Arrampicata sportiva nel monregalese tra cambiamenti e certezze. Di Giovanni Massari

In occasione dell’uscita della sua nuova guida d’arrampicata Sport Climbing a Frabosa Soprana e Sottana con la prefazione di Manolo, Giovanni Massari analizza la trasformazione dell’arrampicata in falesia negli ultimi decenni ed illustra alcuni settori scelti attorno a Mondovì in provincia di Cuneo, Piemonte.
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Giovanni Massari su Giada 6a+ a Costabella
Gabriele Bruno

Ripensando a oltre quarant’anni dalle mie prime esperienze in arrampicata, a come e a quanto sia cambiato lo scenario dell’arrampicata in falesia, non posso fare a meno di soffermarmi con una personale analisi di quei luoghi che hanno visto i miei primi passi e che sono oggi profondamente mutati proprio in ragione della rivoluzione che li ha investiti.

Ma com’è cambiato, nelle nostre vallate del sud ovest piemontese e più precisamente nel monregalese, l’approccio e l’utilizzo delle strutture rocciose adatte all’arrampicata?

Come un po’ ovunque si è passati da un utilizzo sporadico delle falesie da parte di una manciata di arrampicatori ad una frequentazione sistematica dovuta all’enorme successo di pubblico che sta avendo negli ultimi anni l’arrampicata sportiva su roccia liberata dai tanti tabù culturali di attività pericolosa che la avvolgevano e che spesso fa naturalmente seguito alla pratica ormai diffusissima dell’arrampicata su strutture artificiali.

Le maggiori componenti di questo cambiamento sono state principalmente due: da una parte l’avvento dello spit fix e del progressivo ingresso sul mercato di trapani a batteria sempre più performanti che hanno consentito lo sviluppo, anche relativamente rapido, di strutture che ben difficilmente avrebbero potuto vedere la luce senza queste migliorie tecnologiche, e dall'altra soprattutto quel cambio di mentalità che ha fatto sì che intere ed ampie aree rocciose siano state sistematicamente sviluppate per l’uso dell’arrampicata sportiva trasformandosi di fatto nè più nè meno che in impianti sportivi outdoor per l’arrampicata su roccia naturale.

Questo cambiamento ci pone di fronte a quesiti di natura diversa; da una parte etici, che riguardano quanto e come sia cambiato l’approccio dell’arrampicatore alla struttura rocciosa e dall’altra giuridici e di sicurezza nello stabilire come si possa e si debba attrezzare una parete con i dovuti canoni di sicurezza.

Dal punto di vista etico c’è stato un totale stravolgimento della prospettiva con cui veniva affrontata una via. Se prima si procedeva dal basso ora, in falesia, la chiodatura avviene quasi sistematicamente dall’alto e la salita “in libera” è sancita dalle regole precise di questo sport relativamente nuovo ma ben codificato. È lontano il tempo della “lotta con l’alpe” in cui ad ogni passo era a rischio l’incolumità personale e la falesia è diventata, nel bene e nel male, un contenitore di molteplici istanze e mentalità in cui ciascuno può trovare una sua dimensione personale: dallo svago domenicale tra amici alla performance fisica dei più virtuosi o semplicemente ad una delle tante forme di fitness immersi nella natura fino all’allenamento in vista di impegni maggiori magari su difficili multipitch in alta montagna. E’ sicuramente questo uno degli aspetti più attrattivi, non esistono regole precise ma ciascuno può trovare nell’arrampicata quello che cerca.

Nelle ultime realizzazioni si è assistito poi ad un progressivo avvicinarsi delle protezioni fisse ed ad un allargamento verso l’alto delle valutazioni tecniche della difficoltà. Questo fenomeno, portato avanti in nome di una maggiore sicurezza e fruibilità, se da una parte può dare l’illusione di ampliare la possibilità a molti di avvicinarsi all’arrampicata da primi di cordata, dall’altra parte può generare false sicurezze; non dobbiamo dimenticare infatti che, in arrampicata sportiva, sono sicuramente la preparazione tecnica ed atletica e quindi l’intrinseca sicurezza gestuale che ne deriva oltre all’avvicinarsi in modo regolare e progressivo a livelli di difficoltà più alti le migliori garanzie dell’incolumità personale e della prevenzione degli infortuni.

Dal punto di vista di chi possa fare cosa si sta passando dal sempre valido e spesso molto accurato “fai da te” dei vari appassionati alla figura del “chiodatore di professione” incaricato dalle amministrazioni comunali o sponsorizzato da qualche altra realtà commerciale locale, che hanno capito ormai la valenza turistica del fenomeno, di attrezzare siti in modo organico e quando riveste una funzione professionale anche di sobbarcarsi la certificazione delle vie e la conseguente responsabilità di eventuali incidenti dovuti a problemi di rottura degli ancoraggi.

Va da sé che non è più il tempo per nessuno (professionista o meno) di utilizzare materiale artigianale o soste “fai da te” ma di usufruire solo e solamente di materiale regolarmente certificato e posato regola d’arte. Resta per ora in una sorta di limbo, dal punto di vista normativo, tutto quello che negli anni è stato attrezzato dando spazio alla creatività personale di chi si è voluto cimentare in questo tipo di espressione personale, in modo anche corretto ma che non è coperto da alcuna certificazione ed è di fatto terreno d’avventura.

In tali condizioni la falesia è sottoposta quindi da una parte alla personale responsabilità di ciascun frequentatore che dovrà autonomamente valutare le condizioni della roccia e delle attrezzature presenti in loco, e dall’altra all’attenzione delle comunità di arrampicatori locali che potranno eventualmente provvedere in modo autonomo alla relativa manutenzione in caso di presunta pericolosità.

Nel monregalese questo passaggio è avvenuto in modo sistematico negli ultimi anni e molti arrampicatori, a volte per passione e a volte, ma più raramente, per professione, si sono avvicendati nel lavoro di chiodare e proporre, ad un pubblico di arrampicatori sempre più numeroso che oggi ne usufruisce in modo autonomo, un cospicuo numero di siti ed itinerari che costituiscono a tutt’oggi un notevole patrimonio sul quale potersi esprimere fisicamente e gestualmente, superare i propri limiti e spendere splendide giornate a contatto con la natura e con i propri cari.

Sì perché l’arrampicata sportiva, proprio grazie alla sua relativa ma, bisogna dirlo, non totale sicurezza (si ha comunque sempre a che fare con la gravità...) ci fa apprezzare la bellezza e la fluidità gestuale del salire sulle rocce con una maggiore rilassatezza quasi come in delicato gioco di equilibrio tra arti superiori ed inferiori, rispetto alla più severa e complessa salita alpina, e lascia spazio, grazie ad una logistica più semplice, ad una maggiore condivisione.

Le falesie del monregalese sono luoghi ameni e bucolici, spesso immersi in quieti boschi di castagni, e pur non avendo certo la pretesa di togliere il primato a luoghi più famosi nella contigua area geografica, come ad esempio il vicino e fantastico finalese con la sua famosa “pietra”, sapranno regalare agli appassionati meravigliose arrampicate su una solidissima ed inusuale roccia quarzitica ricca di appigli e forme del tutto particolari e scorci montani di assoluta bellezza; insomma un terreno d’elezione per l’arrampicata “no big” che oltre all’impegno fisico ricerca anche la bellezza dell’ambiente circostante.

Una caratteristica assolutamente peculiare della zona è l’opportunità di poter arrampicare praticamente tutto l’anno, tranne in presenza di neve copiosa, grazie alla variegata esposizione dei siti che garantiscono la possibilità di arrampicare a piacimento al sole o all’ombra a seconda delle condizioni climatiche.

L’intero comprensorio offre oltre 500 lunghezze distribuite su numerosi siti diversi. Di seguito una carrellata delle principali strutture presenti sul territorio con alcuni settori da me personalmente proposti:
1)  Palestra di Monte Moro: posta in splendida posizione panoramica conta circa 40 itinerari dal 4b al 7a; cartellonista in loco per relazioni e valutazioni e in progetto di ulteriori ampliamenti da parte del suo storico chiodatore Danilo Collino e compagni.
2)  Palestra Beppino Avagnina o Miroglio 1: la palestra storica della valle su cui si sono avvicendate molte generazioni di alpinisti con circa 100 itinerari dal 3c al 7a+ e un ampio circuito boulder con passaggi interessanti e spesso esposti
3)  Palestra Gianni Comino o Miroglio 2: il sito più interessante della zona presa in esame con circa 190 itinerari dal 4c al 7c
4)  Palestra di Costabella: l’ultima nata con circa 25 itinerari dal 4a al 7b ma in attesa di esprimere ancora un buon potenziale.
5)  Palestra dei Quarzini: posta nella bella zona della pelata di Frabosa conta circa 50 itinerari dal 4a al 7b+
6)  Palestra dei Bassi: piccola e comoda su ottima roccia circa 40 itinerari dal 4a al 7b
7)  Palestra di Baracco o delle Balzolere: situata nella vicina val Ellero. Una bella balconata sulla pianura che conta circa 50 itinerari dal 4a al 7a, opera di Igor Napoli e compagni.
8)  La storica palestra degli Astigiani, attualmente abbandonata ma che potrebbe regalare in un’ottica di restyling qualche bella lunghezza.

Per una bibliografia completa di storia dei siti, chiodatura e valutazione degli itinerari si rimanda la consultazione delle varie pubblicazioni attualmente presenti sul mercato:
Miroglio, arrampicata sportiva e bouldering di Giovanni Massari, 2017 Blu Edizioni.
Sport Climbing a Frabosa Soprana e Sottana di Giovanni Massari, 2021 Blu Edizioni
Spit Castagne e Magnesite 2 di Igor Napoli, 2019 Graph Edizioni

Schede settori scelti
Monte Moro: Tutte le vie sono meritevoli, consiglio personalmente le vie dalla 6 alla 11, facilmente identificabili grazie alla cartellonista in loco, poste proprio sopra una comoda area con tavoli e panche.
Palestra Beppino Avagnina: già trattata in un precedente articolo, molto interessante e vario il Torrione F.
Palestra Gianni Comino: La Piramide.
Palestra di Costabella: Torrione A.
Palestra dei Quarzini: Settore Dilemma.
Palestra dei Bassi: i Bassotti.
Palestra di Baracco: Placca delle Felci e Torrione B

di Giovanni Massari

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Giovanni Massari ringrazia Manolo per la prefazione alla sua ultima guida Sport Climbing a Frabosa Soprana e Sottana, riportata sotto:


IL FASCINO UTILE DELL’INUTILE di Maurizio Zanolla 'Manolo'

Quando le mani toccano la pietra, provo ancora qualcosa di profondo e a oltre sessant’anni, continuo a emozionarmi a scalare.

Quando ho accarezzato per la prima volta un muro di roccia rosso e compatto, quella pietra insignificante si è ammorbidita come una pelle e sulle sue rughe ho incominciato a creare uno straordinario percorso.

Non c’era nulla di obbligato, potevo scegliere, adattarmi e aprirmi una traccia come nella neve immacolata e profonda; semplicemente la mia.

Luoghi come questo, che racconta Giova con passione, sono riusciti a portarmi lontano, a farmi evadere, sognare e crescere nella bellezza della natura, sviluppando un senso critico lontano dalle certezze soffocanti e dalle false sicurezze.

Queste pietre considerate inutili, mi hanno anche insegnato a comprendere i miei limiti, ad accettarli e, imparando dagli errori anche a superarli.

Le pareti mi hanno respinto e fatto cadere ma anche insegnato a rialzarmi e a controllare la paura, trovando nel vuoto un punto di appoggio.

Scalando ho incominciare a conoscermi consapevole di essere davanti all’oceano di quanto non conosco, in bilico sul piccolo bordo del conosciuto in una bellezza che continua a stupirmi.

Arrampicare potrà sembrare una cosa inutile, ma Albert Einstein, trascorse un anno della sua vita bighellonando, sostenendo; che se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte.




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