Grandiosa nuova via russa sulla parete Sud-Ovest del Manaslu

Dal 12 - 27 ottobre 2025 Natalia Belyankina, Kirill Eizeman, Sergey Kondrashkin, Vitaly Shipilov e Andrey Vasilyev hanno aperto una nuova via sulla parete sudovest del Manaslu (8163m). Gli alpinisti russi sono saliti in stile alpino, senza l'aiuto degli sherpa e senza ossigeno supplementare. Il report di Anna Piunova.
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Manaslu parete sudovest salita da Natalia Belyankina, Kirill Eizeman, Sergey Kondrashkin, Vitaly Shipilov, Andrey Vasilyev
archive Andrey Vasilyev / Sergey Kondrashkin / Natalia Belyankina

Nella primavera del 1972 una spedizione tirolese aprì una nuova via sulla parete sud-ovest del Manaslu. La linea, in seguito conosciuta come via Tirolese o via Messner, evita il centro della parete e guadagna la cresta a ovest, seguendo una rampa di ghiaccio che conduce all'altopiano sommitale. Sebbene Reinhold Messner abbia raggiunto la vetta da solo, il 25 aprile, la spedizione si concluse in tragedia quando Franz Jäger e Andi Schlick scomparvero durante la discesa, mentre Messner e i suoi compagni lottavano per la sopravvivenza nella tempesta. La via divenne sia una pietra miliare che un monito.

Oltre cinquant'anni dopo, una spedizione russa si è avvicinata allo stesso versante della montagna, mirando ad aprire una nuova linea sulla stessa parete. In seguito, sarebbero scesi per la vecchia via Tirolese, chiudendo un cerchio storico attraverso la parete sud-ovest.

Nell'autunno del 2024 due team russi stavano scalando due ottomila diversi. Sul Dhaulagiri la stagione era finita in tragedia. Una serie di piccoli errori di valutazione, ritardi, maltempo, esaurimento, avevano tolto la vita a cinque alpinisti. La loro scomparsa ha mandato un'onda di shock silenzioso nella comunità alpinistica russa, un promemoria di quanto sia sottile lo spazio tra la perseveranza e la perdita della vita.

Nello stesso periodo, il team di Andrey Vasilyev era impegnato sul Cho Oyu, tentando la Via Yefimov sulla cresta est, senza ossigeno supplementare e senza sherpa. Non hanno raggiunto la vetta, ma l'esperienza si è rivelata decisiva. Settimane di lavoro ad alta quota, giorni passati sopra i settemila metri, e la disciplina di fermarsi quando procedere diventava pericoloso, hanno dato a loro una profonda comprensione della resistenza umana e della capacità di prendere le decisioni giuste. Ciò che allora sembrava un fallimento è divento un preludio. Sul Manaslu, quella lezione li avrebbe tenuti in vita.

Il team si è formato lentamente, e non era chiaro chi sarebbe partito. Alla fine, erano in cinque: Andrey Vasilyev, Sergey Kondrashkin, Kirill Eizeman, Natalia Belyankina e Vitaly Shipilov.

Nella fase di acclimatamento hanno seguito la via normale del Manaslu. Dall'inizio del trekking alla vetta hanno impiegato solo quindici giorni. I ragazzi hanno risparmiato soldi vivendo a Samagaon invece che nel campo base servito, percorrendo ogni volta 1000 metri extra di dislivello. "Meno comfort, ma un recupero migliore," ha notato Vasilyev.

Durante l'acclimatamento sono riusciti a scattare diverse fotografie del versante sud-ovest della montagna, mostrando il ghiacciaio tra il Tulagi e il Manaslu e la cresta dove si snoda la via austriaca del 1972. Il piano per la seconda fase era di traversare lì e tentare una nuova linea. Una ricognizione con il drone è fallita, però, quando questo si è schiantato sul ghiacciaio, lasciandoli ad esplorare la parete alla vecchia maniera, passo dopo passo e senza sapere cosa li aspettasse.

Il 12 ottobre 2025 sono partiti da Samagaon per il versante sud-ovest, trasportando cibo per dodici-quattordici giorni. Il loro obiettivo era chiaro: salire in una sola spinta continua, senza ossigeno, campi fissi o rifornimenti.

Entro il 13 ottobre si trovavano sotto il seracco, osservando dove il ghiaccio si rompeva e cadeva, cercando una linea sicura. Il giorno dopo sono saliti più in alto, tessendo la loro via tra i crepacci, provando percorsi che terminavano all'improvviso, sbarrate da seracchi. Il 15, hanno trovato finalmente un passaggio attraverso il labirinto e hanno raggiunto la base della parete. La notte seguente hanno bivaccato alla fine del pendio a circa 6300 metri, l'ultimo tratto facile prima di entrare in parete.

All'alba del 17 ottobre hanno iniziato la salita della parete sud-ovest. La linea seguiva pendii di neve ripidi e tratti di misto, mai estremi ma incessanti. Sono saliti fino a 6900 metri, dove hanno piantato la tenda. "Condizioni buone, una bella linea," ha scritto Vasilyev quella sera. "Siamo stanchi, ma rispetto al Cho Oyu, ci sentiamo freschi."

Natalia Belyankina ha scritto in seguito: "Il mio team ha smesso da tempo di vedermi come speciale o fragile. Scherzano solo sul fatto che ora abbiamo qualcuno che non può congelarsi le dita dei piedi." Nel 2022, dopo un congelamento, le furono amputate diverse dita dei piedi e ha dovuto reimparare a camminare. "Scalare, respirare, osservare, ridere insieme. Forse questa la vera essenza dell'alpinismo."

Entro il 19 ottobre, il team aveva raggiunto i 7050 metri, l'ultimo posto possibile per piantare la tenda prima della parete superiore. "Domani, dieci lunghezze di corda fino alla cresta." Non l'hanno raggiunta. Quella notte hanno scavato nella neve e sono rimasti seduti, esposti al vento in una trincea poco profonda, incapaci di dormire.

La mattina dopo è arrivato un breve messaggio: "Congratulazioni ai francesi Benjamin e Nicolas. Che forti." La notizia di Vedrines e Jean sul Jannu Est li ha raggiunto tramite l'InReach.

La loro salita si protraeva all'infinito. "Un giorno lontano da tutto, niente sonno, niente riposo," ha riportato Vasilyev. "Siamo esausti, il ritmo è più lento. Il terrenova bene." Kirill Eizeman ha aggiunto: "Due notti senza dormire, è dura ma almeno l'acclimatamento è buono."

Il tono dei loro messaggi è rimasto costante, quasi distaccato, come se la sopravvivenza avesse un suo ritmo. Ma per coloro che leggevano da valle, i segni di esaurimento, i piccoli refusi, le frasi spezzate, il programma che slittava di giorno in giorno, iniziavano a mostrarsi.

Il 21 ottobre, il team ha finalmente raggiunto la cresta a 7700 metri. "Terreno ripido, poi la via classica a piedi." A mezzanotte si sono preparati per la spinta finale. Alle 19:40, ora nepalese, del 22 ottobre, è arrivato il messaggio: "Vetta. Appena tornati in tenda. Brutale. Il vento in cima era pazzesco."

Cinque alpinisti sul tetto del Manaslu, da soli, dopo undici giorni sulla montagna. Una nuova linea pulita, tracciata su una parete dove quasi nessuno mette mai piede.

La sera scese pesante. "Scenderemo lentamente. È lungo fino al campo base." Sotto, la via Tirolese attendeva, settecento metri di terreno sconosciuto. "È pericolosa," ha scritto Vasilyev. "Siamo tutti sani, solo a pezzi. Ma quando è il momento di scendere, la forza arriva sempre."

La discesa è iniziata con un peggioramento del tempo e una crescente stanchezza. Dopo la vetta del 22 ottobre, il team ha passato una notte fredda e insonne appena sotto la cima, aspettando la luce del mattino per muoversi. Il 23 ottobre hanno iniziato a scendere verso la via Tirolese, l'unica discesa conosciuta sul loro versante della montagna. La nebbia era fitta, la visibilità quasi zero, e verso sera si sono fermati per un bivacco a circa 7800 metri. La mattina dopo il cielo si è finalmente schiarito e hanno iniziato la lunga serie di calate che li avrebbe portati giù per la cresta sud-ovest. Gli ancoraggi nella neve instabile richiedevano tempo e cura, ognuno scavato, testato e ricostruito prima della discesa successiva. All'arrivo della notte avevano effettuato venti calate, perdendo quasi mille metri di quota prima di fermarsi su una stretta piattaforma per un altro bivacco.

Le scorte di cibo erano quasi esaurite, ridotte alle ultime razioni di tè e cioccolato. Nei due giorni successivi hanno continuato a scendere attraverso il ghiacciaio e giù attraverso il seracco, recuperando i loro vecchi punti di riferimento. La via non era più la stessa: la neve si era sciolta, i crepacci si erano allargati, e più volte sono stati costretti a cercare nuovi passaggi attraverso il terreno fratturato. Il 26 ottobre, in ritardo, hanno raggiunto la base della parete, scendendo gli ultimi gradini di ghiaccio e la terminale per mettere piedi su terreno solido.

Quattro giorni dopo la vetta erano tornati alla base della parete. La discesa era costata quasi quanto la salita stessa, ma si è conclusa senza infortuni o perdite. Esausti e deperiti, i cinque alpinisti hanno percorso l'ultimo tratto in silenzio, seguendo la loro traccia InReach attraverso il ghiacciaio. Quando finalmente si sono fermati, la consapevolezza è arrivata lentamente: dopo undici giorni in parete e quindici sulla montagna, avevano completato la prima salita di una nuova via sulla parete sud-ovest del Manaslu, ed erano tornati vivi.

E Vasilyev, sempre conciso, ha concluso: "Non abbiamo scalato la linea più grandiosa. Ma abbiamo scelto quella giusta."

- Anna Piunova, Chamonix




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