Coffee Break #10 - Del ritorno alla natura

La natura e il suo richiamo, quel sublime e romantico spaesamento per il paesaggio, quel suo richiamo imperdibile per tutti gli uomini e per gli alpinisti, è solo un vizio? Daniela Zangrando nel suo Coffee Break #10 si fa accompagnare dal Simenon di Hôtel del Ritorno alla Natura per minare il mito, per riportare tutti alla giusta prospettiva, così infinitamente piccola e relativa. Eppure... dall'alto di una vetta qualcosa ci accade.
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Del ritorno alla natura
archive Tadiello-Zangrando
Per carità. Non nascondiamoci dietro ad un dito. Almeno una volta nella vita, sarà capitato a tutti. Alzi la mano chi non si è mai perso in un tramonto fino a sperare non si spegnesse. Chi, in vacanza al mare, tra un bagno e una sosta con i piedi nella sabbia, non si è sentito un po’ un Robinson Crusoe. Chi non ha sognato atmosfere alla “Into the Wild” o alla “Grizzly Man”. Chi non se l’è presa con Procolo e quel suo gesto irriverente di uccidere la gazza parlante. In fondo, cosa c’è di meglio che restare a vivere nel Bosco Vecchio, solleticati dal Vento Matteo e da continue presenze di Natura? E tu, alpinista, non ne sai niente? Probabilmente, dopo una notte stellata in bivacco, sei finito a pensare di non essere di questo mondo e ti sei sentito pronto per far fagotto e andare a stare, solo, sotto l’ombra di una di quelle possenti montagne. Perché in fondo, la montagna...

Fregnacce. Attenzione alla retorica. Questi pensieri del sublime, questi attacchi d’amore incondizionato per la Natura, per il paesaggio, non nascondono altro che un vizio.
Non sono io a dirlo. È Simenon che, in “Hôtel del Ritorno alla Natura”, un bizzarro libercolo del 1935, prende parola e si gioca di me e di voi tutti. Se non l’avete letto, vi consiglio di darci almeno una sfogliata. Immagino l’abbia scritto per puro divertimento, oziando su qualche spiaggia delle Galápagos, sicuramente influenzato da una notizia di cronaca che aveva suscitato un certo scalpore. Si raccontava infatti che una tale baronessa europea avesse guidato su un’isola un manipolo di persone decise a tagliare i ponti con la società. Due di queste erano morte in circostanze misteriose. Trasfigurato, tutto torna nel libro. C’è il dottor Frantz Müller, arrivato sull’isola con la presunta compagna Rita. Il dottore ha lasciato tutto in Germania, moglie compresa, e vive continuando a scrivere libri, curare l’orto e occuparsi dell’asino. In quanto alla compagna, gli sta accanto - completamente nuda perché forse tale atteggiamento meglio si addice ad una totale simbiosi col luogo - occupandosi di lui e preparando qualche frugale pasto. C’è poi la famiglia Herrmann, arrivata sull’isola sperando di curare i malanni di salute del figlio.
Stanno tutti quanti lì da anni. Conoscono le estati torride e i temporali. Sanno che il ruscello si secca sempre nella stagione calda e che bisogna far riserve d’acqua.
Dopo qualche pagina sopraggiunge la Contessa von Kleber, con gli amanti Kraus e Nic. E ha un gran blaterare che costruirà l’Hôtel del Ritorno alla Natura, che arriveranno barche e yacht carichi di turisti desiderosi di cambiar vita e allontanarsi dalla noiosa società, che ci sarà un via vai di persone interessanti, di gran signori! Sarà quasi un regno!
Dal suo arrivo, nulla è come prima. Il dottore è sempre più irritabile, più taciturno. Probabilmente nutre qualche nostalgia della vita tedesca, o forse è solo confusamente preoccupato dall’avvenire. Ha smesso anche di segnare che giorno sia sul calendario. Rita, dal canto suo, comincia a ricordare. Ricorda la caramella verde e rossa, acidula, che comprava per due pfennig alla drogheria all’angolo della strada, ricorda Danzica. Kraus vuole fuggire a tutti i costi dall’isola e tornarsene a casa con la prima imbarcazione di passaggio. L’asino finisce ammazzato. Gli Herrmann paiono uno più inebetito dell’altro. La Contessa passa il suo tempo tra stati di ubriachezza e desideri carnali, fingendo di non capire che l’acqua non resisterà ai suoi sprechi e che lei stessa finirà male. Niente va più per il verso giusto.

E la Natura? Cosa c’entra la Natura - vi chiederete.
Una delle cose più interessanti del libro, è che la Natura non c’è mai. Non se ne parla se non per l’accenno ad una luce verde che trafigge il cielo, per la menzione al troppo caldo, alla carenza d’acqua. Poco altro. Tutto si condensa nei dialoghi. Nell’azione. Eppure è molto strano se si pensa che tutti si trovano lì per il medesimo motivo: quella Natura. Benigna, salvifica e spaventosa. Lei. E Lei scorre di traverso tutte le pagine. Pervade. Lei, per cui ognuno di loro ha compiuto l’allontanamento, il voto, se ne frega. Non ha nemmeno bisogno se ne parli, tale è il suo potere. Rimane assolutamente indifferente. Alle piccole miserie umane. Alle morti. Agli amori. Non le interessa minimamente se l’incauta Contessa è morta o si è imbarcata, non le importa che il dottore sia morto, che di Kraus sia solo stato ritrovato il cadavere e Rita torni alla società come un animale fisso e impaurito “continuamente sconcertato dall’aspetto del mondo”. E Simenon se la ride. Perché anche tu, alpinista, non sei fatto per una vita da gracchio! Per tane e cunicoli scavati nella neve! Sei così tremendamente di questo mondo! Così umano!

Numerosi passi testimoniano di una vera e propria passione degli antichi per la contemplazione dall’alto, che gli etologi hanno inaspettatamente ritrovato nel regno animale, dove si vedono capre, vigogne, felini e primati inerpicarsi su un luogo elevato per poi contemplare, senz’alcuna apparente ragione, il paesaggio circostante.*
Il vizio. Qualcosa vorrà pur dire.

Daniela Zangrando


Il volume a cui si fa riferimento è Georges Simenon, Ceux de la soif, éditions Gallimard, Paris 1938; trad.it. Hôtel del Ritorno alla Natura, Adelphi Edizioni S.p.a., Milano 20147 (I ed. 1989).

* Liberamente tratto da Giorgio Agamben, L’uso dei corpi, Neri Pozza Editore, Vicenza 2014, pag. 124.


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