Ueli Steck - vuoto assoluto

Le salite in solitaria di Ueli Steck su Cholatse e Tawoche in Himalaya, raccontate da Christine Kopp.
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Ueli Steck
Ueli Steck

Quando Ueli Steck racconta delle sue imprese in montagna, l’ascoltatore ha bisogno di un po’ di fantasia e sapere qualcosa sul livello degli arrampicatori d’élite di oggi. Se no, potrebbe avere l’impressione sbagliata che lo svizzero stia parlando di una passeggiata domenicale – una passeggiata domenicale fatta su terreno verticale, le cui difficoltà però non valgono nessuna citazione. La realtà è ben diversa: Nel giro degli ultimi anni, il ventinovenne alpinista ha sviluppato le sue capacità, tiro dopo tiro, fino ad essere uno dei più forti arrampicatori su roccia e ghiaccio nel mondo. Un lavoro duro: Chi vuole far parte dell’alpinismo di punta, deve praticare varie discipline ad alto livello; e se vuole vivere di montagna, deve ottenere dei risultati che possono essere commercializzati e quindi interessanti anche per gli sponsors. Ueli Steck è riuscito a fare questo passo – anche se sottolinea che suo fratello, professionista di hockey su ghiaccio, guadagna molto di più con lo stesso dispendio di energie e tempo per l’allenamento ma molto meno rischio. Questa è la dura quotidianità del professionista di montagna …

L’anno scorso, Ueli Steck ha suscitato grande clamore con la solitaria di Excalibur senza corda, via quotata 6b su una parete di 350 metri estremamente esposta e difficile nei Wendenstöcke, e con una trilogia veloce delle pareti nord di Eiger, Mönch e Jungfrau in venticinque ore con Stephan Siegrist. Adesso ha rincarato la dose con la sua spedizione chiamata “Khumbu-Express” nella regione nepalese dell’ Everest: Il risultato sono la salita in prima solitaria della parete nord del Cholatse (6440 m) e della parete est del Tawoche (6505 m) – che sono, sia ben inteso, anche le prime solitarie assolute sulle due montagne.

Piccola salita notturna
Sull’Ama Dablam (6814 m), che doveva essere la terza salita con la parete nordest di 1700 metri di dislivello, Ueli Steck ha scelto intelligentemente di tornare indietro a 5900 m per le condizioni pericolose dovute ad abbondanti nevicate. E sul Tawoche capiva subito, durante il primo tentativo di salita sul bastione roccioso della parete est, che sarebbe stata un’impresa kamikaze; perciò si è deciso per una via di ghiaccio nella parte sinistra della parete. Qui ha trovato una bella linea continua e non particolarmente difficile per lui, che ha salito in quattro ore e mezza nella notte tra il 24 e il 25 aprile. Al mattino, dopo la discesa per la stessa via di salita, era di ritorno puntuale al campo base per la prima colazione … Questo dopo 1500 metri di salita e discesa su ghiaccio tra i 50 e 60 gradi e alcuni tiri verticali come dessert (valutazione M5)! Prima di lui, per sette anni nessun uomo è stato in cima a questa montagna meravigliosa.

Sensazionale è stata la prima salita solitaria dei 1500 metri della parete nord del Cholatse che Ueli Steck è riuscito a portare a termine nel quadro della sua piccola spedizione – tra l’altro, il suo stile di arrampicata è un disappunto contro la tendenza delle spedizioni commerciali di usare corde fisse, ossigeno supplementare e altri mezzi d’aiuto. Una paretona, le cui difficoltà (ghiaccio verticale, roccia valutata grado V dallo svizzero e terreno misto fino a M6) sono paragonabili alla parete nord dell’Eiger. Richiedono però tutto un altro impegno psicologico: Se succede il minimo incidente, l’arrampicatore su questo imponente bastione himalayano è perso; un soccorso sarebbe impossibile, spiega Ueli: “Sei estremamente esposto; la più piccola disattenzione potrebbe essere fatale!”

Alle 3 del mattino del 14 aprile, Ueli Steck lascia il suo sacco a pelo caldo al campo base e sale al deposito di materiale posto prima al piede della parete. Appena inizia l’arrampicata vera e propria, si sente entrare in una specie di stato meditativo. Uno stato in cui conta unicamente la salita: “Sono completamente concentrato sull’arrampicata nel presente più assoluto e caccio via tutti i pensieri su ciò che potrebbe venire dopo.” La vita quotidiana, la sua compagna che l’ha accompagnato fino al campo base – tutto è lontanissimo.

“Certo”, amette Ueli Steck, “appena sono sulla parete, divento totalmente egoista. Ma a maggior ragione mi diverto dopo una salita a fare qualcosa con la mia ragazza. Però forse non riuscirei a farlo se non posso vivere il mio lato molto estremo e spinto verso la prestazione.” Uno non può immaginarsi la paura continua che si ha per la persona amata mentre questa scala in solitaria; non sorprende quindi che il partner (o meglio la partner …) sia sfinito quanto l’arrampicatore dopo una tale impresa – almeno sul piano psicologico!

Parola magica: la mente
La psiche. La parola magica per tali imprese: Salite in solitaria di questo livello non sarebbero possibili senza la capacità di concentrarsi fino all’ultima fibra del proprio corpo e della propria mente sull’arrampicata e sul passo successivo. “Ho sempre avuto una testa forte”, dice Ueli in modo laconico. Quindi non ha mai avuto bisogno di studiare libri sulle teorie e sulle tecniche mentali … Queste capacità sono, per così dire, innate in lui. “Se riesci a concentrarti pienamente su qualcosa, rimani obiettivo. La paura nasce, quando non sei più obiettivo. Dalla mia esperienza sapevo che ero sicuramente all’altezza delle difficoltà della parete del Cholatse. Questo sapere, però, dovevo trasporlo durante la salita.”

E quando viene la paura? Nel bivacco. A circa 6000 metri, Ueli Steck si è installato in una piccola truna di neve dopo centinaia di metri di terreno pericoloso e ripido, sul quale si faceva sicurezza con la sua corda; tiri che lui, mentalmente, valutava come meno gravosi, proprio perché si poteva assicurare. I passaggi peggiori, dice Ueli Steck, sono invece quelli su terreno leggermente meno ripido ma spesso molto esposto, dove uno non può farsi sicurezza. E poi il bivacco: “Allora diventa dura la faccenda. Cominci a pensare. Queste sono le ore difficili. L’esposizione non mi permette di calmare i miei pensieri. L’ambiente è opprimente. Devi cercare di cambiare di nuovo modo di ragionare e pensare razionalmente, obiettivamente.”

Dopo il bivacco altri 450 metri di dislivello, sicuramente i più insidiosi: Terreno ripido a 85 gradi con neve poco trasformata, nella quale le sue picozze non tenevano. Poi, finalmente, la cresta prima della vetta tanto desiderata. Mancavano solo 250, forse 300 metri di dislivello. Ma … Un salto dopo l’altro, tratti di cresta talmente stretti che Ueli doveva superarli a cavalcioni. E poi, tutto ad un tratto, a solo 50 metri dalla cima, un crepaccio tagliava la cresta in due: “Se avessi avuto abbastanza materiale, a questo punto sarei tornato indietro e sarei sceso per la parete in doppia – anche se ero vicinissimo alla cima. Questo passagio mi ha chiesto tutto – e dopo una giornata in cui mi ero dovuto motivare sempre di nuovo e concentrare sempre su un’altra piccola ‘tappa’ non ci voleva! A sinistra e a destra del crepaccio, un abisso di 1500 metri. Passarlo sulla cresta – impossibile. Mi sono dovuto decidere per una manovra delicatissima: scendere di tre metri sulla parete sud, entrare nel crepaccio, salirlo in spaccata, attraversare sulla parete opposta più in alto e poi il passo più difficile: uscire, piantando le mie picozze nella neve farinosa sopra il bordo del crepaccio, nella speranza che avrebbero tenuto quando avrei fatto il passo decisivo e che non sarei semplicemente caduto indietro!”

Dieta secondo Dr. Steck
Dopo questo passaggio, Ueli doveva, come prima cosa, riprendere fiato – su queste quote, a più di 6000 metri, l’arrampicata dev’essere gestita in modo intelligente per non finire in mezzo a un tiro difficile respirando pesantemente. Poi, dieci minuti più tardi, la cima. Per scendere dalla cresta sud, utilizzava i suoi ultimi chiodi e moschettoni prima di arrivare ad un plateau sul ghiacciaio dove bivaccava una seconda volta. Menu: acqua calda. Non aveva più niente da mangiare. I quattro Powerbars e la porzione di spaghetti erano già finiti da un po’. Ueli: “Un programma di dieta carino!”

La velocità, e quindi il peso del materiale portato, sono un punto fondamentale per una tale impresa. Perciò, l’attrezzatura dev’essere ridotta al minimo indispensabile. Ogni grammo conta. Se un arrampicatore estremo riesce ancora a superare dei passaggi verticali con uno zaino di sei chili (come lo aveva Ueli Steck) e ad essere veloce su terreno meno ripido dove non si fa sicurezza, questo non è più possibile con uno zaino di dieci chili. Dall’altra parte, l’apporto di calorie durante prestazioni di questo livello è essenziale; Ueli Steck dice, che il terzo giorno, senza mangiare, sarebbe diventato pericolosamente lento. Dopo la prima “orribile” barretta di cioccolato ricevuta da un trekker incontrato dopo la sua discesa, finalmente torna al campo base. Qui mette in funzione la sua caffettiera, compagna fedele in tutto il mondo, e fa il primo vero caffè …

E dopo … Dopo il vuoto assoluto sulla parete, il vuoto assoluto nel suo cuore. Un crollo che Ueli non si aspettava. Per una settimana, racconta, era completamente spompato e sfinito. Un vuoto emozionale come non aveva mai vissuto prima – con i pensieri che ruotavano sempre intorno alle possibilità di come la sua salita sarebbe potuta finire male. Un’ossessione che quasi lo portava letteralmente a levare le tende e andarsene a casa. Solo molto più tardi, finalmente, la gioia: per aver compiuto qualcosa di estremo totalmente solo e senza aiuto. Una soddisfazione, come onestamente amette Ueli Steck, che porta ad aumentare la sua autostima, una riconoscenza del tipo più estremo. Aggiunge però, che uno non deve assolutamente farne tante di questo tipo di salite in solitaria: diventerebbero una routine che farebbe perdere lo stato di concentrazione totale e commettere un’errore. E un errore, in una tale impresa, sarebbe quasi sempre fatale.

La caffettiera lo accompagna
Perché, si chiede la persona estranea, a volte confusa, a volte arrabbiata, perché un’estremo deve sempre fare delle esperienze sul filo tra la vita e la morte? Cos’è che fa assoggettare l’alpinista estremo tutto il resto della sua vita ad un’unica salita e esporsi a un rischio talmente alto? La risposta è facile e nello stesso tempo difficilmente comprensibile: La vita quotidiana non basta a questo tipo di uomini. Solo nella coscienza della loro fragilità vivono questa ineguagliabile sensazione di essere pienamente vivi; sensazione, che, una volta sperimentata, porta alla ricerca di una nuova. Quando fanno questi passi, si sentono svegli come non mai, in un modo che fa diventare la sensazione di vivere più forte di prima. Una caduta nel vuoto interiore dopo una tale salita sembra quindi solo logica. “Vivere intensamente il presente nella sua forma più assoluta”, lo definisce Ueli Steck. E non esclude, per il futuro, di sondare le sue capacità su una montagna ancora più alta; capacità, che secondo lui potrebbero essere migliorate solo sul piano psicologico, non più su quello fisico. Ma Ueli non sarebbe Ueli se prima non cercherebbe di vivere un attimo di pace e tranquillità. La sua caffettiera e le tanto amate barrette energetiche gli servono anche a casa, per vivere la vita quotidiana con lo stesso atteggiamento sveglio e attento con cui sale le pareti più imponenti del mondo.


UELI STECK
Classe 1976, professione carpentiere, oggi alpinista professionista e Opinion Leader di New Rock (www.newrocksport.ch) il cui titolare Romolo Nottaris presenterà un film sulle imprese di Ueli Steck in Nepal nell’autunno 2005.

Il suo palmarès include salite classiche in parte fatte in solitaria, salite difficili su ghiaccio e misto (fino a M11, tra altre Mission impossible, The Empire strikes back, salita flash di Tooltime, Tomahawk), arrampicate sportive fino all’8b+ (tra altre Hexenküche, No Sika – no Crime), Big Walls fino a A3+ e prime salite come sul Pumori (parete ovest, 1400 m, M4, 80°, con Ueli Bühler), sul Mount Dickey in Alaska e sulla parete nord dell’Eiger (The young Spider, 1800 m, 7°/A2, W16/M7, con Stephan Siegrist).

Nel 2003, dopo due tentativi sulla parete nord del Jannu, sale in rotpunkt La Vida es Silbar (parete nord dell’Eiger, 900 m, 7c). Nel 2004 supera con Stephan Siegrist in 25 ore le pareti nord di Eiger, Mönch e Jungfrau e sale in solitaria e senza sicurezza le vie Silberfinger (6b, 200 m) e Excalibur (6b, 350 m) sui Wendenstöcke. Sale la parete nord dell’Eiger da solo in inverno e altre numerose vie brevi su roccia e ghiaccio, sempre in solitaria, prima di partire nel marzo 2005 in Nepal per il suo “Khumbu-Express”.


Note: Cholatse, 6440m Nepal
Parete Nord
14-15/04/2005
Sviluppo: 1500 m.
Engagement: V, M6
Tempo salita e discesa: 2 giorni + 2 bivacchi
Stile: Solitaria integrale
Discesa: versante sud.

Tawoche, 6505m Nepal
Parete Est
24-25/04/2005
Sviluppo: 1500 m.
Engagement: M5, ghiaccio 50-60°
Tempo salita e discesa: 4.5 ore
Stile: Solitaria integrale



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