Fra Ghiaccio e Mare, Sogni e Realtà. Un viaggio con gli sci in un’Islanda senza inverno

Poi ci sono quei viaggi in cui non ci si ritrova immersi in una natura così primordiale da far pensare all'inizio del mondo, al principio delle ere, quando ancora nessuna orma umana aveva calcato la terra. E ci si scopre sospesi quasi in un nuovo universo, dove il respiro di ognuno sembra essere finalmente in accordo con tutto ciò che ci circonda. A quel punto anche il brutto tempo, il vento forte, la neve che scende quasi orizzontale per la forza delle raffiche, la nebbia che sembra di poter tagliare con il coltello, pendii così spazzati dalle folate che hanno disperso lontano i fiocchi bianchi caduti, tutto diventa parte di quel duro incanto che riporta a una terra arcaica attraversata solo dai grandi rettili.
L’Islanda per noi è stato questo, un ritorno a qualcosa di non vissuto ma che allo stesso tempo è da sempre incastrato fra le pieghe più segrete del genoma di noi esseri umani. Fatto che non viene cambiato dai radi insediamenti abitati sparsi lungo la costa e nemmeno dalla città di Reykjavik, capitale di quest’isola di ghiaccio e lava, di vulcani e mare. L’uomo, in questi paesaggi, è ancora qualcosa di marginale, qualcosa che è all’interno di essi, eppure, in qualche modo avulso, come ne fosse isolato a garanzia della sua stessa sopravvivenza. Così, la durezza della natura islandese riesce a raccontare storie che si perdono nei tempi, storie di resistenza, storie dove l’uomo è sempre in lotta per la sua vita, fosse con le onde del mare, con il vento, con i ghiacci, con le rocce o con i mille misteri, mostri ed esseri magici che ogni elemento di questo estremo Nord riesce a evocare.
Eravamo andati per salire e poi scendere con i nostri sci vulcani e pendii di questa terra. Il tempo sempre coperto, le bufere continue, la neve, la nebbia, il vento forte dell’Atlantico ci hanno regalato solo un giorno di tregua, proprio quando avevamo organizzato disperati di spostarci nei fiordi del Nord-Ovest: un altro scherzo degli álfar, gli elfi delle lande islandesi e dei dvergar, i folletti (forse offesi per il fatto che non fossimo passati dalla città di Hafnarfjörður per chiedere di intercedere per noi con loro ai tre membri del consiglio comunale incaricati delle relazioni uomini/esseri fatati).
Del vulcano Snaefellsjökull, cratere da cui Jules Verne fa iniziare il suo viaggio al centro della terra, siamo riusciti a vedere la doppia cima spuntare a fatica dalle nuvole: sbuffi di neve si levavano dalla cresta, portati verso l’alto dal solito vento soffiato da álfar probabilmente sempre irati con noi. In una perlustrazione dal versante che guarda a Ovest, siamo saliti a piedi verso il ghiacciaio, molto crepacciato su questo lato, solo per essere come sempre ricacciati verso il basso dal tempo inclemente. Un nuovo tentativo è stato fatto sul versante opposto, l’Est. Qui, al termine di una salita ventosa, ma che ha regalato scorci e panorami verso la costa e il mare sottostante da lasciare senza fiato, abbiamo incontrato un gruppo di scialpinisti altoatesini. La nebbia fitta che avvolgeva ogni cosa da quel punto in su, li stava convincendo a scendere. Poco dopo, vista l’inutilità di un tentativo senza speranze, si è interrotta anche la nostra ascesa premiata, per quel poco che è durata, da una neve secca e polverosa che ci ha accompagnato fino a valle. Il mare, poco sotto di noi, scintillava di riflessi blu cobalto, una vista che ancora una volta ha saputo riempirci cuore e anima pur non colmando il nostro desiderio di scivolare sul manto bianco.
Le cime dei fiordi del Nord-Ovest hanno saputo regalare anche loro una dose più che sufficiente di nebbia fitta, vento, bufere e nevischio gelato. Ci addormentavamo con fiocchi di neve che scendevano coprendo ogni cosa e ci svegliavamo con il vento forte che li aveva spazzati da creste e dorsali trasportandoli chissà dove. Passavamo il resto della giornata così a chiederci cosa avessimo veramente fatto di male per avere contro in questo modo tutto il pantheon fatato d’Islanda. Caparbi, siamo riusciti ugualmente a trovare linee di salita a poche centinaia di metri dal mare, linee che ci hanno regalato discese in ali di polvere bianca.
Eppure, nonostante il maleficio degli álfar di cui siamo stati vittime, anche questo ennesimo viaggio sulle montagne del mondo, con gli sci ai piedi, si è rivelato degno di essere vissuto. In fin dei conti, il salire e scendere con gli sci da pendii innevati è stato solo uno, come sempre, degli aspetti di questo andare: i paesaggi, l’ambiente, l’amicizia fra compagni di viaggio hanno costituito invece il nucleo di questa nuova esperienza. Dalle mie parti, a Roma, si dice in questi casi: “Ariconsolate con l’ajetto”. Forse è stato così in questo caso. Una cosa però è certa: senza l’aglio molte pietanze non avrebbero sapore. E quello di questo viaggio, dopo tutto, è stato comunque forte e deciso.
Grazie a RRtrek Roma e a David Ciferri, a K2skis, a Scarpa spa, a Kreuzspitze Bindings e a Berta del The Freezer Hostel del piccolo villaggio di Rif sulla penisola dello Snaefellsnes.
di Alberto Sciamplicotti