (critico letterario e scrittore) i miei racconti, mi aspettavo da lui più d’una correzione. Non potevo essere più lontana dal vero. Se mi sentivo indecisa a riguardo del modo di strutturare un certo periodo del testo, capitava che proponessi a mio padre due opzioni possibili. Ma lui: “Silvia, è difficile esprimersi in proposito e non sarebbe utile che lo facessi: solo tu puoi sapere qual è la forma più adatta, soltanto l’autore può discriminare tra un termine e l’altro”. Niente da fare: di consigli non ne arrivavano. Neppure quando avevo obiettato a mio padre che, almeno nel caso in cui avesse scorto nel testo qualche strafalcione di grammatica o di sintassi, allora sarebbe stato quanto mai opportuno se me lo avesse segnalato! Invece: “Anche quelli possono stare”, aveva sentenziato.

Un consiglio, uno solo, è arrivato da parte sua a riguardo della scrittura: “Silvia, ricorda cosa disse Michelangelo: ‘L’arte si fa per via di tòrre’”. Dunque, togliere, ovvero tenere l’essenziale. In caso di dubbio, a riguardo della formulazione di un concetto da esporre, era buona norma – a suo modo di vedere – quella di concentrarsi sull’essenziale e di eliminare, dunque, l’appesantimento che il superfluo porta inevitabilmente con sé. Mi indicò la strada per avvicinarmi all’arte.

Niente di più vero riguarda la scienza fisica, che da sempre mi affascina, di più, mi emoziona per la sua essenzialità. Basti pensare alle forze fondamentali che descrivono tutti i fenomeni fisici della natura, quattro soltanto (anzi tre, perché due di esse sono, in effetti, manifestazioni della medesima forza). Oppure alla affascinante sintesi proposta dal cosiddetto Modello Standard, che riassume le conoscenze attuali sui costituenti fondamentali della natura e su come essi interagiscono tra loro. Ma non mi dilungherò su un argomento che notoriamente spaventa o, altresì, che è responsabile di irreversibili attacchi di sonnolenza. Esemplifico il concetto riportando una frase del grande fisico statunitense John Wheeler, che splendidamente sintetizza l’essenzialità dei risultati della teoria della Relatività Generale: “La materia dice allo spazio-tempo come incurvarsi, e lo spazio curvo dice alla materia come muoversi”. È davvero tutto qui.

Tornando all’alpinismo, ricordavo poco innanzi una grande ovvietà, ovvero che non esistono l’uomo e la natura: l’uomo è natura, una sua parte integrante. Al contempo, si differenzia da quant’altro della natura faccia parte, poiché l’essere umano è autocosciente. Da qui il paradosso: pur essendo, noi, un “frammento” della natura, la capacità di immaginazione e di razionalità che possediamo ci allontana dalle dinamiche istintuali proprie dell’originaria armonia con la natura, e genera nella nostra mente ansie e insicurezze, attestandoci in un più o meno accentuato non-equilibrio. Fino ad arrivare all’assurdo che la nostra stessa esistenza costituisce per noi un quesito aperto.

Se la vita si rivela “un problema”, il pensiero della morte non è da meno. Emerge la dicotomia esistenziale per eccellenza, ovvero il dualismo tra la vita e la morte: la fine, il termine ultimo, l’annullamento mentale è quanto di più incompatibile vi sia con l’esperienza del vivere; eppure, la consapevolezza della propria mortalità influenza notevolmente la nostra vita. Il che pone le basi di un’altra problematica ansiogena, quella tra le nostre potenzialità e l’impossibilità della loro completa realizzazione nel tempo limitato della nostra esistenza.

Da qui l’affanno, derivante dall’inarrestabile fuga dal sé-ora, nell’illusione che il proiettarsi in un sé rigorosamente successivo al sé-presente dia una sorta di “immortalità” e, dunque, di illimitatezza delle nostre possibilità di azione e di pensiero. La tecnologia ci viene in aiuto. La velocità dei tempi moderni, le facilitazioni delle quali ci siamo circondati veicolano la nostra brama di vita nell’immediatamente successivo al qui e ora.

La struttura sociale pianifica i nostri pensieri, le nostre azioni e i nostri svaghi; soffoca istinti primordiali quali la sete e la fame, il freddo e il caldo, la fatica e la spossatezza, privandoci della possibilità di godere appieno della soddisfazione degli stessi. Reprime anche la nostra fantasia, le energie, la curiosità e lo spirito di avventura, istinto primordiale quanto mai impetuoso nell’essere umano. Eppure, noi stessi abbiamo contribuito a costruire questa organizzazione sociale e, giorno dopo giorno, la sosteniamo con la nostra economia.

Tornare al mare, ai deserti, alle foreste, alle montagne, significa interrompere la corsa assennata verso la proiezione alternativa al contesto presente. Significa riprendere contatto con la dimensione passata, con le nostre radici interiori. Proviamo piacere nell’utilizzare appieno l’energia dei nostri muscoli mentre corriamo e saltiamo, ed entusiasmo nel toccare la roccia quando ci arrampichiamo su di essa oppure nel sentire l’acqua che avvolge il nostro corpo durante un tuffo in mare. Si tratta di una “essenzialità” non antropologica, forse, legata al periodo storico e alla nostra cultura, direbbero gli studiosi, ma della quale, io credo, la nostra indole soffre quando privata.

Trascinati dalle dinamiche comportamentali che si sono consolidate e da una tecnologia che sopprime attitudini manuali e sensoriali ancestrali, veniamo colti soltanto sporadicamente dalla percezione di perdere qualcosa che apparteneva, chissà quando, alle nostra essenza di esseri viventi. Di questo palinsesto mentale opprimente che fagocita la mia indole per risputarla fuori smembrata, mi rendo conto con lucidità in montagna, mentre scalo. La matassa ingarbugliata e sgangherata di quel che resta di me pulsa ancora di vita; lo sento, e ho la serenità e la lucidità, immersa tra le rocce, di arrestare la mia corsa ossessiva per dedicarmi con impegno a raccogliere i brandelli rimasti della mia “essenzialità”. Riesco così, in qualche modo, a “ricostruirmi”; tornando a una naturalità della quale, costretta nel cemento urbano, avevo perso la dimensione. Aguzzo la vista, apro le orecchie, studio, ragiono, valuto, prendo decisioni importanti, talvolta cruciali. Svaniscono ansie, dubbi, indecisioni, smarrimenti; mi scopro saper controllare con pragmatismo la paura. Gestisco appieno me stessa, qualcosa di magnifico, cui non ero quasi più abituata. E, una volta “approdati a se stessi”, accade persino che la conoscenza dell’“altro da sé” risulti più accessibile, perché meno impenetrabile.

Ecco che il massiccio prorompere della tecnologia nella dimensione naturale, nella quale ci rifugiamo per dimenticare la ottimizzata funzionalità moderna, può venirci in aiuto nell’alleviare fatiche fisiche e nel risolvere problemi contingenti ma, al contempo, sterilizza le nostre pulsioni istintuali, vanificando il cristallizzarsi della consapevolezza della nostra dimensione intellettiva ed emotiva.

Dunque, “La natura è uno specchio”, un ritratto che ci permettere di osservare noi stessi. La società è pure uno specchio della nostra indole e delle nostre potenzialità; ma, io credo, l’immagine di noi che essa genera è, quando più quando meno, un’immagine deformata…

In conclusione, la scienza fisica per prima, l’alpinismo in seguito e la letteratura in ultimo – l’ordine con cui sono entrate a far parte della mia esperienza di vita – sono passioni che hanno cambiato e che modificano, giorno dopo giorno, il modo con il quale percepisco il mondo. Non potrei vivere senza la possibilità di dare libero sfogo alle forme espressive che scalpitano in me. Mi vengono in mente quegli artisti di strada che si incontrano di sovente nei vicoli storti dei centri storici. Le loro mani, il loro viso, i loro abiti: un tutt’uno con i mozziconi di pastelli che stringono tra le dita. Incurvati dai loro pensieri, dipingono sull’asfalto, pur consapevoli che la pioggia laverà via, in breve, le loro sensibilità.

Silvia Petroni

Silvia Petroni è nata a Pisa, città dove ha compiuto gli studi universitari conseguendo la Laurea e il Dottorato di Ricerca in Fisica. Nel 2009 ha vinto il primo premio nella sezione inediti della VII edizione del Premio Letterario Nazionale “Leggimontagna” con il racconto dal titolo Notte nel cielo; nel 2010 ha vinto il primo premio nella sezione inediti della XIV edizione del Concorso di Narrativa di montagna “Carlo Mauri” con il racconto dal titolo Lo zio Gabriele. Entrambi sono contenuti nel suo libro "IL VUOTO TRA GLI ATOMI" (edizioni ETS) con il quale ha vinto il 3° posto per la narrativa del Premio Letterario Leggimontagna 2017 (vedi video)



Silvia Petroni si dedica alla divulgazione dell’alpinismo attraverso conferenze e proiezioni riguardanti la sua attività su roccia, ghiaccio e misto.

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