L'Annapurna, la storia di Lafaille e la necessità dell'alpinismo

25 anni fa Jean-Christophe Lafaille visse un dramma e insieme un'avventura pazzesca sulla Sud dell'Annapurna. Ritorniamo a quella storia lontana per ricordare oltre a Lafaille anche Pierre Beghin e Ueli Steck e la loro necessità di vivere quell'alpinismo che li motivava.
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Jean-Christophe Lafaille in cima all'Annapurna (8091m) il 16/05/2002
archivio Jean-Christophe Lafaille

Tra qualche giorno (per l’esattezza il 25 ottobre prossimo) saranno trascorsi 25 anni dalla morte di Pierre Beghin. Tutto successe sull’immensa Sud dell’Annapurna. L’11 ottobre 1992, a quota 7500 metri, il fuoriclasse francese dell’alpinismo fu tradito da una corda doppia. Con lui c’era l’allora 27enne Jean-Christophe Lafaille alla sua prima esperienza su un 8000. L’incredibile linea che avevano tentato insieme era un’assoluta visione. Tant’è che solo 21 anni dopo, nel 2013, vide la stupefacente prima salita ad opera di Ueli Steck. Quasi 25 anni fa quindi Jean-Christophe Lafaille si trovò ad affrontare un’avventura incredibile anzi al limite del credibile. Probabilmente da lì iniziò la sua storia con un alpinismo himalayano vissuto come pochi hanno saputo fare. Così riandare alla stupefacente storia di Lafaille con l’Annapurna è un po’ seguire le tracce di un alpinismo che forse non cerca nemmeno di essere compreso ma ha solo la necessità di essere vissuto. Forse è questo anche il modo migliore di ricordare uomini come Pierre Beghin, Jean-Christophe Lafaille e Ueli Steck.

L'ANNAPURNA E JEAN-CHRISTOPHE LAFAILLE


La vetta libera. Come la carezza di un sogno e la fine di un tormento. E’ così per molti. E’ sempre così nelle salite degli 8000. Là in alto, nell’aria che non c’è, si devono accettare solitudine, sofferenza e paura. Una devastante fatica, che si combatte solo con la volontà. Ma anche con preparativi di mesi, a volte di anni. E, spesso, bisogna fare i conti con tragedie e insuccessi: è anche questo il sapore della cima. E’ anche questo l’impossibile Annapurna di Jean-Christophe Lafaille.

Tutto ha inizio nel 1992, ai piedi della Dea dell’Abbondanza. Per il ventisettenne Jean-Christophe è il battesimo hymalayano. La prima volta su un Ottomila e la prima volta che si lega alla corda di Pierre Beghin, che ha conosciuto a Chamonix solo da pochi mesi, alla cerimonia di consegna dei Cristal d'Or della F.F.M.E. Sono entrambi preparatissimi. Pierre è un affermato alpinista e un esperto himalaysta. L’anno prima ha aperto con J.C. Profit una nuova via sul K2. E’ lui che propone l’Annapurna a Jean-Christophe, che si era rivelato a tutti nel 1991 con la prima solitaria di Divine Providence al Grand Pilier d'Angle del Monte Bianco e, nel 1992, con il concatenamento in solitaria di due nuovi itinerari ancora sul Pilier D’Angle e sul Freney.

L’obiettivo è aprire una nuova via sull’immensa parete sud della Montagna dei francesi. Naturalmente senza ossigeno, in velocità e da soli: uno stile che Lafaille seguirà per sempre. Tutto va per il meglio fino all’arrivo della tempesta che li sorprende a 7500 metri, verso sera. Non resta che scendere. E’ una situazione difficile ma sono in grado di affrontarla. Non sanno però che ad attenderli c’è un destino terribile. Il friend su cui passa la corda doppia salta via portandosi dietro Pierre, che scompare nel vuoto. Per Jean-Christophe è un flash terrificante. Ora è solo, shoccato e disperatamente in balia dell’ignoto. Ha assistito alla morte del compagno e a quella che, di lì a poco, potrebbe essere la sua fine. E l’unica salvezza è lontanissima, irraggiungibile, duemila metri più sotto.

E’ un’allucinante fuga dalla morte. Disperato, senza materiale, ferito ad un braccio da una pietra, per salvarsi Jean-Christophe dovrà dar fondo a tutta la sua forza fisica e mentale, di tutte le sue risorse di grande solitario. Una lotta per la sopravvivenza da cui riemergerà miracolosamente, dopo cinque, lunghissimi giorni. E’ distrutto nel fisico e nell’anima; si è fermato sull’orlo del KO ma ha pagato un prezzo altissimo. L’incontro con l’Himalaya non poteva essere più traumatico: sarà una lezione che non scorderà mai più!

Risalire l’abisso dell’Annapurna diventa la nuova meta di Jean-Christophe. Ripartire e ritrovarsi e il suo primo traguardo. Deve parlarne, farsi aiutare, riemergere da buio che ha dentro. Riprendere ad arrampicare. E’ difficile, ma lo fa nel suo stile: da solo, con la prima solitaria invernale dello Sperone Croz alle Grandes Jorasses. E’ l’inizio di un viaggio che per molto tempo porterà sullo sfondo l’Annapurna.

E’ una rincorsa senza risparmio, tra l’Himalaya e le Alpi. Il Cho Oyu nel 1993 è il suo primo ottomila, lo sale per la via dei polacchi. L’anno dopo, tocca gli 8046 metri dello Shishapangma in solitaria e per una via nuova che gli vale, nuovamente, il Cristal d’Or della F.F.M.E per la più bella salita del 1994. Ma non si ferma. Nell’aprile del 1995 Jean-Christophe concatena, in solitaria e completa autonomia, dieci cime nei massicci dell'Oberland, Valais e del Monte Bianco tra cui la mitica triologia Eiger - Cervino - Grandes Jorasses.

L’alpinismo di Lafaille è sempre più eclettico, veloce e leggero, molte volte solitario. Così nel 1996, ancora una volta da solo, riesce in quattro giorni nel concatenamento del Gasherbrum II (8035m) e Gasherbrum I (8068m). Nello stesso anno, sempre in Himalaya e da solo, sale una montagna di 6250 metri: la chiama "Mari Ri" come sua figlia Marie. Sì, la famiglia, perché da Katie e dalle due figlie, Jean-Christophe ha sempre attinto forza e motivazione, per un alpinismo estremo ma sempre attento, misurato sulle sue forze.

Il secondo appuntamento con l’Annapurna è ormai arrivato. E’ il 1995. Sono passati tre anni dal primo traumatico incontro, e Lafaiile è ancora sulla parete sud. Questa volta sale per lo Sperone Bonnington, 3000 immensi metri superati nel 1970 dai fortissimi Whillans e Haston. E’ ancora una volta solo. Con una meteo pessima si spinge a più in alto fino a 300 metri dalla vetta. Ma è troppo pericoloso spingersi oltre, la voglia di vivere è più forte dell’ossessione di saldare il debito con i ricordi: ritorna giù. Ancora una volta l’immenso Annapurna conferma tutta la sua fama di montagna difficile e pericolosa. E per Jean-Christophe il cerchio continua a restare aperto.

Inevitabilmente, arriva il terzo rendezvous. L’anno successivo alla salita del Lhotse, il suo quinto ottomila, nel 1998 caparbiamente Lafaille ritenta la carta dello Sperone Bonington. E’ un altro insuccesso segnato dalle condizioni pessime della montagna ma soprattutto è ancora una tragedia a mettere fine alla spedizione. Una valanga spazza il campo 1 trascinando con sé 4 sherpa, per uno di loro non ci sarà più niente da fare. E’ veramente troppo: a Jean-Christophe e ai suoi tre compagni non resta che la via del ritorno. L’Annapurna resta lì, come una chimera sospesa nell’incubo.

Per Lafaille è il momento di dire mai più Annapurna! Ma nonostante tutto, il richiamo della montagna e dei ricordi è troppo forte. Non si sa ancora: ma il destino li farà nuovamente incontrare. Intanto la corsa di Jean-Christophe in Himalaya continua. Nel 2000 è la volta del Manaslu e nel 2001 della via Cesen al K2, suo settimo ottomila. Proprio sul K2 Lafaille incontra Hans Kammerlander. non si conoscono ma ai due basta un’occhiata per capirsi. Hanno storie diverse e allo stesso tempo simili. Lafaille non può scordare la perdita di Pierre Beghin, così come Kammerlander porta ancora nel cuore la tragedia del Manaslu, dove ha perso due dei suoi più cari amici. Non ne parlano molto, ma certo è un legame che li accomuna sulla 2a cima della terra.

2002, ancora Annapurna. E’ l’americano Ed Viesturs a chiedere a Lafaille di condividere il permesso di salita della spedizione sull’Annapurna. Così, più per caso che per volontà, si apre il quarto ed ultimo capitolo della storia. E’ un conto in sospeso che Jean-Christophe ha sempre tenuto dentro. Viene da due anni straordinari, e sente che è arrivato il momento di chiudere. Il progetto prevede la salita della bellissima cresta est percorsa dagli svizzeri Erhard Lorethan e Norbert Joos nel 1984, ed ancora irripetuta. Una tra le vie più impegnative e difficili. Con un avvicinamento interminabile che apre la strada, sopra i 7000 metri, a sette chilometri e mezzo di cresta che attraversa le tre le cime oltre gli ottomila dell’Annapurna. Troppe motivazioni spingono Lafaille: sarà della partita!

16 maggio 2002 si chiude il cerchio. Alle 10 del mattino due uomini sbucano sulla vetta dell’Annapurna, che domina un immenso mare di nuvole. Per il basco Alberto Innurategi è il 14 ottomila, l’ultimo che gli rimaneva da salire. Per Jean-Christophe Lafaille è l’ottavo, ma certo il più importante e sofferto. Lafaille è partito 5 giorni prima dal campo base. Il 13 maggio arriva a 7000 metri, al terzo e ultimo campo. Il 14 maggio insieme a Innurategi comincia salita per l’immensa cresta che per un astrada tutta da trovare, li porterà a bivaccare a 7400 metri. Il giorno dopo continuano fino a sotto la cima Est bivaccando a 7900 metri. Nonostante la stanchezza e la fatica sanno che è necessario essere veloci e soprattutto concentrati se vogliono concludere la salita e restare vivi. Ci riescono. E’ una delle salite più belle di tutto il 2002 in Himalaya. Poi resta il lungo e difficile ritorno al campo base. Un ritorno alla vita che Jean-Christophe Lafaille ha sognato per 10 anni.

di Vinicio Stefanello

articolo pubblicato su ALP Grandi Montagne #13 / 2003




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