Ossola Quota 3000, Alberto Paleari e Erminio Ferrari raccontano la Val d'Ossola d’alta quota

Intervista a Alberto Paleari, autore insieme a Erminio Ferrari del libro Ossola Quota 3000 (MonteRosa Edizioni), una guida alle più belle cime della Val d’Ossola.
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Salendo allo Jägerhorn sotto la seraccata della Nordend
Ossola Quota 3000 - MonteRosa Edizioni

Il futuro dell’Alpinismo? Tra il serio e il faceto, per Alberto Paleari è lo “scrambling”: pietraie, rocce instabili, prati ripidi… e quale terreno migliore della Val d’Ossola, lembo di alpi tra l’estremo nord del Piemonte e la Svizzera, per praticare questa disciplina? Nasce così, quasi un po’ per caso l’idea di “Ossola Quota 3000 – 75 cime da scoprire” (MonteRosa Edizioni), una guida alle più belle cime della Val d’Ossola, scritta insieme a Erminio Ferrari. Una guida che, però, è qualcosa di più di una semplice collezione di relazioni. Per ogni cima gli autori hanno infatti scritto un racconto, che ora è una pagina di diario ora un frammento di storia dell’alpinismo, ora una preziosa testimonianza di come queste montagne, in oltre 50 anni di frequentazione, sono cambiate a causa del cambiamento climatico, rimescolando la carte in gioco per le vie di salita e aprendo nuovi e inattesi spazi di avventura. Abbiamo incontrato Alberto per una breve intervista, per saperne di più su questo libro che ha richiesto, per essere scritto, due estati e… una vita intera.

Come è nata l’idea di questo libro?
Per me è stato un pretesto per andare in montagna con Erminio, quindi il primo movente è stata l’amicizia, poi è venuta l’idea dei Tremila. Tant’è vero che abbiamo cominciato col fare delle montagne solo perché non le avevamo mai fatte, scegliendole però fra quelle meno conosciute, più lontane, e non di bella roccia o particolarmente attraenti. Erano sempre delle camminate su pietraie, rocce marce, prati ripidissimi. Le cercava Erminio col lanternino, montagne di cui non si poteva dire che fossero belle (però a noi piacevano da morire), e neppure di che grado fossero (I, II?) anche se io le trovavo piuttosto difficili. Sempre ad Erminio venne in mente di chiamare quel tipo di salite “scrambling in Ossola” come nel libro di Whymper “Scrambles amongst the Alps”. Era un alpinismo assolutamente fuori moda, direi ottocentesco, come sono quasi tutte le Montagne dell’Ossola a parte le falesie di fondovalle: montagne ottocentesche, appunto. Siccome poi tutti e due abbiamo questa malattia della scrittura (ed Erminio anche quella della fotografia) ci siamo messi a scrivere dei racconti su quelle montagne ed Ermino anche a fare delle magnifiche fotografie e li abbiamo messi lì, racconti e fotografie, forse prima o poi sarebbero venuti buoni. Ci siamo poi accorti che tra quelle montagne c’erano alcuni Tremila e lì io, col mio ben noto spirito commerciale e imprenditoriale, mi sono detto che un libro tutto di scrambling sarebbe stato un suicidio editoriale (almeno per il momento, ma sono sicuro che sarà l’alpinismo del futuro), così ho detto all’Erminio: perché non facciamo un libro sui Tremila dell’Ossola? Non pensavo però che fossero 75, sennò non mi sarei mai messo nell’impresa.

Che cosa regala la Val d’Ossola a chi non la conosce, secondo te che l’hai percorsa tutta?
Non è la prima volta che mi viene questa domanda e faccio sempre fatica a rispondere, è come se mi chiedessero: perché ti sei innamorato di quella persona? O perché vai in montagna? O perché scrivi? Le domande che più ti coinvolgono, quelle a cui avresti dovuto trovare da tempo una risposta perché riguardano l’essenza della tua vita sono le più difficili. Secondo me al primo impatto l’Ossola si presenta con una certa ruvidezza: valli strette e chiuse, pendii ripidi, forre, burroni. È aspra come quei vini che oggi non vanno più di moda, bisogna un po’ abituarsi e molti non ci riescono. Però, ecco, qui forse c’è già una risposta: l’Ossola regala la durezza della vera montagna. Un’altra risposta è una conseguenza della prima: tranne alcuni luoghi particolarmente bucolici, o addomesticati, o facili da raggiungere, l’Ossola è poco frequentata, per cui vi si può godere il privilegio della solitudine. La terza, e basterebbe da sola, tanto che andrebbe messa per prima, è che l’Ossola è bella. Cioè, ritornando alle tre domande difficili: mi sono innamorato di quella persona perché è bella, vado in montagna perché è bella, scrivo perché è bello, e l’Ossola non ha altro da regalare a chi non la conosce (e anche a chi la conosce) che la sua bellezza.

Maurice Bradley dice che “sulle montagne che non danno gloria c’è ancora spazio per cercare di sentirsi liberi”. Tu dove ti senti libero?
Bradley non so chi è, comunque l’aveva già detto Schiller nel Guglielmo Tell: “sulle montagne si trova la libertà”. Come sai due inverni fa ho fatto con due amici una traversata dal lago Maggiore al lago dei Quattro Cantoni con arrivo ad Altdorf, proprio sotto la statua di Guglielmo Tell. Era il mese di gennaio e in quindici giorni non abbiamo trovato un rifugio custodito; quando al mattino partivamo non sapevamo dove saremmo arrivati la sera; da Cicogna, in Valgrande ad Engelberg, nel nord della Svizzera, non abbiamo incontrato un alpinista, non abbiamo trovato una traccia battuta; nessuno sapeva dove eravamo inoltre potevamo stare via fin quando non fossimo arrivati (ci eravamo presi tre settimane di ferie). Non è come quando fai un trekking famoso o quando fai la traversata Chamonix Zermatt con gli sci, lì hai tutti i rifugi prenotati e tutte le mattine ti alzi con 50 o 100 persone che fanno la tua stessa tappa. Vedi, io ho fatto la guida per 43 anni, sulle Alpi sono stato quasi dappertutto, e anche un po’ in giro per il mondo, ma ho dovuto arrivare a 68 anni per provare quel tipo di libertà di dover rendere conto solo a me stesso, alle mie forze, all’abilità di trovare la strada, senza alcun legame con la civiltà e col consorzio umano, e questo non su una cresta di un ottomila, ma in mezzo all’Europa, in uno dei paesi più turistici d’Europa.

Ci sono volute due estati per salire tutte le cime di questo libro, c’è una giornata che ricordi in particolare?
A dire la verità c’è voluta una vita intera, nelle ultime due estati abbiamo fatto i Tremila che ci mancavano e quelli che non ci ricordavamo più o di cui non avevamo fotografie. Io specialmente non ho memoria e ho dovuto rifarne molti che avevo già fatto, alcuni anche moltissime volte coi clienti. So bene che dire di averli fatti tutti in due estati aggiungerebbe anche un pizzico di exploit alpinistico (solo un pizzico eh?) ma non era il nostro scopo. Le nostre ambizioni, lo posso dire con certezza anche per Erminio, sono più letterarie che alpinistiche, l’obiettivo non era l’exploit alpinistico ma scrivere un bel libro. Spesso nella letteratura di montagna si confonde ancora la grande impresa alpinistica con l’impresa letteraria. Ma nel momento in cui si scrive un libro l’impresa è letteraria, non più alpinistica. Ci sono libri brutti che raccontano una grande impresa alpinistica e libri belli che raccontano la montagna di tutti i giorni, e noi, visto che purtroppo le grandi imprese alpinistiche non siamo in grado di farle, possiamo solo tentare di fare quelle letterarie.
Ma non ho risposto alla tua domanda. La giornata che ricordo più volentieri è stata quella della traversata Cima Mottiscia - Cima delle Piodelle - Punta di Boccareccio.- Helsenhorn, che è stata una bella cavalcata in cresta sopra l’Alpe Veglia.

Questo libro si legge anche come raccolta di racconti e tu hai scritto anche più di un romanzo. Chi sono secondo te gli scrittori che raccontano o hanno raccontato meglio la montagna?
A questo tipo di domande bisogna rispondere sempre cercando di essere originali, potrei dirti Mario Rigoni Stern, che naturalmente è grandissimo, ma un po’ scontato. Allora ti dico i nomi di tre scrittori svizzeri, forse in Italia sono poco conosciuti ma secondo me sono bravissimi, due di lingua italiana e uno di lingua tedesca, e i tre loro libri che mi sono più piaciuti: Plinio Martini: “Il Fondo del sacco”, Giovanni Orelli, “L’anno della valanga”, Meirad Inglin “La valanga e altri racconti”.




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