Le pagine di pietra del Lagorai: alla Punta Brunella in Val Orsera la via 'Tuareg'

Le prime luci sull’erba ancora intrisa di rugiada lambiscono in controluce la corona frastagliata posta alla testata della Val Orsera. Non le Dolomiti con i loro paracarri, dove la roccia ad ogni tramonto si accende come braci, ma un’altra anima delle Orientali, più selvaggia. Qui, in questa valle il porfido rossastro e il granito si guardano, un cuore pesante e roccioso batte in un silenzio che solo il vento e le marmotte spezzano di tanto in tanto. Un gruppo montuoso ancora per buona parte, alpinisticamente inesplorato: il Lagorai. È in questa ultima riserva indiana, fatta di pietra ricoperta da licheni dorati che l’idea, nata nella mente lucida e appassionata di Alessio Conz, comincia a prendere forma. Conz, un cognome che risuona già di per sé di avventura e conoscenza profonda di queste solitudini, lui che ha saputo svelare l'anima di questi monti con le sue guide.
Ancora oggi mi tornano alla mente le campagne di apertura al Rifugio Sette Selle, condotte assieme a lui e a Christian. Lì, la visione di Alessio e la sua tenacia, sempre accompagnate dall'inseparabile Makkia, quel barboncino brizzolato dagli occhi intelligenti e dal passo felpato, sono stai elementi imprescindibili di ogni esplorazione sul Roat Mauer o sulla Colombara. Da questa simbiosi sono nate vie come Bubba Ho-Tep, Vipera Turchina, L’ora d’oro, Picnic ad Hanging Rock.
Le vie di roccia sono viaggi che partono da lontano, dal momento in cui prepariamo meticolosamente l’attrezzatura e agganciamo la nostra corda a cavallo dello zaino. I lunghi avvicinamenti, quelle risalite pazienti attraverso boschi di larici via via più radi e poi improvvisamente i rododendri colorati, su sentieri che paiono cicatrici sulla pelle della montagna, sono parte integrante del rito. Ore con il pesante saccone in spalla, il fiato che si condensa nell'aria del mattino e i pensieri che si fanno leggeri come la polvere sollevata dai passi nella radura popolata da biondi cavalli sul retro del Rifugio Caldenave. È dopo queste marce sudate che la montagna si rivela, suggerendo linee, mostrando diedri invisibili, promettendo vertigine.
Ed è così che, percorrendo lungamente la Val Caldenave, si manifesta all’improvviso un ambiente alpino di rara amenità, la Val Orsera. Un paesaggio che per certi versi, quasi un miraggio in terra trentina, richiama alla mente le distese della Gallura sarda. Il granito affiorante, lavorato dal tempo e dagli elementi, le macchie di vegetazione bassa e resistente, i bivacchi dei pastori sotto i massi ciclopici e una scarsissima antropizzazione che rende questo luogo un Eden lontano dal frastuono, dove il tempo sembra scorrere secondo il ritmo dato dal gorgoglio dell’acqua sotto alle pietraie.
In questo quadro, l’occhio esperto di Alessio si posa su quella grande placca sopra al nevaio, destinata a diventare il punto di partenza della nostra nuova via. Una placca che, nella sua sinuosità e inclinazione, appare come una duna pietrificata, plasmata dal vento di un Sahara ancestrale, un richiamo ai racconti di Boccazzi, l’esploratore. Cino, il medico, lo scrittore e accademico Bellunese nato Valdostano, che ha attraversato il Sahara ventidue volte, dodici volte lo Yemen, un “nomade delle rocce” e delle sabbie. Le pagine dei suoi racconti, intrise del profumo delle città carovaniere e delle esplorazioni sulle guglie dell'Hoggar, hanno nutrito l'immaginazione dei suoi lettori, e sono queste suggestioni che mi suggeriscono l'idea del nome della via.
Il tutto ha inizio nel 2021, con le prime cinque lunghezze aperte dal sottoscritto, aiutato dagli amici Daniele Dal Pozzolo prima e Paolo Schiavo poi. Un lavoro paziente, metro dopo metro, tra placche di aderenza e diedri fessurati su roccia entusiasmante, con quel lichene discreto che non disturba l’aderenza. Si alternano i tiri, si integra con i friend dove le fessure generose lo permettono, un dialogo costante con la montagna fino a che il temporale dichiara il diritto di prelazione sulla volontà di noi piccoli uomini.
Poi, gli anni passano presi da mille altri progetti fino al 4 luglio 2025: il sigillo finale. Le ultime quattro lunghezze, salite in alternata con Christian Confente, di nuovo compagno di mille salite, fino alla vetta squadrata di Punta Brunella. Il toponimo è proposto da Alessio stesso sulla sua guida Lagorai Rock. L'ultima spinta verticale sul pilastro ora raggiunto con un traverso, una fessura superficiale e sfuggente, un bivio preso “a sentimento” tra due brevi diedri ci conduce all’ultima paretina ammanigliata, che apre la strada alla cresta che porta ad una profonda trincea, testimone silenziosa di drammi passati. La Via Tuareg, 280 metri di sviluppo, oggi è sufficientemente protetta a fix, chiodi e cordoni, quasi definibile “plaisir” se non fosse per qualche friend che conviene tenere come asso nella manica per i diedri fessurati.
E così, nel cuore del Lagorai, nasce un nuovo itinerario di roccia che è un ponte tra mondi e un omaggio a chi ha saputo narrare l'anima dei deserti e a chi, come Alessio Conz, continua a cercare e a trovare nel cuore delle creste del Lagorai un luogo da esplorare e vivere. Il vento di questa catena bruna ora porta con sé, con le sue raffiche, anche l’eco lontano del vento del tenerè, un soffio d’eternità che lega queste rocce ai romanzi dello scrittore-alpinista che si spera non venga dimenticato dalle nuove generazioni.
- Manuel Leorato, Lagorai