Ricordando Stefano Tommasi

Storie di amicizia e di montagna: Stefano Menegardi ricorda l'amico Stefano Tommasi, in arte Tuma, scomparso nel 2017.
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In arrampicata alla Falesia della Vela a Trento sulla via dedicata a Stefano Tommasi
Stefano Menegardi

Inizierei partendo da questa immagine. Questi sono i movimenti della via intitolata a Stefano Tommasi in arte "Tuma" alla Falesia della Vela a Trento.  Era il 2018 quando, con alcuni amici, abbiamo aperto alcune nuove vie e riqualificato alcune storiche nel settore giallo della Vela. La via più impegnativa, quella che sembrava impossibile da scalare, l'ho dedicata a Stefano Tommasi.

Stefano se ne è andato in marzo del 2017 a causa di un brutto Ictus. Sono passati anni dall'ultima volta che ci siamo visti ma il ricordo è nitido. Quando parlo di Stefano parlo di un fratello maggiore che mi ha insegnato tanto e che è sempre stato disponibile all'ascolto. Lo chiamavamo anche D’Artagnan perchè sembrava uno dei tre moschettiere, pizzetto e baffi.

Ho iniziato ad arrampicare con Stefano all'età di 11 anni. Ho iniziato a undici anni ad arrampicare con mio padre e spesso veniva anche Stefano con noi. All'inizio Stefano faceva vie più impegnative con mio padre, e con me ripercorrevano alcune vie semplici per farmi fare esperienza. Già dopo qualche anno, grazie alla pazienza di mio padre, di Stefano e anche di Giancarlo, un altro amico che ha partecipato spesso alle ascensioni, ho potuto iniziare a scalare vie sempre più impegnative su grandi pareti.

A 14 anni, con Tuma e mio padre abbiamo percorso la via delle Guide al Crozzon di Brenta. Mi ricordo mio padre che aveva fretta di arrivare in cima perché diceva che in tre sarebbe stata lunga la via. Mi ricordo Tuma che lo tranquillizzava sul fatto che avessimo tutto il tempo. Mi ricordo anche la corda che scorreva senza sosta e noi che in conserva lo seguivamo. Poi dopo qualche ora, nelle prime ore del pomeriggio, eravamo al bivacco a riposare e dopo qualche ora di nuovo al Brentei. Mi ricordo di Stefano quando parlava da solo e faceva grandi discorsi e una volta in sosta si zittiva e poi concentrato riprendeva a scalare.

Aveva una grande tecnica di piede, forza di braccia ma gli mancava il sesto senso del facile. Spiego meglio... Mi viene ancora da sorridere quando andavamo a ripetere vie sufficientemente chiodate fatte di diedri e fessure e Stefano spesso tirava dritto in placca o in strapiombo, aumentando di tanto le difficoltà e proteggendo poco.

Stefano ha iniziato dalla falesia ad arrampicare e una volta che ha scoperto l’arrampicata in montagna, ha sempre prediletto quest’ultima. La sua naturale propensione all’arrampicata in placca lo rendeva proprio forte in questa specialità.

Aveva un furgone rosso grande che faceva strani rumori, forse perché un po' vetusto. La sua professione era quella di restauratore di mobili antichi. Aveva un laboratorio in casa, a Monzambano, al piano terra. Lavorava sempre da solo, con la radio accesa, parlando spesso tra sé e sé. La moglie lavorava fuori e le figlie andavano a scuola. Stefano si occupava di preparare da mangiare per tutti. Non è sempre stato un restauratore. La sua passione e lavoro era la cucina.

Mi ha raccontato spesso l’incontro con "Chicca", sua moglie. Si sono conosciuti a Londra, quando lui faceva l’aiuto cuoco. Ho sempre ammirato Stefano anche per la sua capacità di condividere le decisioni e scegliere insieme. Mi sono confidato spesso con lui quando, da adolescente, avevo le prime uscite con ragazze che mi piacevano. Avevo difficoltà a chiedere consiglio ai miei genitori rispetto a questioni sentimentali. Stefano invece mi ascoltava e mi consigliava.

Poco anni prima di entrare in coma, quasi come sapesse che gli sarebbe capitato qualcosa, ha deciso di sposarsi. Stefano e Chicca non si erano mai sposati. Una volta che le figlie erano cresciute, hanno deciso di comune accordo di sposarsi.

Mi ricordo quando Stefano mi ha regalato il set da scultore al mio compleanno e quando ho raffigurato uno gnomo del bosco su un tronco di legno che mi aveva donato.

All’età di 15 -16 anni mio padre mi lascia andare da solo con altri amici ad arrampicare in Dolomiti. Non avevo auto, né soldi. Dovevo fare affidamento su Stefano o Giancarlo per il trasporto. Mi ricordo le prime avventure sulle pareti dolomitiche. Mi vengono in mente alcune vie che abbiamo percorso insieme. Mi ricordo il viaggio con il furgone rosso con un rumore di motore ingolfato e vecchio che dava la sensazione che l’avventura e il rischio fossero già iniziati partendo da casa. Avevamo 4 friend, qualche cordino e qualche chiodo e poco altro.

Non programmavamo tanto la salita, il giorno prima si decideva, si prendeva il materiale e si partiva. Mi ricordo alcune avventure in Brenta: la via Aste e Schubert sul Campanile Basso, la Elisir alla Brenta Alta, la Maestri al Castel Alto dei Massodi e il ritrovamento di un cadavere di un signore anziano in discesa, in un canale in mezzo ai mughi.

Ho avuto modo già di scrivere qualcosa su Tuma. Era il lontano 2010 e sulla rivista del Cai ho scritto un articolo sulla nostra ripetizione della via dei Tedeschi alla Punta Emma. Nessuno dei due era bravo a piantare i chiodi, avevamo entrambi voglia di esplorare il mondo verticale. A Stefano andava bene qualsiasi via, si sentiva tranquillo perché conosceva l’impegno che ci mettevo nel perseguire un obiettivo. Anche io ero tranquillo perché sapevo quanto Stefano valeva sia tecnicamente che umanamente. La componente umana, di sostegno per me è parte dell’esperienza alpinistica. E’ un'esperienza di crescita, di amicizia che rende l’avventura un viaggio.

Mi ricordo sulla Schubert al Campanile Basso quando, sotto al tiro chiave bagnato, con pochi chiodi e pochi friend abbiamo dubitato sulla riuscita dell’impresa. Mi ricordo che è stata dura ed è stata pericolosa, la soddisfazione in cima è stata grande. Mi viene in mente anche quando dovevamo andare a ripetere la Costantini Apollonio alla Tofana di Rozes e mi sono scordato le scarpette e Stefano il casco. Abbiamo ripiegato sulla Costantini Ghedina: Stefano da primo perché senza casco, io da secondo perché con le scarpe da ginnastica.

Stefano non aveva mai fame e né sete. Quando arrampicavamo non avevamo mai niente da mangiare né da bere. Se penso adesso alla fame e sete che ho sofferto... Era la scuola di una volta, anche mio padre, con alquanta difficoltà si è convertito alle barrette e alla camelback.

Sono questi alcuni ricordi che mi vengono in mente e che vorrei condividere con voi. Sono passati anni e ho sempre pensato di scrivere qualcosa su Tuma. Penso che non ci sia come in questo periodo che i ricordi affiorano, le persone abbiano voglia di ripercorrere i passi della loro vita. La scrittura può essere un mezzo per aiutare le persone a ricordare.

Grazie Tuma per la tua amicizia.

Stefano Menegardi




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