Davo Karnicar, Everest e The Ultimate Ride

Intervista di Emilio Previtali allo sloveno Davo Karnicar dopo la discesa con gli sci dall' Everest.
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Davo Karnicar durante la discesa con gli sci dell'Everest
arch. Davo Karnicar (Elan)
L’Everest è di gran lunga la montagna più alta della terra. La Dea Madre di tutte le montagne. L’ispiratrice di tutti i sogni degli uomini e delle donne saliti in vetta. Nella nostra anima di freerider la discesa suprema, “The Ultimate Ride”.

Tra le tante storie da conoscere, noi vi racconteremo quelle di Davo Karnicar e Marco Siffredi, che rispettivamente in sci e in snowboard hanno avuto occasione di capire, scivolandoci sopra, quanto è grande la montagna più alta del mondo.

Davo Karnicar è stato il primo sciatore del pianeta a percorrere integralmente la discesa dall’Everest in sci. Ha 38 anni ed è sloveno. In eclusiva per FREE.rider racconta la sua avventura.

Dunque Davo, da dove arriva l’idea di scendere in sci dal tetto del mondo?
Io e mio fratello buona parte della mia vita in giro per il mondo a seguire la Coppa del Mondo come tecnico e ski-man lavorando per Elan. Ho lavorato fino a poco tempo fa con Furhuset, ma allo stesso tempo sono sempre riuscito a mettere in programma, ogni due anni circa, una spedizione extraeuropea con gli sci sulle montagne più alte del pianeta.

Nell’89 sono stato al Nanga Parbat dal versante del Diamir, nel ‘93 al K2, nel ‘95 all’Annapurna dove ho raggiunto la cima con gli sci e ho compiuto la prima discesa.
E' stato lì che ho capito che sciare sull’Everest sarebbe stato possibile, e l’idea ha cominciato a ossessionarmi. Nel frattempo sono stato ancora in vetta a un 8000, lo Shishsapangma, nel ‘96.

Il tuo primo tentativo di discesa in sci dell’Everest?
Nel 1996 ho tentato dal versante nord, ma la mia salita si è arenata a 8300 metri. Anche se non riuscire è stata una delusione che ha prolungato la mia “ossessione” per l’Everest in sci, è stato un ottimo banco di prova per capire di cosa avevo bisogno per raggiungere la cima.

Durante il primo tentativo ho perso due dita della mano a causa dei congelamenti, mignolo e anulare. Ho capito che avrei avuto bisogno di uno staff a mia disposizione, materiali studiati appositamente e soprattutto che avrei dovuto salire dal versante opposto, quello sud.

Anche io, come Kammerlander, ho trovato pochissima neve. Se anche fossi arrivato in cima non avrei potuto scendere integralmente come volevo. A mio avviso infatti dal versante nord non esiste la possibilità di compiere una discesa integrale, e i couloir della nord sono difficili e raramente in condizione (è curioso rilevare che Davo asserisce questo prima che Marco Siffredi compia la discesa dal couloir Norton in snowboard, ndr).

Quindi hai deciso di puntare tutto sul versante sud. Certo non è stata una soluzione molto “a buon mercato”.
No, assolutamente! I costi sono enormi; solo per il permesso servono 70.000 $. Ho tentato per due anni di reperire la cifra occorrente ma non sono mai riuscito. Poi ho cominciato a pensare a un progetto diverso, innovativo. Qualcuno nel mio staff ha avuto l’idea di trasmettere live la mia spedizione su Internet, giorno per giorno, ora per ora.

Ho capito subito che quella sarebbe stata l’unica possibilità per me di organizzare un progetto come quello che avevo in testa, anche se i costi erano praticamente raddoppiati. Ma incredibilmente è stato più facile chiudere un budget mostruoso grazie a Internet, piuttosto che un progetto meno costoso con degli sponsor tradizionali. Se sono stato in vetta all’Everest con gli sci è merito di Internet.

Quindi ti sei trovato nel mezzo di un progetto di comunicazione gigantesco, totalmente al di fuori dalle tue abitudini. È stato difficile gestire lo staff e le tue emozioni? Sentivi pressioni intorno a te?
Non è facile gestire un gruppo di persone così grande e così eterogeneo. Coinvolti nell’avventura c’erano 6 alpinisti, ma anche operatori, tecnici di telefonia, giornalisti. Non è stato sempre facile, ma sapevo che quella era la mia unica, e probabilmente ultima, possibilità di sciare dalla vetta dell’Everest, per cui mi sono sforzato al massimo per giocare al meglio le mie carte.

Sapevo di avere gli occhi della Slovenia puntati su di me, la Simobil (la nostra Telecom per intenderci, ndr) ha puntato parecchio su questo progetto, ma la mia attenzione era rivolta unicamente alla montagna e alla mia discesa. Io ero lì per quello, del resto si dovevano occupare gli altri. Il mio compito era gestire al meglio gli alpinisti che mi davano una mano, tentare di gratificare ognuno ma non perdere di vista il mio obiettivo personale. A volte ho dovuto impormi con i miei compagni. Sai, la cima dell’Everest fa gola a tutti.

Una volta sulla montagna com’è andata?
Come tutte le normali spedizioni all’Everest abbiamo dovuto prima acclimatarci, poi trasportare i materiali in quota attrezzando i campi, e successivamente attendere il bel tempo per il nostro tentativo alla cima.

Il lavoro necessario è stato grande, perché tentare l’impresa in autunno con nessun’altra spedizione in giro ha significato accollarsi una mole di lavoro grandissima. Ogni volta che nevicava non c’era nessuno che batteva la traccia insieme a noi. Il tempo comunque ci ha dato una mano. Il 7 ottobre ho raggiunto la cima salendo di notte, e alle otto del mattino ero pronto a scendere.

Hai usato l’ossigeno?
Sì. Per me l’obiettivo principale era la discesa integrale con gli sci, quindi andare in vetta è stato solo l’inizio della mia avventura. Non potevo permettermi il rischio di non arrivare nemmeno al punto di partenza della discesa. D’autunno le temperature sono bassissime e senza ossigeno senti troppo freddo. È un compromesso che ho dovuto accettare.

Ora che è fatta, non ti dispiace di aver usato l’ossigeno? Non senti come se ti mancasse qualcosa?
Il mio è stato un passo avanti in questo genere di avventura; probabilmente tra qualche anno arriverà qualcuno a ripetere la prima discesa integrale e lo farà senza ossigeno. Speriamo. Il mio è stato solo un passo, ce ne sono parecchi altri da fare. In qualsiasi caso la prima discesa integrale dalla vetta dell’Everest con gli sci resterà la mia.

Quali sono i tratti più difficili scendendo sul versante sud? L’Hillary Step poco sotto la cima mette in difficoltà anche gli alpinisti in salita, come hai fatto a scenderlo?
In realtà scendendo, l’Hillary Step è stato meno difficile della sezione precedente, dove c’è una crestina sottilissima ed esposta. È un passaggio delicato, e poi la quota si sente. Probabilmente con lo snowboard si può passare meglio; con gli sci è complicato perché c’è poco spazio.

Ho aggirato l’Hillary Step passando alla sinistra per una specie di canalino esposto; poi fino alla Cima Sud la discesa è molto tecnica. Qui ho levato l’ossigeno e sono sceso senza. Il tratto successivo è piuttosto delicato per il pericolo di valanghe, non è che mi sentissi proprio a mio agio girando su quei lastroni!

Poi dal Colle Sud, come sono andate le cose? Ti sei fermato?
Sì, mi sono fermato per bere e per montare la telecamera digitale sul casco, una sosta abbastanza breve. Alle 11.30 del mattino ero al campo 1, a 6000 metri, appena sopra la Ice Fall.

Come hai fatto a passare oltre l’Ice Fall senza togliere gli sci?
C’è una sola possibilità per evitare l’Ice Fall. Ho dovuto percorrere una diagonale alta sulla destra, proprio sotto la parete sud. Il classico posto dove non vorresti mai passare. È ripido, esposto alle scariche che partono dall’alto e pieno di lastroni. In più se cadi vai di certo a finire nel bel mezzo dell’Ice Fall e non ti raccattano nemmeno a pezzettini.

Ero teso come un violino e stanco. Poi finalmente, alle 12.40 sono arrivato al campo base, contento che tutto fosse finito. Ero in movimento da quindici ore, mi sentivo svuotato ed ero incapace di dormire. Come se fossi distante anni luce da questo mondo. Non riuscivo nemmeno a essere felice.

Adesso cosa senti quando pensi alla “tua” discesa?
Sento una gioia immensa. Dici bene quando sottolinei “tua”. La sento come qualcosa di assolutamente, intimamente “mio”. In fondo ho sempre pensato che ci fosse un appuntamento con il destino per me su quella montagna; ero certo che prima o poi il mio sogno si sarebbe avverato. Ho dovuto sacrificare parecchie cose per questo sogno; anche i miei quattro bambini in qualche modo sono stati coinvolti in questa avventura che mi ha accompagnato per tutta la vita di sciatore. Anche la loro vita è stata segnata dall’Everest. Spesso la montagna mi ha tenuto lontano.

Altri progetti?
Ora sono completamente soddisfatto, non ho progetti futuri. Non riesco a farne, tutto mi sembra così distante dopo quella discesa. Sono sorpreso di quanto debole sia il desiderio di trovare una nuova meta a cui tendere. Forse sono troppo soddisfatto della mia vita odierna e il fatto di non essere un professionista mi dà la possibilità di rimanere libero, di non dover a tutti i costi inventarmi qualcosa da fare di ancora più difficile. Ora ho solo voglia di portare i miei bambini a sciare e arrampicare.




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