Te lo do io il Brentino! Al Monte Cimo in Val d’Adige una via dedicata a Sergio Coltri
Chiunque abbia ripetuto l’iconica Te lo do io il Verdon, avrà notato a metà quella placca adagiata sotto il suo enorme tetto a scala: un tappeto arancio di coralli che sfuma all’apice sinistro sul grigio a gocce. Una vera golosità per i più maliziosi, capaci di decifrare geometrie e colori della Val d’Adige già dall’autostrada.
Ecco, dopo tre religiose personali ripetizioni officiate tra il 1995 e il 2000, quando si veniva in pellegrinaggio a Brentino per prendere bastonate soprattutto sulle vie di un certo Sergio Coltri, questa era l’immagine vivida che mi rimbalzava in testa. Una, tra le centinaia del pesante file celebrale, ripescata dall’algoritmo chiodatorio capace di trasformarla, decenni dopo, in cantiere senza un motivo preciso. Così, all’improvviso.
Bene, dall’8 novembre 2025 avevo la certezza che quel mare di coralli isolato e sospeso, presto sarebbe diventato una via e ne ero felice. Mancavano però quattro tiri sotto e quattro sopra, tutt’altro che scontati. Ma quello sarebbe stato un dettaglio…
Immediatamente scatta la delirante fase di individuazione dell’ipotetico percorso che, sappiamo, a volte può costare notti insonni chini su immagini mai abbastanza definite fino a fantozziani vaneggiamenti.
Il motivo per cui Te lo do io il Verdon è la prima via del Sass de Mesdì, costituendone il margine sinistro di un settore lungo più di un chilometro assieme alla Pala del Boral, da solo dovrebbe essere sufficiente a spegnere la fantasia di tracciarvi una via ancora più a sinistra: un settore di certo poco attraente, con porzioni compatte ma nel complesso discontinuo e vegetato.
“Beh, allora vorrà dire che dovremo davvero impegnarci”, ripeto a Cristina. Tra i pochi compagni a sopportarmi nelle quattro aperture realizzate solo negli ultimi quattro mesi; in un’occasione ho arruolato anche l’abile elfo Benji, compagno di tante avventure speleologiche. Uno dei pochi a comprimere i miei gradi più stretti…
Parlo del progetto con il mitico Sergio, che l’anno scorso ho avuto la fortuna di conoscere assieme alla compagna Giuliana. Ben conoscendo certe dipendenze da attività psicotrope, sarà lui mosso da compassione a girarmi delle foto ad alta risoluzione fatte ad hoc. Che regalo! Ormai un filo d’Arianna ideale era stato steso: mancava solo di seguirlo materialmente.
Partiti dal parcheggio all’alba del 13 novembre, inauguriamo così quella fuga di traversi che serpeggiano alla ricerca dell’arrampicabilità e della continuità su una parete ancora più complessa di quello che sembrava. Per contro la roccia è del miglior repertorio di Brentino!
La sequenza che adoro e che ripeto enne volte, trapano in cintura, è sempre un runout di qualche metro poi un fix salvifico in libera ghisandosi pure le unghie dei piedi o sospirando su cliff fingendo di essere leggero, a volte arrivando pure a parlare con esso…
Le nostre, certo, sono difficoltà “quasi plaisir”, ben consapevoli che le vie dure partono tre/quattro gradi sopra. Ma ci teniamo a lasciarle eleganti senza banalizzarle con chiodature ascellari, cercando il gusto di un tempo nel muoversi tra gli spit. E non da spit a spit…
E come sempre nel nostro stile, solo ed esclusivamente dal basso, non ci sono staffe, buchi artificiali per i cliff, corde fisse, sopralluoghi dall’alto o peggio droni. Navighiamo a vista, passaggio dopo passaggio, stavolta di traverso in traverso più o meno seguendo il pennarello blu di Paint sulla foto e scongiurando passi di A0, tratti friabili o vegetati.
Nella terza ed ultima freddissima giornata di apertura, il 19 novembre, dopo il Mare di Gocce e il Diedro Azzurro, ancora un’ultima placca. Poi, finalmente, assaporiamo un’altra vetta che non c’è. Il tempo di un selfie poi giù con le doppie nell’ombra della sera ormai gelida e veloce.
Alla base nella penombra, tra corde intrecciate diabolicamente nei rami, materiale sparso ovunque, terra nera negli occhi e nelle scarpette, telefoniamo a Sergio: “È finita, ora possiamo anche rivelartene il nome: Te lo do io il Brentino! Ed è dedicata a te”. Alla nostra maniera un ringraziamento sincero per quello che ha regalato a noi e a questa valle in quarant’anni.
Indimenticabili quei lunghissimi secondi di commozione reciproca. Prima del sentiero al buio per l’ennesima volta e le meritate birre…
- Matteo Rivadossi, Brescia















































