Alla Cresta dei Prosces (Gran Paradiso) la nuova via Non mi basti mai di Andrea Migliano e Lisa Seffusatti

"La scalata è perlomeno entusiasmante, su roccia rossa granitica perfettamente fessurata; si sale nella ricerca di un momento estetico e per il piacere medesimo di arrampicare ed essere in parete, attorno è l'apertura di un mondo non riprodotto, che fa capo all'enorme massa del Gran Paradiso, un versante affascinante e sconosciuto, perlomeno attualmente in oblio. La creatività oggi è appunto la ricerca dell'ignoto, l'esplorazione fisica di territori, spazi, metri quadrati nuovi, vizio o virtù che si rifà a quel bisogno ancestrale dell'uomo."
Leggendo questo testo di Giancarlo Grassi i brividi hanno percorso le mie interiora, non solo per il soggetto del suo testo, la Cresta dei Prosces, ma per il fascino di un grandissimo alpinista in grado di sognare, vivere, ma soprattutto trasmettere attraverso le parole quello che un amante della roccia riesce a sentire quando si isola in un posto remoto con quell'unico desiderio di vuoto che lo fa sentire in pace.
La Cresta dei Prosces (3223m) è una montagna sconosciuta come tante nel remoto Vallone di Goui, estensione del più noto Vallone di Noaschetta. Numerosi scritti descrivono la roccia dei Prosces come la migliore nel Gran Paradiso. La leggenda diventa realtà quando tocchi con mano questa parete stupenda di roccia gneiss-granitica di colore rosso, risalente a 300 milioni di anni fa. Sono 300 anche i metri della parete che aggiunti ai 140 di zoccolo garantiscono un'avventura d'altri tempi, soprattutto se pensate che le relazioni delle vie salite durante gli anni 80 sono per lo meno fuorvianti, in quanto non è possibile scovare alcun segno di passaggio o monito lungo la parete. Non esistono rifugi, solo alpeggi abbandonati e umili casolari di sassi ormai demoliti dal tempo, che in questo ampio Vallone sembra essersi arrestato. La marcia per raggiungere questa meraviglia è lunga, motivo principale che allontana gli alpinisti ed i rocciatori, in questo caso anche gli amanti del genere. Ma la camminata non pesa, ad ogni svolta il paesaggio cambia e la pace accompagna in maniera armoniosa l'andamento dei passi trasformando una faticosa scarpinata in un viaggio nel tempo.
La nostra salita
Ci siamo accampati all'Alpe Bruna, nei pressi di una Grangia abbandonata, abbiamo disposto le lose più piatte come giaciglio per separarci dalla densa erba grassa, colma di umidità. A poco è servito, perché al nostro risveglio una finissima pioggerella ha infastidito i nostri visi facendo tardare la partenza e generando un certo sconforto nell'osservare una nube tempestosa sul Gran Paradiso, proprio a ridosso della nostra parete. Ci siamo spostati sotto i rimasugli del tetto pericolante della Grangia e, facendo colazione, abbiamo ammirato un'alba spettacolare che non prometteva nulla di buono. Per fortuna dall'altro lato il cielo era terso e si poteva ammirare il fievole lume di Venere, la stella del mattino.
Ci abbiamo creduto e con la nostra manciata di Friends ci siamo avviati, attratti da quella parete meravigliosa immersa nel grandioso Vallone di Goui ai piedi del Gran Paradiso. Saremmo dovuti uscire in giornata e scendere dal lato opposto quindi abbiamo scalato con materassino e sacco a pelo nello zaino che nonostante tutto si è rivelato abbastanza leggero. Il telefono non prendeva, le previsioni osservate il giorno precedente promettevano qualche rovescio nel pomeriggio, ma un grande entusiasmo condito con un pizzico di incoscienza e una manciata di buone speranze ci ha fatto partire convinti di riuscire nella nostra piccola impresa
La linea di salita prende forma già nella sua prima parte di zoccolo che se affrontato nella sua parte più continua regala lunghezze divertenti e per nulla banali. Noi abbiamo fatto tre tiri per un totale di 130 metri nella parte centrale dello zoccolo, a sinistra del suo punto debole, che comunque richiede l'utilizzo delle scarpette per tre o quattro lunghezze. Abbiamo incontrato difficoltà fino al VII con qualche breve passaggio in strapiombo. La roccia è già bellissima e una volta passato lo zoccolo bisogna camminare in conserva per circa 200 metri su prati alternati da placche abbattute di bellissimo granito. Qui si apre la vista ed è possibile scegliere la propria linea di salita sulla parete vera e propria. Un'occasione più unica che rara sulle nostre Alpi, soprattutto su una roccia del genere. Noi abbiamo scelto di raggiungere la parte centrale, sembrava la più bella, lunga e compatta, inoltre, nelle brevi righe descrittive delle vecchie guide, si diceva che la parte più bella era proprio la Torre Nera, percorsa da Grassi e contraddistinta da una testa di granito nella sua sommità che rappresenta la cima. Le linee disegnate sulla guida erano indicative, ma nel dubbio siamo partiti decisamente più a destra rispetto alla linea descritta da Gian Carlo, seguendo sistemi di fessure meravigliosi al limite di un muro rosso compattissimo che correva alla nostra destra. Quella porzione di parete con una serie e mezza di Friends sembrava abbastanza inaccessibile.
Ci siamo fatti trasportare dalla roccia seguendo i suoi punti più belli, senza forzare i passaggi. Siamo stati respinti solo lungo un tiro dove a seguito di un'enorme fessura scalata in dulfer mi sono trovato su un pulpito e sopra di me le possibilità di proteggere sono venute meno. Prima di scendere disarrampicando, ho rischiato grosso. Senza accorgermi ho sfiorato col piede un grande masso in bilico, che è esploso in mille pezzi sulla verticale della sosta. Panico e adrenalina mi hanno accompagnato per una buona mezz'ora soprattutto perchè in sosta c'era Lisa che con prontezza si è riparata sotto al tetto che delimitava l'area di sosta.
Il tempo passava e, anche se avevamo margine, i dubbi della nostra riuscita stavano aumentando. La torre si era ristretta e ormai sopra di noi c'era la certezza di dover affrontare un tetto, e prima di esso almeno un paio di lunghezze con passaggi strapiombanti. Per fortuna le fessure non ci hanno mai abbandonato permettendoci di costruire delle ottime soste a Friends, talvolta col sedere completamente nel vuoto.
Descrivo solo la lunghezza più estetica, il penultimo tiro: a seguito di un passaggio molto fisico per superare il tetto, si è apre alla vista un diedro perfetto, ma improteggibile, al suo termine la presenza di un'altro tettino ha sopito la speranza di aver superato il punto più difficile. La fortuna ci ha assistito permettendomi di mettere una buona protezione e, una volta superato anche il secondo tetto, una placca verticale cosparsa di tacche e funghi compatti che fuoriuscivano dalla roccia mi ha permesso di raggiungere una porzione più abbattuta dove costruire una sosta. Uno spettacolo di rara bellezza ci ha portato fuori dalle difficoltà prima di affrontare gli ultimi 50 metri lungo fessure disegnate sul caratteristico gneiss colorato.
Credo che questo luogo debba rimanere intatto, sarebbe sicuramente piacevole avere almeno una linea di soste di calata per permettere ai pochi fruitori una possibile ritirata o quantomeno una comoda discesa dalla vetta alla base. La particolarità è che una volta alla base della parete è possibile scegliere la propria linea di salita in quanto le possibilità di proteggere e la qualità della roccia sono elevate lungo tutta la superficie che si sviluppa in orizzontale per circa 800 metri.
Ringrazio Liz per aver di nuovo condiviso con me una meravigliosa avventura. Grazie al prezioso supporto di Wild Country e La Sportiva
- Andrea Migliano, Valle dell'Orco
Info: guidevalleorco.com