In Moiazza in solitaria. Di Ivo Ferrari

Ivo Ferrari racconta la sua solitaria sulla 'Via Sapere Aude' agli Scalet delle Masenade in Moiazza, Dolomiti.
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Ivo Ferrari in solitaria sulla 'Via Sapere Aude' in Moiazza, Dolomiti
Ivo Ferrari

Sapeva bene che, una volta entrato, il problema principale sarebbe stato uscire. Decise di entrare lo stesso.

Arrampicare in solitaria non è una sfaccettatura dell'essere egoisti, non è nemmeno un dono speciale, né qualcosa che ti può far sembrare superiore o migliore. Arrampicare da solo è una passione che si amplifica in te, spingendoti a cercare oltre, a vivere una vita uguale a quella degli altri ma osservata attraverso visioni differenti e inspiegabili.

Negli anni passati era la mia droga dei fine settimana. Non c'era weekend in cui, nelle Dolomiti, non salissi in solitaria una linea, a volte sotto, a volte sopra i miei limiti, immancabilmente senza corda. È andata bene, o forse semplicemente così doveva andare! Ora che la saggezza ha superato la maturazione, che il buon senso si è riconciliato con la normalità, il vecchio vizio a volte riemerge. Ma grazie ad un approccio più meticoloso, non salgo nulla che sia al di sopra delle mie possibilità e, nella maggior parte delle rare occasioni, uso la corda.

La facilità d'accesso alle notizie e agli stili di progressione in autoassicura mi ha portato a sperimentare un po' i vari "attrezzi" del mestiere. Il risultato è sempre uguale, un processo simile ad un lavoro, molto più lento, macchinoso e, diciamola tutta, poco naturale. Ma a volte bisogna pur sottomettersi a qualcosa!

Sto arrampicando parecchio, come un orso cerco di fare scorta per l'imminente letargo. In Valle di San Lucano il mio furgone è di casa, è lì il mio campo base da più di trent’anni. Stamattina mi sono alzato con la "voglia", quella vecchia voglia che ogni tanto bussa alla mia porta: l'impulso di andare da solo.

Ho preparato velocemente e meccanicamente lo zaino e dopo aver scroccato un passaggio dal Mauro, cammino nel silenzio dell'estate. Non l'estate del Val Gardena o dei passi assaliti da ogni forma umana, ma quella delle montagne che preferisco: le Bellunesi.

Trovato in rete questa breve linea di Stefano Santomaso e Ermes dell'Agnola, consigliata e fuori dal giro, mi sono detto "andiamo!". Quando sono solo parlo parecchio, ma forse lo faccio sempre.

Giunto alla base, pianto due sicuri chiodi, preparo la sosta e tutto ciò che serve per un’eventuale caduta. Il mio nuovo (ma già collaudato) attrezzo scorre che è una meraviglia, sembra un "lavoro" che faccio da anni! Sistemata la sosta, ridiscendo, attacco lo Shunt e risalgo. Non uso le maniglie jumar su una linea di questa lunghezza, preferisco arrampicare.

Le lunghezze si susseguono, eleganti e belle. Riesco persino a complicarmi la vita, sbagliando tracciato e andando troppo a destra. Non vedo nulla; se stessi aprendo una via, continuerei. Ma c'è qualcosa che non va, capisco l'errore e ritorno sulla linea giusta. La lunghezza chiave è su roccia da verificare, ben chiodata comunque. Mi sto divertendo, era da un po' che non giravo da solo. La percorro con l'attenzione dovuta, ma i gesti sono quasi naturali, come per chi li conosce già.

Sulla cima, che non è altro che il sentiero di ritorno per vie più famose, mi fermo a riposare, cercando la solita risposta che, immancabilmente, non arriva. Mi piace così, non serve cercare altro. Il "metodo" che ho imparato da decine di altri metodi, e adattato al mio modo di arrampicare, va proprio bene. Perché smettere?

Ritornato al furgone, come un bambino di 56 anni, butto su un foglio una lista di "mi piacerebbe", sperando che, dopo un lungo letargo, ne sia ancora capace. Sperem!

- Ivo Ferrari




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