Jannu parete est, Dmitry Golovchenko e Sergey Nilov aprono Unfinished Sympathy

Intervista a Dmitry Golovchenko dopo l’apertura in stile alpino ed in 18 giorni di una nuova via sulla parete est dello Jannu nell'Himalaya nepalese insieme a Sergey Nilov. I due alpinisti russi hanno chiamato la loro via Unfinished Sympathy (ED, 2500m).
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Jannu parete est: Sergey Nilov il 28 marzo sugli ultimi tiri Unfinished Sympathy, prima di raggiungere la cresta e scendere il versante sud con Dmitry Golovchenko
Dmitry Golovchenko

A metà marzo Dmitry Golovchenko e Sergey Nilov hanno aperto una grande nuova via sulla parete est dello Jannu in Nepal con un’impresa che sarà ricordata a lungo. Dopo il forfait del terzo compagno di cordata, il fortissimo polacco Marcin Tomaszewski, i due alpinisti russi hanno salito la parete in puro stile alpino, impiegando 18 giorni in totale per superare in brutte condizioni la est e scendere sulla sud, un versante a loro sconosciuto, lungo la via originale aperta nel 1962 da una spedizione francese guidata da Lionel Terray.

Lottando spesso contro il brutto tempo, nella parte alta della salita Golovchenko e Nilov hanno deciso - saggiamente - di procedere verso la cresta invece di puntare per la cima tirando dritto sulla ripida parete finale. A corto di cibo, hanno impiegato ben 6 giorni per la discesa, durante la quale sono stati accolti dal team di supporto guidato dalla polacca Eliza Kubarska che nel frattempo si era spostato sull’altro versante della montagna. La nuova via si chiama Unfinished Sympathy ed è stata gradata complessivamente ED per i suoi 2500m di lunghezza e 1950m di dislivello.

Va da sé che Golovchenko e Nilov fanno parte dell’élite di alpinisti russi, e già due volte in passato il valore delle loro salite è stato riconosciuto con il Piolet d’Or: per la difficile nuova via sulla parete nord del Thalay Sagar (6904 m) nell' Himalaya indiano aperta insieme Dmitry Grigoriev nel settembre 2016, e per i 17 giorni nel agosto 2012 trascorsi insieme a Alexander Lange per superare l’inviolato sperone NE del Muztagh Tower (7284 m) in Pakistan.



Jannu parete est, nuova via in stile alpino. Da dove vi è venuta l'idea? E prima di iniziare, la montagna era un sogno oppure a volte persino un incubo?
Abbiamo visto questa parete nel 2015. Gli ucraini Nikita Balabanov e Mikhail Fomin hanno salito la loro super-impressionante linea sul Talung e hanno avuto un'ottima visuale sulla parete est dello Jannu. Mikhail ha condiviso alcune foto con me e abbiamo pensato che poteva essere un bel traguardo per noi. Nella primavera del 2016 abbiamo cercato di raccogliere i soldi per scalare lo Jannu, ma non ci siamo riusciti. Quest'anno invece sì. Era un sogno o un incubo? No, né l’uno né l’altro. Voglio dire, volevamo assolutamente scalare questo versante, ma non siamo mai diventati matti per esso.

Avete avuto delle difficoltà fin dall'inizio, soltanto raggiungere la base della montagna si è rivelato più difficile del previsto con una camminata di 100 km...
In realtà non era troppo difficile andare a piedi, ma volevamo raggiungere il campo base il prima possibile, ecco perché eravamo un po’ stressati durante il trekking. Il nostro programma era molto difficile e eravamo preoccupati che non avremmo avuto tempo sufficiente per acclimatarci adeguatamente. Ed in effetti alla fine abbiamo dovuto saltare la fase di acclimatamento...

Il progetto iniziale prevedeva un team di tre alpinisti, voi due con l'esperto alpinista polacco Marcin Tomaszewski. Come sono cambiate le cose quando Marcin ha deciso di non salire con voi?
Abbiamo raggiunto il campo base molto più tardi di quanto avevamo programmato. Inoltre, l’avvicinamento alla base della montagna richiede tempo siccome devi salire e fissare le corde su 300 metri di terreno roccioso, così ci siamo resi conto subito che non avevamo tempo a disposizione per acclimatarci. La sera in cui Marcin ci ha informato della sua decisione, non abbiamo discusso cosa avremmo fatto, siamo andati a dormire in silenzio. Ma quando ci siamo svegliati la mattina successiva, Sergey e io ci siamo guardati e ci siamo detti: "Andiamo? Sì, andiamo!"

Sicuramente salire una parete di queste dimensioni come team di due diventa molto più complicato e difficile, no?
Sì, avete pienamente ragione: 2 membri o 3 membri su questo tipo di parete fanno davvero la differenza! Se ci sono soltanto 2 persone, ognuno deve portare di più, il capocordata deve tirare su uno zaino invece di riposare dopo ogni tiro, e in due bisogna fare tutti i lavori: scavare delle cenge per la tenda, preparare il cibo, le bevande ecc.

Parlaci dei pericoli oggettivi su questa montagna. A posteriori, fareste le stesse scelte o cambiereste qualcosa?
In linea di massima penso che la via sia stata abbastanza sicura. L'unico posto problematico era l’icefall, che diventa pericoloso dopo le nevicate. Ma l'abbiamo attraversato quando il tempo era buono, quindi lì non abbiamo avuto problemi. Più tardi, quando eravamo più in alto sulla parete, l’icefall è diventato pericoloso e questo è stato il motivo principale per cui abbiamo deciso di scendere dall’altro versante della montagna. Entrambi crediamo di aver preso delle buone decisioni durante la salita quindi no, non cambieremmo nulla.

Allora come è andata la salita? Cosa vi aspettavate e cosa vi ha sorpreso?

Come ho già accennato, l’icefall era difficile da superare, ma più o meno era come l’avevamo previsto. Ciò che ci ha sorpreso invece è stata la pendenza della parete in alto. Dopo l’icefall l’angolo della parete è attorno a 60°, ma più in alto si innalza e vicino alla cresta diventa persino 80° e di più! Ma Sergey è riuscito a salire tutto questo in libera. Nessun tratto salito in artificiale, niente!

Ad un certo punto avete scelto di non salire lungo la linea diretta fino in cima, ma di proseguire invece lungo la rampa verso la cresta. Quanto è stato difficile prendere questa decisione e quando avete capito che non avreste raggiunto la cima?
Era più o meno evidente fin dall'inizio che sarebbe stato impossibile salire la headwall in un team composto solo da noi due. Questo è il motivo per cui avevamo portato con noi meno corde e attrezzatura da roccia. Tuttavia, speravamo ancora di trovare una nostra linea sulla headwall, ma sapevamo anche che questa doveva per forza essere relativamente facile. E sapevamo anche che le probabilità di trovare una linea con queste caratteristiche non erano molto alte. Quindi quando abbiamo visto che non c'era modo per noi di salire la headwall, abbiamo facilmente scelto la nostra seconda variante, proprio perché eravamo già pronti per essa.
La sera prima di raggiungere la cresta, il 27 marzo, abbiamo avuto questa discussione: proviamo a salire in cima oppure no. Eravamo stati piuttosto lenti, il tempo non era molto buono, avevamo già trascorso quasi due settimane in montagna, e non sapevamo quanto ci avrebbe impiegato la discesa. Alla luce di tutto ciò, abbiamo deciso di non proseguire verso la cima. E adesso siamo entrambi d'accordo che sia stata la decisione giusta.

Hai festeggiato il tuo compleanno proprio quel giorno. Parlaci di questo momento particolare!
In realtà non era niente di speciale, un giorno simile a quello precedente e quello successivo. Eravamo ancora in parete ed era già il secondo, oppure il terzo giorno in cui ci svegliavamo la mattina convinti che "oggi raggiungeremo sicuramente la cresta". In più, quel giorno abbiamo discusso se tentare la cima oppure no.

Qual è stata la cosa più difficile della salita?
La parte più difficile era avvicinarsi alla cresta, dopo i 7000 metri. La parete è molto ripida, ma c'era ancora molta neve. Iniziavamo a scavare nella neve, ma la neve era una specie di granulato, quindi dovevamo scavare più a fondo per trovare del ghiaccio. Ma poi scoprivamo che anche il ghiaccio era friabile, come il formaggio. Quindi era molto difficile trovare delle buone protezioni.

Prima hai parlato del pericolo dell’icefall, di come le condizioni di questo sono cambiate durante la vostra salita. Quando vi siete resi conto che non sareste scesi lungo la via di salita, ma lungo la sud, su un versante che non conoscevate?

Ha iniziato a nevicare durante il nostro terzo o quarto giorni in parete, e a questo punto l’icefall è diventato pericoloso. L'abbiamo visto molto bene, abbiamo osservato un sacco di valanghe che lo attraversavano. La decisione era molto semplice: dovevamo scendere per la via francese, poiché era la discesa più sicura.

Era una sorta di fuga verso la salvezza?
No, non lo direi. Avevamo pensato a questa opzione già prima della spedizione.

Siete stati sulla montagna 18 giorni; quanto cibo avevate con voi?
Avevamo programmato una salita di circa 2 settimane, quindi abbiamo preso provviste di conseguenza. Due volte al giorno abbiamo mangiato un pasto caldo (cibo francese disidratato che Eliza ci ha gentilmente offerto, oppure 2 pacchetti di spaghetti cinesi). Inoltre avevamo frutta secca, noci, formaggio di yak e anche carne di yak essiccata, super-piccante!

Molto è stato detto su questi 18 giorni trascorsi in parete. Ma siete mai stati in difficoltà?

Abbiamo vissuto le maggiori difficoltà durante la discesa. Eravamo già molto stanchi e il tempo non ci ha aiutato. C'era molta neve ovunque, quindi anche dove non era ripido abbiamo dovuto lavorare sodo. E per qualche motivo ci aspettavamo che saremmo scesi in 2 giorni. Quindi quando alla fine del secondo giorno eravamo ancora molto lontani dal ghiacciaio Yamatari, siamo rimasti molto delusi, ma comunque eravamo certi che il giorno successivo saremmo scesi! Il giorno dopo però era identico. E anche il giorno dopo ancora. Quindi alla fine abbiamo trascorso 6 giorni in discesa, principalmente con un tempo pessimo. Siamo rimasti senza bevande per una settimana. Avevamo gas a sufficienza, ma ci eravamo dimenticati di prendere le vitamine che volevamo bere durante il giorno, così quando abbiamo finito il tè durante la prima settimana abbiamo iniziato a bere albicocche secche bollite. Ma ben presto anche queste sono finite, quindi siamo passati all’uvetta, ma anche questa è finita durante i primi due giorni di discesa. Abbiamo trovato delle caramelle nella nostra scatola delle medicine, ma sono finite anche queste e infine abbiamo bevuto soltanto pura acqua bollita. Continuavo a sognare l'acqua tiepida con dentro delle vitamine…

Parlaci del team di supporto polacco guidato da Eliza Kubarska, che si è trasferito sotto la parete sud per coordinare la discesa.

Sono stati meravigliosi! Non ci aspettavamo così tanta cura ed attenzione! Siamo stati accolti da 4 persone: la regista Eliza Kubarska, il tecnico del suono Zofia Morus, la nostra guida, lo sherpa Pasang ed uno sherpa portatore, un ragazzo davvero forte! Eravamo in contatto radio ogni giorno con Eliza, quindi loro sapevano come stavamo andando durante la salita e sono stati anche le prime persone a sapere che avevamo in programma di scendere lungo la via originale. Per noi è stato molto utile avere questo contatto radio con loro, ci ha aiutato sentire altre voci e sapere che c'erano persone che ci aspettavano. Poi più tardi, quando ci siamo incontrati, è stato un momento che davvero non riesco a descrivere!

Come giudichi la vostra salita adesso? Non siete arrivati in cima, è vero, ma c'è una nuova via e anche la prima traversata della montagna, tutto in stile alpino. E naturalmente, siete tornati sani e salvi.
Pensiamo di aver fatto il massimo in quelle condizioni e nei limiti di tempo che avevamo, ed è per questo che siamo soddisfatti!

Quali sono stati gli esempi che hai avuto da giovane e che ti hanno aiutato a scegliere il  tuo alpinismo?
Quando ho iniziato a scalare ho arrampicato molto nel Caucaso in inverno. Fino al 2010 o al 2011 avevo fatto più salite invernali che estive. Penso davvero che questo ci abbia aiutato molto!

Qual è il tuo concetto di alpinismo? O meglio, cosa deve avere una salita per essere alpinistica?

Sii leale con te stesso e la montagna, fai quello che puoi, non devi avere pietà di te stesso e otterrai ciò che meriti! Un risultato è quando fai qualcosa di nuovo su una bella montagna.

La tua via perfetta (per un alpinismo perfetto)

Sono quattro le condizioni necessarie: una bella montagna, e la via dev’essere evidente, sicura e difficile.

Cosa ti hanno insegnato questi 18 giorni sullo Jannu?
La più grande lezione che ho imparato è che questa è una montagna enorme! Un mostro! Pensi che raggiungerai un certo punto oggi o domani, ma in realtà ti servono 3 o 4 giorni...




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