Trekking nel Parco Nazionale Pumalin Douglas Tompkins in Patagonia

Dalla Patagonia cilena Nicolò Guarrera presenta il trekking nel Parco Nazionale Pumalin Douglas Tompkins, e la salita del vulcano Chaiten.
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Laguna dentro al cratere del volcano Chaiten, Parco Nazionale Pumalin Douglas Tompkins, Patagonia, Cile
Nicolò Guarrera

Il Parco Nazionale Pumalin Douglas Tompkins ha un nome piuttosto lungo, non trovate? E dato che ci troviamo in Cile, suona piuttosto strano il "Douglas Tompkins", suona da americano, da "gringo", come dicono qui. Come mai?

Mister Douglas Tompkins è stato il magnate statunitense che ha dato vita a uno dei brand più conosciuti nel mondo dell’alpinismo: The North Face. Aveva una passione smisurata per la montagna e sfruttando la sua esperienza creò l’azienda che oggi conosciamo. Tuttavia la voglia di stare all’aria aperta era più grande di quella di chiudersi in un ufficio, quindi decise di vendere le sue quote per andarsene a vivere nel sud del Cile, in una delle terre più belle del nostro pianeta: la Patagonia.

Nel corso di vent’anni comprò una serie di terreni tra Cile e Argentina, con l’obiettivo di creare un corridoio in cui la natura potesse prosperare. Si trattò di un progetto immenso che coinvolse 2,5 milioni di ettari di terra, una superficie pari a quella dell’intero Piemonte! Alla sua morte donò tutto ai rispettivi paesi in cambio dell’impegno di tutelare il lavoro che aveva fatto. Nacquero così diversi Parchi Nazionali, uno dei quali è proprio il Pumalin Douglas Tompkins: ecco spiegata l’origine di un nome tanto lungo.

Il giro del mondo a piedi che ho cominciato due anni fa mi ha condotto proprio qui, nella parte di Patagonia ubicata nella regione di Los Lagos, a sud della città di Puerto Montt. La Patagonia Cilena, almeno in senso turistico, è facile da seguire. Si estende ai fianchi della Carretera Austral, la strada nazionale 7 che per milleduecento chilometri corre da Puerto Montt a Villa O’Higgins. È la pista che seguirò per i prossimi tre mesi e che mi avvicinerà ulteriormente alla meta prefissa per l’America Latina: Ushuaia e la Fine del Mondo. Nel mentre, voglio approfittarne e conoscere i Parchi Naturali di queste zone, magari aggiungendoci qualche trekking - non sia mai che non cammini abbastanza!

La rete di Parchi Nazionali si snoda lungo la cosiddetta “Ruta de Los Parques”, un’iniziativa che protegge 17 spazi naturali per un’area grande come un terzo dell’Italia - dal Lazio in giù per intenderci, Sicilia compresa. Un passaporto stile Passaporto delle Dolomiti permette di collezionare i timbri dei diversi Parchi. Per ottenerli basta andare in una delle officine delle guardie forestali (la CONAF) e farvelo timbrare. Lo stesso passaporto è reperibile gratuitamente in diversi uffici CONAF.

Dopo averne preso uno a Puerto Montt mi sono diretto verso sud e superati i Parchi Alerce Andino e Hornopiren sono finalmente arrivato al Pumalin (la faccio veloce ma ci sono volute due settimane di cammino e tre traghetti per raggiungerlo. Facile ma lento).

Il Parco è aperto tutto l’anno ed è diviso in due settori, ovest e sud. Nel primo ci sono otto percorsi tra semplici camminate e trekking impegnativi, uno dei quali culmina sulla vetta di un vulcano, il Chaiten. È il pezzo forte del Pumalin ed è lì che sono diretto. Il trekking al Chaiten si trova alla fine del settore ovest, dunque per arrivarci devo prima attraversarlo per la sua lunghezza. Mi concedo qualche giorno per percorrerlo ed esplorare le sue meraviglie, tra cui spicca la Laguna Tronador.

Milletrecento gradini ricavati da tozzi pezzi di legno conducono alla sommità del percorso, presso il quale un mirador ben curato permette di tirare il fiato e ammirare la laguna. Il bacino d’acqua è alimentato dallo scioglimento continuo della neve che staziona sulle montagne attorno. Una vegetazione densa si arrampica finché può lungo le loro pendici, rivestendo la nuda roccia con terra fertile e radici nodose. È questo il regno del bosco temperato umido, alimentato ogni anno da oltre 5000mm di pioggia, un’enormità dovuta allo scontro tra correnti fredde provenienti da sud e la morfologia del territorio, con la Cordigliera delle Ande a bloccare le nuvole obbligandole a scaricarsi in queste zone.

Il trekking alla Laguna Tronador è ripido, i gradini sono posizionati ad altezze diverse e per i quadricipiti è un esercizio impegnativo cercare di mantenere un ritmo costante. A causa delle piogge continue la lunga scalinata è scivolosa, quindi bisogna prestare particolare attenzione durante il percorso. Si tratta di quattro km tra andare e tornare ma calcolate almeno tre ore per fare le cose con calma e godervi il panorama dal belvedere sulla Laguna Tronador. Un altro paio di terrazze vi offriranno degli scorci carini su una cascata e il vulcano Michimahuida, il più alto del Parco. La cascata origina dalla laguna stessa, che scorre verso valle levigando le rocce con instancabili carezze. Lungo il sentiero è possibile scorgere anche qualche Alerce, un albero protetto che risale a migliaia di anni fa. Considerate che proprio quest’anno ne è stato trovato un esemplare che si stima abbia cinquemila anni, rendendolo di fatto l’albero e l’essere vivente più vecchio al mondo! Camminare tra questi giganti immobili fa un certo effetto… Quando Giulio Cesare dominava il Mediterraneo loro avevano già tremila anni! E ne avevano compiuti mille ben prima che Roma venisse fondata o che le Piramidi fossero costruite.

Dopo aver percorso i milletrecento gradini in senso contrario, arrivo alla strada sterrata che taglia il parco da nord a sud, la Carretera Austral. Supero altri brevi cammini, sentieri diretti verso limpide cascate e Alerce sacri, e accampo presso la Laguna Blanca per meno di dieci euro. Ho appena passato un mirador spettacolare sul Lago Negro. È una cartolina bella da togliere il fiato, con la valle dalla quale arrivo che si infila tra due dorsali grigioblu. Il lago giace placido e indisturbato sotto il belvedere, con un’ampia fascia di canneti a muoverne le sponde e colorarle di ocra. Nessun segno di presenza umana.

L’indomani proseguo verso sud alla volta del pueblo di Chaiten, il più grosso della provincia, che conta all’incirca 5000 abitanti. Il villaggio segna la fine del settore ovest del Pumalin. Tuttavia, come anticipato, prima di arrivarvi prendo l’ultima deviazione verso l’interno del Parco, alla volta del trekking dell’omonimo vulcano.

Il vulcano Chaiten eruttò per l’ultima volta nel 2008 producendo una colonna di fumo e detriti alta venti chilometri. La gigantesca massa di cenere e pietra che ricadde sul versante ovest ne alzò la cima di 200 metri e portò all’evacuazione totale della popolazione nei suoi dintorni. Per intere settimane la visibilità era ridotta al minimo e l’aria irrespirabile. La nube tossica arrivò fino in Argentina, dove i voli furono sospesi per diversi giorni. Oggi sono passati quindici anni ma solo metà delle persone che vivevano a Chaiten sono tornate alle loro case d’origine. Confidando che mentre salgo il vulcano non torni ad attivarsi, arrivo alla base e leggo le informazioni sul percorso.

Il trekking è lungo 4.5 km e porta un dislivello totale di 1200 metri. Ne deriva una pendenza impegnativa costruita su centinaia di scalini. In quasi tutti i cammini del Parco, fatta eccezioni per i due più lunghi verso il vulcano Michimahuida, le salite sono intagliate in gradinate infinite ricavate dai tronchi caduti lungo il percorso durante la stagione delle piogge. Gli step sono irregolari e non è facile tenere un ritmo, anche perché alcuni sono alti più di 50 cm! L’ascesa rimane comunque a portata di tutti e in 3-4 ore è possibile completare il sentiero. Una buona idea è partire dopo colazione, salire con tutta calma e una volta arrivati al cratere fare merenda guardando l’incantevole panorama che si estende tutto intorno a voi. Ma andiamo con ordine.

All’entrata del trekking ci sono dei bagni, un piccolo parcheggio e una serie di pannelli illustrativi sul Parco, vulcano ed eruzione del 2008, e un approfondimento sulla faglia tettonica di Liquine, quella sopra alla quale ci troviamo. Qui non è possibile dormire, il camping più vicino - nonché l’ultimo del settore ovest procedendo da nord - si trova cinque chilometri prima, nei pressi del Sentiero Interpretativo. A una manciata di minuti dalla partenza incrociamo il primo di una serie di nove cartelli esplicativi che trattano di flora, fauna e della morfologia del territorio. Altro fatto interessante è il fiume che vi troverete davanti e che dovrete guadare per proseguire il trekking. Nessun ponte a collegare le sponde, distanti un centinaio di metri tra di loro. Dovrete lavorare di fantasia per disegnare una rotta attraverso ghiaia e detriti portati dal corso d’acqua. Dall’altro lato la salita comincia gradualmente a farsi impegnativa, con gradini più alti e frequenti. Siamo ancora dentro al bosco temperato umido e gli alberi sopravvissuti all’eruzione fanno compagnia ai nuovi nati. Abbonda ovunque la Quila, il bambù cileno facile da riconoscere anche per i neofiti come me.

A mano a mano che aumentiamo di altitudine, il paesaggio cambia. La vegetazione lascia spazio a un terreno brullo, con alberi sghembi color fuliggine che si stagliano contro il cielo azzurro. Pure la terra ha cambiato colore: è grigiastra, un misto tra cenere, sabbie minerali e ghiaia che rende scivolosa l’ascesa. Meglio seguire il sentiero e tenersi sulla lunga teoria di legni tagliati e disposti in orizzontale. A cinquecento metri dalla vetta, un breve spiazzo vicino a uno dei cartelli illustrativi lancia il primo, ampio sguardo sulla valle sotto di noi. Già si distingue con chiarezza l’Oceano Pacifico, al fondo, mentre sulla nostra destra si trova un bosco fitto incassato tra le montagne. Salendo ulteriormente, nuovi particolari impreziosiscono il dipinto naturale. Isole verdeggianti sbucano dalle lunghe acque del Pacifico e quasi per bilanciarle altrettante isole, stavolta d’acqua, si aprono nella macchia di vegetazione che arriva da nord: sono le Lagune Blanca e Negra, presso le quali è possibile accampare prima di arrivare qui.

Una volta giunti alla cima possiamo sporgerci dentro il cratere. Un piccolo specchio d’acqua si è installato tra le pareti rosse e grigie, frutto delle piogge dei mesi passati. È possibile camminare lungo il bordo del vulcano, spingendosi qualche centinaio di metri verso nord per ammirare la valle e gettare uno sguardo sull’altro versante. Per pochi secondi, e solo in alcuni minuscoli spot, è possibile arrivi qualche tacca di segnale. È la prima da quando siamo arrivati al Pumalin, altrimenti vergine da qualsiasi contatto con la rete. La salita è conclusa ed è giusto e bello concedersi una pausa per godere del magnifico panorama. A dirvela tutta, questo è il trekking con il rapporto vista/fatica migliore che abbia mai fatto, è sufficiente una mezza giornata di cammino per godere di un mirador tra i più spettacolari che abbia mai incontrato in dodicimila chilometri percorsi a piedi. Segnatevelo dunque: vulcano Chaiten, Parco Nazionale Pumalin Douglas Tompkins, Patagonia cilena.

di Nicolò Guarrera

Link: IG Nicolò GuarreraFerrino




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