Elisoccorso in Himalaya, intervista a Moro, Folini, Senoner

In questa intervista abbiamo chiesto a Simone Moro, Maurizio Folini e Armin Senoner di parlarci dei loro soccorsi in elicottero effettuati tra aprile e maggio scorsi nell'Himalaya nepalese, dei loro record ma anche delle prospettive e delle difficoltà dell'elisoccorso sulle montagne più alte del mondo, un'attività che ricordiamo è ancora nella sua fase iniziale.
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Longline a 7800m sull'Everest
archivio S. Moro
Simone Moro, partiamo dalla notizia pubblicata lo scorso mese sui giornali di mezzo il mondo: il 19 maggio a 7.800m sul Lhotse avete effettuato il soccorso in long line più alto mai fatto. Ci puoi presentare il team che l'ha realizzato?
Il pilota era il fuoriclasse e Guida Alpina Maurizio Folini ed i due tecnici di soccorso eravamo io e Armin Senoner. Diciamo che abbiamo fatto un soccorso intorno ai 23.000 piedi (7.000m circa ndr), che corrisponde al massima quota a cui il mio elicottero è certificato e abilitato... Sai il mondo dell'elicottero non è quello dell'alpinismo o dello sport e devi stare attento a dire le cose perché invece degli applausi, perché hai salvato la pelle di un uomo, rischi di ritrovarti con provvedimenti disciplinari se non peggio. Noi quel giorno non abbiamo controllato esattamente l'altimetro perché eravamo concentrati a fare le manovre giuste... Io ed Armin siamo scesi dall'elicottero al Campo 2, a 6500 metri, e abbiamo solo fatto assistenza radio e da ponte tra la comunicazione con gli sherpa, che assistevano l'infortunato che era fermo più in alto, e Maurizio che cercava di recuperarlo in long line. Nel mese di aprile, prima di Maurizio ha operato un altro pilota molto bravo e specializzato in alta quota, Enrico Cereia di Biella. A maggio e per alcune settimane c'è stato poi anche Piergiorgio Rosati che ha operato su un altro elicottero As350 b3 di proprietà di Fishtailair.

Ci potete spiegare cosa avete fatto e perché è stato un soccorso da "record"?
Maurizio Folini: Fino ad allora l'intervento più alto mai fatto era stato portato a termine a 6.900 metri, noi siamo saliti più in alto...
Simone Moro: C'era un nepalese naturalizzato canadese che aveva subito una doppia amputazione e che aveva deciso di tentare l'Everest nonostante quella sua diversa abilità. Era riuscito ad arrivare in cima alla montagna aiutato da alcuni sherpa appositamente ingaggiati ma durante la discesa si era ritrovato esausto e senza la possibilità di scendere. Da lì la richiesta, apparentemente impossibile, di tentare un recupero "intorno ai 23.000" piedi (ridicolo che si sia nella condizione di non ricordare esattamente la quota...). Ci siamo subito attivati e, per essere veloci ed efficienti, siamo decollati da Lukla. Prima siamo atterrati al Campo base sud, abbiamo alleggerito l'elicottero smontando le porte ed i sedili, e poi siamo andati a Campo 2 dell'Everest, a quota 6.500 metri. Lì siamo scesi sia io che Armin e ci siamo messi in contatto radio con gli sherpa che assistevano l'infortunato e che ci avevano garantito di essere pronti ad effettuare le operazioni di sgancio e aggancio della persona che Maurizio si accingeva a recuperare in long line (una corda di 20 metri agganciata sotto all'elicottero con relativo moschettone nella sua parte estrema). Solitamente c'è anche un soccorritore appeso alla long line ma, data l'altissima quota e la ridotta capacità operativa e di potenza dovuta proprio alla quota, si è deciso di andare leggerissimi e delegare agli sherpa e alla coordinazione radio le operazioni. Tutto è filato per il verso giusto: gli sherpa sono stati efficienti e rapidi ma soprattutto Maurizio è stato un mostro. Dopo che ha portato via il ferito da lassù, sbalordendo tutto e tutti, ci siamo commossi, Maurizio incluso. Fossimo di un altro paese ne parlerebbe tutto il mondo e forse saremmo stati più attenti alla quota... e alla comunicazione..., ma va bene così. L'obiettivo non erano i record ma salvare la pelle di chi ci aveva chiamato.

Maurizio Folini: quali sono a quelle quote le difficoltà per un pilota... tecniche ed umane? Immagino che non si improvvisi un volo del genere?
Non si improvvisa un volo del genere come non si improvvisa nessun altro volo. Bisogna essere pronti tecnicamente, fisicamente ma soprattutto mentalmente. La serenità durante l'intervento te la dà la macchina stessa che devi conoscere in tutti i minimi dettagli, e anche l'esperienza pluriennale che ti dà la capacità di gestire tutti i parametri tecnici e naturali (vento, quota, nuvole etc). Ma la cosa più importante è essere sicuri e tranquilli con se stessi, credere nelle proprie capacità e contare su un team affiatato. Il solo sentire la voce alla radio dell'amico e guida alpina Armin Senoner, che insieme con Simone Moro mi seguiva dai campi alti, mi ha dato quella fiducia e tranquillità che mi ha consentito di concentrarmi su quello che stavo facendo.

Armin Senoner, anche a te la domanda sulle difficoltà tecniche ed... umane. E poi: ci si abitua mai a rimanere appesi così e quanta fiducia bisogna avere nel pilota?
Beh la fiducia che devi avere nel pilota è massima! Per fortuna tra Maurizio e me si e subito instaurato un bel feeling quindi c'era fiducia totale da entrambe le parti. La difficoltà sta sicuramente nel fatto che in pochissimo tempo con l'elicottero ti trovi subito a quote elevate perché partivamo da 2800m e salivamo subito a quota 6200m e quindi c'era poco tempo per acclimatarsi. Alla longline e difficile abituarsi perché già il panorama è mozzafiato poi la temperatura polare sicuramente non aiuta.. però cerchi di rimanere calmo di rassicurare il pilota che stai bene che ti stai divertendo così da non farlo preoccupare e perdere la concentrazione. Però alla fine quando tutto è finito e magari sei riuscito a salvare la vita a qualcuno vieni ricompensato di tutti gli sforzi e paure che hai avuto.

Sono sicuro che se l'alpinista taiwanese (quello di un altro vostro soccorso) fosse sopravvissuto sareste stati molto più felici... La domanda che viene da porsi è sempre la stessa: ma con tutto il traffico di gente che in quei giorni c'era sull'Everest è mai possibile che nessuno, a parte gli sherpa, l'abbia aiutato?
Simone Moro: a salvare l'alpinista taiwanese ci siamo arrivati vicinissimi, a pochi metri dall'agganciarlo ma purtroppo l'elicottero era troppo al limite. Bastava appenderci un sacchetto della spesa e sarebbe venuto giù. Impensabile appenderci una persona corpulenta come il taiwanese.... Comunque ci ha rattristati la tardiva allerta che è stata data dopo che, da 2 giorni, costui era stato praticamente lasciato a dormire fuori a oltre 8.000m senza che nessuno facesse pressoché nulla. Eravamo pronti ad un altro tentativo di soccorso ma poche ore prima del decollo, il taiwanese è morto...
Maurizio Folini: abbiamo fatto tre tentativi (anche se sapevamo di avere pochissime possibilità). Da parte nostra è stata chiesta più volte la collaborazione da parte di altri alpinisti o sherpa per cercare di far scendere il paziente di almeno 300/400 metri; cosa praticamente fattibile nel giro di 3/4 ore, ma nessuno ci ha ascoltato. L'unico disposto a darci una mano è stato Damian...

Sappiamo che in quello stesso periodo avete portato a termine molti altri soccorsi...
Simone Moro: di soccorsi ne abbiamo fatti praticamente tutti i giorni... dal semplice malessere del trekker sino ai soccorsi in alta quota o aree remote. La parola soccorso però noi non l'abbiamo mai usata e abbiamo sempre parlato di SAR (search and rescue) che significa praticamente lo stesso... ma rispetta la terminologia che ci è concesso usare dall'autorità aeronautica. Ricordiamoci che a scomodare la parola "soccorso" si scatenano ire ed invide di cui vorrei proprio stare alla larga. Vorrei insomma evitare di immatricolare il mio elicottero sotto un altra nazione solo per fuggire da problemi dialettici e normativi. Spero che l'elicottero I-VIEW diventi un vanto di una nazione (la nostra) e di un sistema operativo nazionale (non solo nostro) anziché come al solito essere tema di chiacchiere e ostruzionismi. Diciamo che se le polemiche esistono nell'alpinismo ne ho scoperte anche di più subdole e velenose nell'ambiente dell'ala rotante. Insomma siamo alle solite :-)

Ci potete parlare dei vostri interventi più significativi?
Maurizio Folini: il più impegnativo e significativo per me è stato quello durato tre giorni al Dhaulagiri. Oltre a soccorrere 12 persone (delle quali tre sopra i 7.000 metri) ho dovuto coordinare tutta l'organizzazione che era sfuggita di mano alle autorità e agenzie nepalesi. Per la prima volta al mondo abbiamo portato dei soccorritori a 7000m circa con la long line e da lì sono saliti a portare soccorso fino a 7800 metri, questo è stato sicuramente un passo in avanti per l'organizzazione dei soccorsi himalayani .
Simone Moro: quelli all'Everest, al Kangchenjunga, al Dhaulagiri e ad altre montagne più piccole sono stati gli interventi più impegnativi, complicati ed anche distanti. C'è sempre da risolvere il problema dei rifornimenti di carburante e dunque di autonomia operativa ed anche qua bisogna fare acrobazie... Tutto però è stato fatto senza alcun incidente, nel rispetto delle norme applicabili in un ambiente difficile come il Nepal. Abbiamo fatto le cose sempre con la testa ed i risultati sono lì a dimostrarlo.

Altra domanda forse sciocca: ma perché lo fate? E soprattutto... qual è il vostro progetto?
Maurizio Folini: Passione per il nostro lavoro e per la montagna. Il nostro progetto è avere un team di professionisti per il soccorso in Himalaya.
Simone Moro: Sicuramente non lo facciamo per convenienze economiche o necessità di gloria. Ognuno di noi ha ciò che cerca e si merita nei rispettivi ambienti professionali.
L'idea di creare un unità elitrasportata di soccorso che disponesse di un elicottero proprio è un idea che avevo da tempo e che ho iniziato nel 2009 con il mio brevetto di pilota commerciale di elicottero. Una unità svizzera molto brava operava in Nepal in quegli stessi anni facendo training e soccorsi utilizzando elicotteri già in Nepal. Ma io volevo che esistesse un elicottero solo ed esclusivamente dedicato al soccorso per lo meno in alta stagione alpinistica e con i migliori piloti ed alpinisti al mondo coinvolti. Bene, seppur rischiando di essere immodesto, penso che i risultati ottenuti non siano proprio da ultimi della classe. Facciamo soccorso perché serve che qualcuno inizi ad offrire un servizio di sicurezza proporzionale al numero di turisti e di scalatori e attinente alla natura montuosa di un intero paese e relativa popolazione. Noi, infatti, i soccorsi li facciamo anche per la gente locale e molto spesso for free o a prezzi decisamente di favore. Non da ultimo, tutto il mio progetto non costa un euro al contribuente italiano o nepalese. E' tutto fatto con soldi privati ed anche l'elicottero l'ho pagato e lo sto pagando tutto con i miei soldini...
Diciamo che siamo una cordata molto affiatata di piloti, tecnici e "meccanici". Devo infatti riconoscere che Bruno Bortolameotti, che è il nostro uomo che si sporca le mani con motori e manutenzioni sul posto è la nostra ciliegina sulla torta. Qua, in Italia, Elicampiglio e Attilio Gianoli sono i due supervisori operativi e manutentivi.

Quanto c'è di "volontariato" e quanto di impresa "economica"?
Maurizio Folini: È un mix fra volontariato e business. Ci sono dei voli per i quali non veniamo retribuiti, e ci sono altri voli per i quali veniamo pagati bene
Simone Moro: Sono due anni che io, Folini e Pigi voliamo gratis con elicotteri nepalesi. Alla fine della stagione 2011 e 2012 Folini e Pigi (Piergiorgio Rosati ndr) hanno ricevuto una "mancia" da Fishtailair, una sorta di piccola gratificazione, irrisoria rispetto ai loro stipendi europei. Io fino ad ora, giustamente, non ho preso neppure quella. Ora avendo un elicottero da pagare ho instaurato un rapporto di affitto del mio elicottero a Fishtailair. Per ogni ora di volo mi pagano una somma che mi serve per coprire manutenzioni e ammortamento della spesa d'acquisto del mezzo. Ma è un equilibrio delicato e non facile. Giusto per fugare ogni dubbio: è bene che si sappia che un'ora di volo per un soccorso estremo e la stessa ora per un volo turistico mi vengono pagate uguali, anche se difficoltà e rischi sono abissalmente diversi. Inoltre se faccio interventi anche "leggermente" sopra i 23.000 piedi nascono tutta una serie di potenziali problemi che è meglio non elencare e lasciare a chi se ne intende di questo mondo...

Chi paga, e quanto, per i vostri soccorsi in Himalaya?
Simone Moro: I soccorsi sono pagati dai privati che vengono soccorsi o dalle loro assicurazioni. Ci sono state polemiche e strumentalizzazioni su eventuali giochini circa la lievitazione dei prezzi quando ci sono in ballo assicurazioni o urgenze drammatiche. Io sinceramente non ne so nulla e non ho prove dato che, come ho detto, io prendo lo stesso prezzo indipendentemente da gravità e urgenza. Dico solo che fare un soccorso in Nepal a 3.000 metri ed un soccorso a 7.000 non comporta le stesse difficoltà e rischi ed è giusto che i prezzi non siano identici visto che nessuno vuole fare gli interventi più alti ed estremi ed i rischi, economici e assicurativi, ricadono solo sui proprietari del mezzo e sugli operatori del settore. Aggiungo che in Nepal il lavoro non manca a bassa quota e dunque non c'è neppure l'interesse operativo di fomentare ed inventare missioni di soccorso.

Alcuni sostengono che portare il soccorso all'Everest può rendere ancora meno responsabile chi si avventura nella salita senza avere la necessaria preparazione. Cosa ne pensate?
Maurizio Folini: Forse è vero... ma è comunque inevitabile. Le spedizioni commerciali, come gli sherpa e tutto il “circo” che gira intorno al business dell'Everest ,hanno interesse che ci siano dei “numeri” e questo non è da noi regolabile. Non penso che meno o più persone vadano all'Everest in base al servizio di elisoccorso. Chi vuole andare ci va lo stesso che ci sia un servizio o che non ci sia. Nelle Alpi abbiamo lo stesso identico problema, è inevitabile che succeda anche in Himalaya.
Simone Moro: E' come dire che avere più ambulanze induca ad essere più spericolati in auto o a farsi male. E' un punto di vista che rispetto ma malato di idealismo. Vogliamo il soccorso sulle Alpi, sulle normali del Monte Bianco, sui sentieri di collina, al mare, in grotta, sulle strade, ma se si tratta del Nepal o dell'Everest allora non va bene. Oltre che razzista è pure essere ciechi di fronte ad una realtà turistica che coinvolge anche una quantità mostruosa di stranieri che senza un soccorso in elicottero potrebbero morire (come accade) dentro un letto di uno dei tanti lodge e locande sparse nei villaggi d'alta quota, meta di semplici e rispettabili escursionisti. I soccorsi sull'Everest, intendo oltre campo base, sono comunque 1% del totale. Fanno parlare più di altri soccorsi ma restano comunque pochi.

Dal punto di vista del "soccorritore" come valutate la situazione all'Everest? Da qui si ha l'impressione che la situazione stia sempre più deteriorandosi e che magari occorrerebbe fare qualcosa dal punto di vista della "cultura alpinistica" e della "sicurezza"...
Simone Moro: basterebbe adottare una semplice regola che aiutasse il buon senso troppo spesso mancante sull'Everest, ossia bisognerebbe aver salito almeno 2 Ottomila prima di poter salire l'Everest. In questo modo si manterrebbe l'indotto turistico, lo si spalmerebbe su più montagne e più valli, arricchendo anche altri luoghi e non solo la valle del Khumbu, e si arriverebbe ad avere persone un pochino più consapevoli all'Everest. E' una regola che suggerisco da tempo e che fungerebbe solo da primo grosso e rudimentale filtro al livello tecnico di frequentazione della montagna più alta della terra.
Maurizio Folini: purtroppo il livello dei "candidati" scalatori dell'Everest è sceso parecchio, d'altra parte è quello che succede anche nelle Alpi. Fino a pochi anni fa scalare il Monte Bianco significava comunque qualche cosa, ora sei uno dei tanti, esattamente quello che succede sull'Everest.

Sembra che il vostro team sia diventato un punto di riferimento nella Valle del Khumbu e non solo... è vero?
Maurizio Folini: è vero, la differenza tecnica e culturale si vede e per questo veniamo apprezzati.
Simone Moro: di sicuro. Quest'anno è stata davvero una soddisfazione vedere un solo elicottero fare questi soccorsi. Fishtailair che ci ha ingaggiati si merita questi risultati e la fiducia che hanno riposto in noi è stata ricambiata e di sicuro ricompensata. Gli alpinisti, anche quelli che mi hanno criticato e gli gli sherpa, anche quelli che mi hanno menato (vai all'intervista del 29/4/13 ndr), alla fine sono venuti a chiamare noi per portarli a casa o toglierli dalle grane. L'abbiamo fatto sempre e comunque senza mai guardare troppo in faccia e negli occhi chi magari avrebbe avrebbe dovuto abbassarli... Aiutare qualcuno non è una questione di simpatia ma un'attitudine personale, un senso civico senza convenienze e preferenze.

Simone, qual è la tua visione per il futuro del soccorso in Himalaya...
Si strutturerà presto in modo spero più solido e magari non solo con una singola unità come capita adesso. Noi da soli non possiamo rispondere a chiamate di soccorso dal Kangchenjunga all'Everest e all'Annapurna nello stesso giorno. Certo non è una questione di avere più elicotteri ma avere piloti come Folini e conoscitori del territorio. Avere un'unità di alpinisti, meglio sherpa, pronti ad essere lasciati sulla montagna per andare a piedi dove non si riesce ad arrivare in elicottero o in caso di cattive condizioni meteo (vento o scarsa visibilità). Poi serviranno dei medici, che molto spesso dovranno accettare di essere trasportati fino ad un certo punto o addirittura lasciati solo in prossimità della montagna proprio a causa delle capacità operative al limite dell'elicottero. Insomma, dovrà essere un sistema studiato specificatamente per l'alta quota e non basterà esportare esattamente il modello italiano, efficiente ma troppo spesso costoso e faraonico. Insomma niente bimotori e unità fisse, ma gente “ruspante”, elicotteri piccoli e leggeri (monoturbina) e operazioni snelle e leggere. In pratica un soccorso come si faceva qualche decennio fa anche da noi e come si fa ancora in alcuni paesi, Svizzera in testa. Magari con questa risposta avrò scatenato le ire di tanti, ma in Nepal o si opera così o si resta a terra sommersi da debiti e con macchine pesanti ed inutili

Cosa vi ha dato, nel bene e nel male, questa esperienza?
Maurizio Folini: È una esperienza di vita non indifferente. Il modo tecnico e culturale di come organizzare un soccorso in Himalaya è un challenge enorme. Tutte le persone che conosci durante questo periodo, di differenti paesi, è in qualche modo un enorme e meraviglioso bagaglio di esperienza.
Simone Moro: La consapevolezza che si può fare molto anche senza denaro pubblico. Che essere Guide Alpine, e Piloti che operano sulle Alpi è un grandissimo vantaggio per adattarsi alle esigenze di un paese analogo ma con quote doppie di quelle di casa nostra e poche strade. Che l'elicottero che ho comprato è un debito pazzesco per le mie tasche ma un vantaggio estremo per molte persone e per un paese che amo. Mi ha fatto poi immenso piacere supportare il progetto filmico di Reinhold Messner e del suo team. Messner è rimasto estasiato e appoggia in pieno il mio, nostro, progetto. E' un supporto importante anche solo moralmente.

Ultima per Simone: quando rientrerai in campo nella tua versione da "alpinista"
Beh alla fine di quest'anno. C'è il Nanga Parbat in invernale che, come due inverni fa, sarà la mia meta ed il mio sogno da realizzare nella stagione più fredda dell'anno.

>> 15.05.2012 Simone Moro tra Everest, Lhotse ed elisoccorso
>> 30.05.2011 Simone Moro e l'elisoccorso in Nepal



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