David Orlandi, viaggio e alpinismo in Bolivia

Il racconto di David Orlandi dei suoi 40 giorni in Bolivia, durante i quali ha salito tre belle cime: Huayna Potosi (6088m), Illimani (6462m) e Acotango (6050m).
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Huayna Potosi dal campamento Maria LLoco.
David Orlandi
Questo autunno David Orlandi ha effettuato un lungo "solitario" viaggio in Bolivia, durante il quale ha salito tre belle cime di 6000m: il Huayna Potosi "la montagna più popolare e più frequentata, ma comunque molto bella", passando per l'Illimani "sicuramente la più bella ed impegnativa delle tre e dove "anche in alta stagione non c'è la fila..." per poi concludere con i 6050m dell'Acotango "un vulcano che si trova in una zona desertica al confine tra Cile e Bolivia, una montagna facile ma interessante perché praticamente sconosciuta". Come s’intuisce, sono salite dove essere in pochi, oppure da soli, è quasi "normale" . Poi, come ci ha spiegato lo stesso Orlandi, "Ovviamente non si tratta di imprese eccezionali o di prime ascensioni, ma sicuramente di montagne bellissime e non molto frequentate, in un paese di meraviglie." Anche per questo ci è sembrato interessante saperne di più.


BOLIVIA. L'ANIMA LATINE DELLE MONTAGNE di David Orlandi

Sarà per la lingua, sarà per la gente, sarà per le strade colorate e la musica, o per i sorrisi dei bambini che giocano per strada, ma ogni volta che torno in sud america è un po’ come tornare a una seconda casa, mi sento subito a mio agio.

Alla fine dell’estate avevo una tremenda voglia di viaggiare e soprattutto di alta quota. Erano alcuni anni che pensavo alla Bolivia ma non c’ero mai andato perché si sa, li il periodo migliore è da maggio ad agosto, al massimo settembre. Ma ottobre no, troppo tardi, siamo fuori stagione, il tempo peggiora e i ghiacciai sono in brutte condizioni e io prima non posso andarci.

Lo scorso settembre questa idea ha cominciato a girarmi per la testa ma come al solito non avevo un compagno di avventura che avesse voglia di partire. Il pensiero di scalare da solo e precipitare dentro un crepaccio non era molto allettante. Questo non era un problema da poco. Avrei dovuto trovare qualcuno li sul posto, organizzarmi, e tentare la sorte con il meteo. L’alternativa era di stare a casa, cosi mi sono detto: “Perché no? In ogni caso sarà un bellissimo viaggio.” A metà ottobre ho riempito il mio borsone con tutta l’attrezzatura da scalata che poteva entrarci e sono partito da solo per La Paz. Questa città si trova a circa 3700m, è la base di partenza per molte scalate e solo passeggiando per le strade si comincia l’acclimatamento.

Ho iniziato ad organizzarmi. Per raggiungere le montagne c’è bisogno di un mezzo privato, possibilmente di un buon fuoristrada 4x4. Poi avevo bisogno di cibo, di noleggiare un po’ di attrezzatura e di una guida locale che mi accompagnasse e che prendesse contatto con la gente dei villaggi per trasportare una parte del materiale con i muli. Dopo tre giorni ero pronto per la prima scalata: Huayna Potosi 6088, una bellissima montagna, la più frequentata ma non per questo cosi banali.

Più vado in giro per il mondo e più vedo come le montagne della terra sono piene di gente completamente inesperta che senza mai aver usato ramponi si improvvisano alpinisti mettendo a rischio la propria vita, quella dei loro compagni e delle guide stesse (molto spesso anche loro incompetenti) che purtroppo sono costrette ad accettare di accompagnare queste persone per non perdere il lavoro. Cosi sulla cresta finale, in un paio di punti veramente ripidi ed esposti, si assiste regolarmente a scene pietose di gente che arranca, che scivola, che annaspa e che sembra stia per cadere da un momento all’altro nel baratro, ma poi alla fine nessuno ti piomba addosso e sinceramente me ne stupisco pure…

Dopo un cammino di 3 giorni nel gruppo montuoso del Condoriri raggiungo il campo base, poi il campo alto e infine l’aerea e bellissima vetta il 25 ottobre. Il tardo pomeriggio, dopo una lunga discesa, sono già a La Paz. “Bene, almeno una è andata!”- mi dico. Guardo le previsioni. Tra 2 giorni comincia una finestra di bel tempo stabile di almeno 4-5 giorni. Poi brutto di nuovo. No, non posso fare niente, ho bisogno di almeno qualche giorno di riposo, in più il mio acclimatamento non è ancora perfetto. Ma come posso farmi scappare una occasione del genere?

Se aspetto non mi ricapita più, sono qui per questo, cosi dopo 2 giorni sono in viaggio per il campo base dell’Illimani 6462m. Con me ci sono Juancho, che conosce bene la montagna, e Susanna che ci darà una mano con la preparazione del cibo e delle bevande calde. Siamo l’unica spedizione e non incontreremo nessuno per tutto il tempo. Dormiamo una notte al campo base Puente Roto a 4400m, poi ci spostiamo al campo alto Nido de Condores a 5500m e infine la faticosa salita alla vetta dalla quale si gode di un spettacolo grandioso (30 ottobre). In realtà non presenta particolari difficoltà tecniche se non l’ultimo tratto ripido prima di arrivare sulla cresta finale. Noi abbiamo avuto qualche problema perché la notte non aveva fatto molto freddo e in alcuni punti il manto nevoso non era rigelato abbastanza. Questo ha fatto si che infilassi per un paio di volte con tutta una gamba nella bocca di un crepaccio, con qualche problema poi ad uscirne fuori per l’inconsistenza della neve. A fine stagione sono molto grandi, i ponti di neve si assottigliano e se non fa abbastanza freddo il gioco è fatto e il pericolo è in agguato. La discesa è veloce e piacevole e ci godiamo un’altra notte al campo base prima di rientrare in città.

Un giorno di riposo e sono di nuovo in viaggio. Nella Cordillera Real il tempo è peggiorato ma lontano, nella Cordillera Occidental, ancora si mantiene stabile. E’ li che mi dirigo per salire il 3 novembre sulla vetta del vulcano Acotango, situato in una regione desertica al confine tra Bolivia e Cile. Non distante si trovano i relativamente “più conosciuti” Sajama, Parinacota e Pomerape. Non molti hanno salito questo vulcano e infatti anche qui non c’è anima viva, in più il paesaggio è completamente diverso; questi sono i motivi che mi spingono a visitare questa bellissima regione. Per la via di salita è possibile utilizzare il campo base ed eventualmente anche un campo alto se necessario. Visto il mio precedente acclimatamento, io l’ho fatto in giornata.

L’Acotango è una cima facile ma le condizioni possono variare in base all’innevamento, al freddo e al vento, e alla presenza di enormi campi di penitentes, bizzarri pinnacoli di ghiaccio più o meno alti e più o meno fragili, tipiche formazioni delle zone aride di alta quota del Sud America. Per progredire si devono scavalcare o abbattere e questo può far perdere molto tempo. La salita si svolge prevalentemente all’interno del cratere fino a sbucare sul bordo e se il vento è poco lo si percorre facilmente fino alla vetta. Da qui la vista è fantastica.

Per la discesa abbiamo continuato a percorrere il bordo del cratere sul lato opposto con l’intenzione di fare una sorta di traversata ad anello, ma vista l’inconsistenza della neve e dunque la progressione faticosa a circa metà strada abbiamo tagliato direttamente verso il basso sfruttando un ripido ghiaione che ci ha poi ricollegato alla via di salita nella parte bassa, e da li il facile ritorno al villaggio di Tambo Quemado.

Al ritorno a La Paz sono stanco, ora di montagne non ne voglio sentir parlare per un pò, ma il mio viaggio continua verso altri incredibili luoghi. Il Salar de Uyuni, le lagune azzurre a oltre 4000m, i fenicotteri rosa, il deserto di Atacama, le miniere d’argento, le città coloniali, il lago Titicaca e le sue isole. Bolivia è un paese pieno di meraviglie, un viaggio a volte difficile, ma che vale la pena di fare per vedere cosa si nasconde al di la di una montagna.

Già, la montagna, “un agglomerato di terra e roccia che si innalza sulla superficie terrestre”, una enorme massa di materia inanimata. Del resto l’anima non la possiamo vedere, neanche quella delle persone, neanche la nostra. E allora a me piace pensare che anche le montagne ne abbiano una. Si perché ogni volta che viaggiamo in un paese straniero e andiamo a scalare una cima entriamo in contatto con gente diversa, di lingua diversa, di cultura diversa che ne abita le pendici, che ci accoglie in modo più o meno caloroso e che ci ospita. Entriamo in contatto con la loro anima. E questa è anche l’anima della montagna, quello che influenza la nostra permanenza, il nostro umore e anche la nostra motivazione, quello che troviamo e ci portiamo dietro dai primi villaggi fino alle vette.

E allora tutto dipende da noi, entrare in sintonia con tutto questo per non sentirsi estranei, per non sentire l’ambiente ostile, per fare “meno rumore possibile” ed essere accolti nel migliore dei modi. Capire e rispettare la gente e l’ambiente, adattarsi alle risorse locali senza pretendere di portarsi dietro le comodità da casa, per non sporcare e per non stravolgerne l’economia rurale, per non turbare la loro serenità e far si che lo nostra presenza li sia per loro una risorsa e non una inconsapevole minaccia. Questa è il modo migliore per raggiungere le vette della Bolivia, se ce lo concede l’anima latina delle montagne….

- 10/04/2012 Rwenzori e Cima Margherita, la terza montagna più alta d'Africa




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