Sul Monte Sirente (Appennino abruzzese) Luca Gasparini e Gianluigi Ranieri aprono Il Sognatore
Un novembre così generoso di neve non lo si vedeva da anni qui, nel nostro Appennino. E perché non sfruttare queste belle giornate di alta pressione per andare a esplorare le montagne di casa con l’instancabile e insostituibile Gianluigi Ranieri, amico e compagno di tante avventure sulle Alpi?
Il Sirente è una montagna “bassa” solo sulla carta: in realtà è un massiccio ampio, selvaggio, capace di regalarti giornate così intense che forse neanche il Gran Sasso riesce sempre a eguagliare. Le sue pareti sono maledettamente belle, complesse sia per la roccia che per la logistica. Da lontano tutto sembra logico, leggibile; ma una volta dentro puoi perderti se non hai studiato con attenzione. È proprio quel mix perfetto per vivere una giornata di alpinismo come ai vecchi tempi.
Studio qualche possibile linea e comunico a Gianlu le mie intenzioni: “Andiamo a vedere cosa riusciamo a fare. La neve è tanta, quindi probabilmente sarà solo una passeggiata. Il ghiaccio non c’è ancora, è troppo presto. Però, se la parete ce lo consente, magari sfruttando la roccia riusciamo comunque a tracciare una linea di salita". E devo dire che la lettura è stata buona.
Iniziamo la nostra salita con quel misto di curiosità e rispetto che il Sirente impone. La linea che avevamo immaginato da lontano appare più complessa del previsto, ma anche più affascinante. E così iniziamo a salire davvero: un po’ roccia, un po’ neve dura, tanto misto cattivo, placche lisce dove risulta difficile proteggersi e passaggi in diedri strapiombanti dove, per fortuna, i friend ci fanno ben sperare che in qualche modo possiamo uscire. La parete ci accoglie e ci respinge, come sempre: ogni metro lo guadagni, ma ogni metro ripaga.
Alla fine, dopo ore di scalata, sbuchiamo sul crinale proprio mentre il tramonto fa capolino e la notte inizia ad avanzare. Pensavamo di aver finito e invece ci aspetta ancora una discesa complessa prima di poterci finalmente rilassare e bere un po’ di tè caldo lasciato alla base della parete.
Qualche errore di orientamento ce lo concediamo, la stanchezza si fa sentire ma alla fine riusciamo a tornare giù. Ci guardiamo e ridiamo come due ragazzini, perché capiamo davvero quanto la giornata sia stata piena, intensa, e come le emozioni ora stiano venendo tutte a galla.
È per questo che si va in montagna: per sentirsi vivi, liberi, piccoli e inspiegabilmente felici.
- Luca Gasparini, Roma








































