'Cheope Dyrecta', una direttissima alla Piramide del Monte Vettore (Monti Sibillini)

Il report di Cristiano Iurisci che tra il 2023 e il 2024, insieme a Fabio Abbonizio, Luca Gasparini, Virgilio Nitrici, Francesco Palazzetti e Mauro Pierantoni, ha aperto 'Cheope Dyrecta', una 'direttissima' alla Piramide del Monte Vettore (Monti Sibillini).
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'Cheope Dyrecta' alla Piramide del Monte Vettore: Fabio Abbonizio sul primo tiro
archivio Cristiano Iurisci

Io e Francesco Palazzetti siamo solo amici virtuali, viste le enormi distanze che ci separano (lui Perugin, io della provincia di Chieti), almeno fino ad una sua esplicita richiesta su messenger di informazioni sulla parete della Piramide al Monte Vettore visto che più volte sono stato da quelle parti. Il suo desiderio è di riportare lustro ad una parete alpinisticamente abbandonata (la Piramide) che ha vissuto l’epoca d’oro tra gli anni ‘70 e ’80.

La mia risposta è che anche i miei anni d’oro sono passati da quasi un lustro! E che se non avevo trovato l’attacco allora, che avevo la testa e il fisico per certe cose, non credo di poterlo fare ora. Lui mi dice che si sente in forze e preparato e che la mia esperienza potrebbe essere vincente per il progetto. Le sfide ovviamente ti entrano dentro, e pian piano accetti l’idea (all’inizio del tutto peregrina) di potercela fare.

Cosa ha questa parete per attrarre sia la vecchia generazione (la mia praticamente) e la nuova (quella di Francesco)? Niente! Sta lì, in mezzo al versante più selvaggio del Monte Vettore, è una parete che non salta subito all'occhio, nascosta tra le pieghe del versante sud che con luce piatta del mattino non evidenzia le sue forme, per poi apparire netta e inconfondibile non appena i raggi consentono di evidenziare la sua forma di piramide (appunto) da cui il nome.

Ovviamente il luogo ha attratto alpinisti di ogni epoca ma la prima salita, la Via Dani, è recente e risale al 1975, ed è ad opera di Alberico Alesi e Salvatore Spinelli – Stefano Pagnini ed Emidio. La via vince su difficoltà classiche (V) il gran diedro che divide in due la parte bassa e centrale della parete, mentre poi piega a destra nella parte alta perché troppo difficile e pericolosa per la qualità della roccia. Come ogni buona storia alpinistica, ecco che pochi anni dopo arriva la prima invernale (1979), ad opera di Tiziano Cantalamessa e Alberico Alesi, Bruno Tosti e Giacomo Stipa.

Nel 1984 con la via Daria vengono vinti gli aggettanti diedri evitati nel 1975 ad opera di Alberico Alesi, Tiziano Cantalamessa, Emidio Catalucci, tracciando così la prima linea che risale integralmente la grande parete. Superato il problema di una via più o meno diretta alla vetta, rimaneva quello delle stupende placche a sinistra del diedrone che incide la parete. Sarà di nuovo il fortissimo Tiziano Cantalamessa, stavolta con Riccardo Bessio e Pier Paolo Mazzanti, a vincere le placche aprendo nel 1986 Specchi Grigi, un itinerario difficile usando rarissimi spit a mano e pochi chiodi, non sempre per scelta, ma per la estrema compattezza della roccia che non permette quasi chiodi a fessura. Il muro del VI° grado viene così definitivamente vinto, e neanche di poco! Si parla di placche con passi fino al VII/VII+.

La prima ripetizione avviene nell’anno 1987 ad opera di Tonino Palermi et al, mentre Pierpaolo Mazzanti, nel 1988 effettua la prima solitaria della via Daria: questa solitaria ci lascia basiti vista la complessità della parete e la pericolosità della stessa. Credo davvero sia stato un exploit molto sottovalutato, figlio di capacità fisiche e mentali straordinarie. Dopo questo periodo magico inizia l’oblio. Si contano forse solo altre due ripetizioni di Specchi Grigi e qualcuna in più della Dani (che per oltre un decennio era considerata una classica).

Tornando a noi, Francesco vuole far tornare l’antico splendore di questa parete, ma come valorizzarla quando già tanto era stato fatto in passato? Guardando le foto delle vie esistenti era chiaro che mancasse qualcosa, una linea diretta che dalla base della parete salisse dritta in cima alla Piramide e, perché no, passare vicino alle fantastiche placche di Specchi Grigi per poi intercettare il camino di uscita della Daria. Insomma, una classica via a goccia che solca le placche della parete per poi sbucare in vetta, una linea forse resa impossibile all'epoca per le difficoltà da superare senza fare uso di spit. Così, chiesto l’OK degli apritori, nel giugno 2023 inizia l’avventura.

Optiamo per uno stile moderno: apertura dal basso, chiodi e protezioni veloci dove possibile e spit sull'improteggibile. Con noi quel giorno c’è Mauro Pierantoni e saliamo con l’intento di trovare l’attacco, cosa che non mi era riuscita nei due tentativi negli anni addietro. Purtroppo il terremoto del 2016 ha fatto crollare uno dei pilastri di accesso alla parete, così, come rapida alternativa decidiamo di raggiungere le placche partendo dal diedro della via Dani, questa cosa sarà la chiave di volta per capire la parete. Infatti una volta raggiunte le prime placche troviamo un bossolo di spit sotto un bombè che ad occhio potrebbe corrispondere alle difficoltà del tiro chiave dato di VII della Specchi Grigi. A me sembra poco probabile che siano passati di lì, ma Francesco sottolinea la bravura di Tiziano e dei (pochi) ripetitori, e che forse un tiro della via sarà condiviso con una parte di Specchi Grigi.

Mi propongo io di iniziare la salita, almeno fino a trovare il punto dove mettere il cliff e magari bucare per il primo fix. Di possibili piazzamenti per un cliff neanche l’ombra, e lo pianto con il sistema classico: il più alto possibile e in punta di piedi! Nulla ancora per un cliff e in qualche modo pianto il secondo fix, e così anche il terzo, ma esaurisco del tutto le mie forze. Di sopra vedo solo lisca placca, sicuramente più appoggiata, ma non vedo chiodi o spit originali della via. Così abbastanza spossato mi calo e chiedo il cambio a Francesco: una volta partito in placca ed aver traversato leggermente, la linea inizia a rivelarsi più logica, intercettiamo un vecchio chiodo alla base di un diedrino, forse abbiamo trovato proprio il tiro chiave di Specchi Grigi!

L'emozione di solcare le orme di Tiziano è palpabile, una via irripetuta da chissà quando. Però poi oltre questo chiodo non troviamo più niente, solo placca vergine. Saliamo alternando chiodi, dadi e fix sino a fare sosta su una cengia. Da qui vediamo sopra di noi quanto ancora manca per la vetta, non siamo nemmeno a metà parete e abbiamo quasi finito il materiale per proseguire. La roccia è compattissima e di qualità eccellente, ma non lascia spazio a fessure per chiodi o protezioni veloci. Per realizzare la linea che desideriamo è chiaro che dovremo fare un uso obbligato di fix, almeno per tutte le sezioni di placca. Decidiamo quindi di ritirarci e tornare ad aprire in seguito, portando altro materiale, ma l'avvicinamento alla parete non è semplice e portare lassù tutto il materiale senza andare in sovraccarico andrà fatto di volta in volta.

Il secondo tentativo è a settembre dello stesso anno, stavolta con noi c’è il compaesano Fabio Abbonizio. Anche se con lui saliremo solamente un altro tiro, raggiungiamo lo scopo di vincere forse il tratto chiave della parete. Lo scopo di quel giorno è quello e non oltre, perché è settembre e le giornate sono corte. Francesco parte come al solito dritto, al terzo fix vuole ancora andare dritto a superare un breve bombè chiaramente più duro, ma non mi trova d’accordo! Possibile che non ci sia un modo più semplice? "Francesco! a sinistra vedo una rampa, cerchiamo di seguire la logica della parete! Perché forzare e andare dritti?" Un poco controvoglia segue il consiglio, ma dopo il traverso, appena girato l’angolo oltre la rampa, trova una placca ancora più liscia e fa sosta su 1 fix per capire come procedere.

Lo raggiungo e più in alto noto una cengia più comoda. Prima di far venire Fabio mi faccio passare il trapano, rinvii e chiodi per allungare il tiro fin là. Non so cosa mi spingesse a salire nonostante la placca apparisse chiaramente liscia con alcune inclusioni di selce scura ma molto esigui. Parto sicuro di farcela seppur conscio che probabilmente userò l’artificiale. Oltre al secondo fix infatti sento il bisogno di riposare per capire come affrontare la sequenza che appare molto difficile: voglio evitare errori o di bucare oltre il necessario. Un chiodo piantato poco oltre neanche io so come, mi permette di salire quel poco per piantare l’ultimo fix e da lì un lancio su piattone per rimontare la cengia e fuori dalle difficoltà. Hey! Qui è comodo e pare che la parete abbatta! Dai! Abbiamo fatto la linea giusta e lo scopo di oggi è raggiunto! Recupero in sosta Fabio e Francesco che con fatica salgono, ed entrambi parlano di almeno 6c/6c+. Poco importa, mi sento soddisfatto e iniziamo le numerose doppie per tornare giù.

Nel giugno dell’anno dopo torno con Luca Gasparini, purtroppo Francesco non c’è. Luca si tira tutta la via da primo e arriva esausto all’ultima sosta. Parto allora io per altri 30 metri e capisco che manca un solo tiro per il cengione mediano che separa le grandi placche dagli strapiombi sommitali della Piramide. Sembra poco ma sono soddisfatto! Andare oltre non ha senso, si torna giù, ma giunti all’ultima doppia, dico a Luca che è presto. Così ci mettiamo a raddrizzare la parte bassa della via, visto che è ancora in comune con la Dani, in modo da renderla completamente indipendente. Parte Luca, prova, ma messo un difficile primo fix dice che è impossibile salire oltre, asserendo che potrebbe essere abbondantemente oltre il VII. A me non pare, ma dopo un poco di discussione non ho la forza di contraddirlo sul campo, si scende e proverò la prossima volta!

Quel fix sarà la scusa per tornare a settembre stavolta solo con Francesco. Quel tiro lo salgo io e fortunatamente confermo che non era così estremo (e menomale, aggiungo). Salgo poi un altro tiro e ci ricolleghiamo alla via già salita. Velocemente arriviamo al punto più alto, raggiungiamo la grande cengia e tocca a Francesco vedere da vicino dove “vincere” il primo di una serie di tetti su roccia dubbia e pericolosa. Con molta attenzione e ripulendo la cengia da alcune pietre sale fin sotto l’ultimo tettino che pare separaci dalle placche della parte alta della via, quella finora considerata del non ritorno. Basta così per oggi. Scendiamo. Ci aggiorniamo a giugno 2025 giusto?

Ed eccoci ad oggi, 15 giugno 2025, oltre a me e Francesco c’è Virgilio Nitrici, è un tipo “apposto” e capace, mi dice. Stavolta si dorme al valico, per partire alle 4, fa molto caldo e l’idea è di salire al fresco il più possibile in modo da stare abbastanza alti per non finire arrosto. Alle 13 arriviamo nel punto più alto degli scorsi tentativi. Sono fiducioso: abbiamo ampio margine. Parto io e supero in successione due strapiombi fisici e mi trovo catapultato in un altro mondo: non vedo più la parte bassa della parete, sopra di me tetti e pareti scure e strane di roccia marnosa e terrosa che si stagliano in maniera caotica, non vedo linee logiche se non salire perché la fine si avvicina.

Questo tiro mi ha prosciugato e quando arrivano i compagni comunico loro che non ho più intenzione di salire più un solo metro da primo, di aver esaurito forze ed energie psichiche. Le idee non sono chiare, non sappiamo dove uscire: dopo una lunga discussione ed aver valutato le foto della parete cerchiamo un passaggio tra alcuni strapiombi sulla destra. Francesco parte, supera la placchetta iniziale poi traversa a destra, supera un primo strapiombo ma cadono delle pietre, segno di roccia molto delicata. Intanto il cielo minaccia e i primi tuoni rimbombano dalla zona di Castelluccio da Norcia. Francesco tituba, pianta un fix che, visto da qui, sembra inutile (poi capirò), lentamente sale verso lo strapiombo successivo. Piove. Pianta nuovamente un fix, tenta un approccio di ribaltamento ma l’appoggio cede e vola. Piove più forte, ci vestiamo con antipioggia e felpa.

Alquanto turbati ci prendiamo una pausa, per vedere se la pioggia cesserà. Consulto il meteo radar e dico a Virgilio che siamo a ridosso di un grosso temporale, ma forse non ci piglia. Incito Francesco a salire, che da come si era mosso in quel passo era chiaramente alla sua portata! Gli chiedo se c’è un altro piede per rimontare, lui mi dice di sì. E allora vai che tornare indietro con questo tempaccio diventa praticamente impossibile! Ripiove, forte, tutto bagnato, ma forse sotto lo strapiombo è asciutto perché Francesco sembra ripartite, anzi riparte e passa! Wow! I cattivi pensieri miei e di Virgilio paiono essere scongiurati, e poco oltre sento il trapano, e poi finalmente ancora quello che sarà il fix di sosta.

Le corde bagnate e l’attrito dei traversi gli impediscono di recuperare le corde. Dico a Virgilio che parto a sbloccare le corde, provo a salire ma la roccia è bagnata e la polvere presente sugli appigli la rende ancora più viscida. Per salire sono costretto a tirarmi sulla corda di Virgilio mentre la mia si fa man mano più lasca! Alquanto spaventato (!) arrivo alla cengia, e poco dopo al fix che non capivo il perché. Ora è chiaro: è l’unico punto dove proteggersi per affrontare il successivo strapiombo che, visto da qui, pare più cattivo che da sotto.

Sbroglio la corda e faccio recuperare  anche Virgilio, che arriva e poi mi supera. Poi lo vedo sbuffare mentre affronta lo strapiombo, e solo con molta difficoltà riesce a passare; dal secondo fix mi allunga una serie di rinvii da tirare per facilitarmi la salita. Mi pare eccessivo, ma poi lo ringrazierò perché davvero non so come abbia fatto Francesco a salire sotto la pioggia! Propongo un VII° con il fango!

Intanto il meteo migliora, solo qualche goccia, ma il morale è alto perché la fine della parete è vicina. Dopo un ultimo tiro, alle 18:30 siamo tutti e tre in cima. Tiro fuori il cellulare per l’autoscatto quando Virgilio dice di aspettare che deve tirare fuori la bandiera della Palestina! Condivido e scatto! Momenti davvero indimenticabili. Adesso solo discesa, scomoda, lunga, ma discesa. Arriviamo alle 21.10 in macchina, dopo quasi 17 ore di attività. Ora le nostre strade si dividono ma i ricordi ci uniscono e ci uniranno per molto tempo. Grazie a tutti che hanno partecipato alla realizzazione di Cheope Dyrecta.

Cristiano Iurisci, Lanciano, Chieti

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