Il respiro della montagna: l'incanto delle montagne nell'era post-isolamento #2

La seconda puntata di Il respiro della montagna; partendo da un viaggio-reportage sull'Appennino abruzzese (massiccio del Gran Sasso) all'inizio di marzo 2021, Silvia Pergami e Francesco Pierini con la collaborazione di Peakshunter Mountain Guides analizzano lo scialpinismo nell'era post-pandemia.
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'L’idea di partenza é quella di raccontare con le immagini un viaggio itinerante mirato a documentare il recente ritorno dell'ambiente montano ad uno spazio di libertà e di esplorazione, anche grazie alla pratica di discipline come lo scialpinismo.'
Francesco Pierini

COMUNITA’ MONTANE: TRADIZIONI E CAMBIAMENTI
Per comprendere profondamente i cambiamenti del nostro vivere oggi la montagna con un approccio diverso e rinnovato, per effetto dei necessari adattamenti che la pandemia ha introdotto, può essere utile e particolarmente illuminante analizzare il ruolo della comunità montana nel periodo antecedente il nuovo mondo post Covid.

La montagna, e in generale i territori alpini sono da sempre stati un luogo particolare, una sorta di rifugio dallo stress e dai ritmi frenetici della vita urbana, un ristoro per corpo e mente, una meta di evasione e di rigenerazione fisica e spirituale. La montagna è oggi un ambiente sempre più prezioso e più ricercato proprio in forza di questi suoi aspetti, soprattutto dopo questo periodo di grande instabilità e generale disorientamento che ha fatto rivalutare l’importanza degli spazi aperti e il valore della natura.

Spesso si è parlato della montagna come di un “rifugio liberatorio”, ad indicare un luogo in cui l’armonia e il benessere umano sono aspetti essenziali e irrinunciabili, pur in una dimensione di grande rigore e necessario adattamento ai fattori naturali. Al termine del secondo conflitto mondiale, molti abitanti delle Terre Alte, tra cui artigiani, contadini, allevatori e custodi delle tradizioni della cultura tradizionale montana, sono stati “prelevati” per alimentare la forza lavoro delle industrie nelle grandi città. Salvo rare eccezioni, questo processo ha determinato, nei decenni, un progressivo smantellamento di intere comunità montane, che ha condotto allo spopolamento di numerosi ambiti territoriali vallivi, causando spesso la scomparsa di piccole realtà socio-culturali e di fragili economie locali di cui oggi, durante i vari periodi di lockdown, abbiamo improvvisamele compreso l’importanza e l’unicità.

In molti dei villaggi abbandonati e dei nuclei rurali più isolati, però, le piccole attività tradizionali e l’artigianato locale sono rimasti legati alla passione di alcuni per la conservazione dell’identità locale, delle memorie e dell’eredità degli anziani: negli ultimi anni, grazie a queste sporadici ma capillari piccoli mondi familiari, si è riorganizzata una rete di micro-economie che ha riscoperto la dimensione della produzione a Km0, consolidando il valore dell’eccellenza certificata e della qualità “homemade”.

EFFETTI DELLA PANDEMIA E PROSPETTIVE PER IL FUTURO
Qualcosa è improvvisamente cambiato: negli ultimi 10 anni, in alcuni territori si gradualmente assistito ad una radicale e inattesa inversione di tendenza, in un ritorno dei giovani alla vita rurale, agli spazi delle colline e, infine, anche ai paesaggi montani.

Oggi, anche in conseguenza dell’esperienza vissuta con la pandemia, si sta assistendo ad una ritorno in zone dimenticate da tempo, più isolate e spesso più difficilmente raggiungibili, per una scelta di vita più radicale, mirata all’idea di un trasferimento di medio-lungo periodo, apprezzando la vicinanza con una natura autentica e incontaminata, a volte addirittura selvaggia e rivalutando i valori umani e relazionali autentici, che ancora oggi luoghi come questi riescono a trasmettere.

Forse stiamo gradualmente ritornando ad una frequentazione della montagna più intima e più consapevole, che implica un approccio più rispettoso della cultura e degli spazi delle terre alte, dei ritmi e degli equilibri del territorio alpino soprattutto nelle relazione con i suoi abitanti e con le tradizioni locali.

Tre sono i fattori che incidono in particolare sul turismo montano: la stagione invernale, la presenza di strutture ricettive e il turismo straniero, che tendenzialmente ha maggiori disponibilità e quindi è portato a spendere di più. In montagna è la stagione invernale a essere, ovviamente, la più trainante dal punto di vista economico. "Fatto 100 il valore aggiunto portato dal turista invernale, quello estivo porta un valore aggiunto mediamente della metà. Se analizziamo il tipo di offerta ricettiva, gli alberghi generano un ritorno economico triplo rispetto ai B&B e di cinque volte quello dei campeggi, perché offrono servizi aggiuntivi che quindi costano di più e fanno salire il valore aggiunto del turista per il territorio. […] Si tratta di ragionare in termini di valore aggiunto di ogni turista, per avere sempre meno necessità di dover puntare sulla quantità, perché il turismo montano deve considerare la sua sostenibilità nel territorio."(1)

Compresa questa premessa, si può facilmente intuire quale importanza abbia oggi affrontare la questione in termini qualitativi, superando la concezione del turismo “consumista” e dei grandi numeri per abbracciare una nuova prospettiva di turismo più centrata sui temi della qualità e della sostenibilità.

Scenari di ritrovata promozione e rilancio sostenibile dovranno nei prossimi mesi essere delineati per la montagna, ma soprattutto condivisi da coloro che desiderano continuare a frequentarla e a conoscerla davvero, rispettandone regole e valori, negli spazi aperti come nelle strutture che li presidiano e li rendono fruibili.

LA PERCEZIONE DEI GESTORI DEI RIFUGI
A giugno dello scorso anno sono stati pubblicati gli esiti di un interessante studio intitolato 'Il turismo in montagna in tempo di CoViD-19. La percezione dei gestori dei rifugi delle Alpi' (2): una ricerca effettuata da Riccardo Beltramo e Stefano Duglio, Professori del Centro Interdipartimentale NatRisk - Centro di Ricerca sui Rischi Naturali in Ambiente Montano e Collinare dell’Università di Torino, finalizzata a raccogliere l’opinione degli operatori del settore dell’accoglienza alpina e, in particolare, dei gestori dei rifugi dopo la fase I del Covid e, soprattutto, dopo l’esperienza del primo lockdown post-pandemia.

Lo studio, condotto su circa 600 gestori di tutto l’arco alpino, ha evidenziato che i principali cambiamenti (oltre a quelli climatici riguardanti tutto il nostro pianeta) hanno interessato le modalità di accesso e prenotazione (molti rifugi hanno scoperto l’importanza di internet e dei canali social per farsi conoscere e promuovere le proprie attività) e la tipologia dei nuovi ospiti (primato degli escursionisti e dei trekkers, seguiti dalle famiglie e dall’associazionismo, dagli alpinisti e da una quota crescente di mountain bikers; fanalino di coda i falesisti (o climbers), abituati alle gite in giornata o al bivacco autonomo, per lo più non in struttura).

Oltre il 50% dei gestori ha inoltre evidenziato un importante aumento nei costi dovuto agli interventi introdotti, a seguito della pandemia, per la messa in sicurezza degli spazi comuni e per garantire l’applicazione delle regole di sanificazione degli ambienti e il distanziamento tra i fruitori delle strutture, oltre all’acquisto dei dispositivi di protezione individuale, dei prodotti igienizzanti, importanti voci tra quelle dei nuovi costi (stimati tra il 20 e il 40% di incremento rispetto agli anni passati). I gestori sono, di fatto, degli imprenditori della Montagna e la loro attività di impresa risulta molto impegnativa, non solo perché richiede conoscenze, competenze ed abilità di vario tipo, ma soprattutto perché si svolge in un ambiente fragile e in condizioni talvolta difficili, spesso rese estreme da fattori fisici ed ambientali (approvvigionamento idrico ed energetico, rischio di valanghe e fenomeni franosi, difficoltà di rifornimento, accessibilità, …). Ecco perché i gestori sono spesso molto consapevoli di come il turismo debba essere sempre più attento a rispettare le regole, gli spazi e le modalità della loro fruizione: la Montagna si deve vivere, non consumare o, peggio, snaturare per assecondare vizi e pretese di chi, senza conoscerla, pensa di poterla sottomettere e trasformare in nome dei profitti e delle mode.

Dopo la nostra esperienza di viaggiatori privilegiati, reporters occasionali in un momento storico davvero particolare, siamo risaliti lungo gli Appennini, per rientrare nei luoghi del nostro quotidiano: all’arrivo in Valle d'Aosta, ci è sembrato importante raccogliere il contributo di alcune voci del mondo alpino e montano che meglio conosciamo.

Ci è sembrato che proprio queste voci potessero restituire in modo autentico, senza filtri, la situazione di grande cambiamento in atto, aprendo una prospettiva di speranza per quel necessario processo di trasformazione verso scenari futuri di miglioramento. Non solo come contributo al quadro generale e alle tematiche affrontate dal progetto, ma soprattutto come racconto dal vivo di chi la montagna la vive come professione. Ecco allora alcune loro impressioni, che ci hanno regalato a caldo, come punto di vista locale, che però rispecchia una situazione che coinvolge tutte le realtà territoriali, in modo trasversale,

Corinne Favre, titolare del rifugio Quintino Sella, nel massiccio del Monte Rosa, base di partenza per ascensioni alpinistiche alle vette di Castore e Lyskamm (a circa tre ore di cammino dall’arrivo degli impianti di risalita di Champoluc/Gressoney, raggiungibile da itinerario di media difficoltà) e del ristoro in quota Campo Base, meta prettamente invernale in prossimità degli impianti di Champoluc - Val d'Ayas

"A proposito del Quintino Sella, i cambiamenti legati alle norme di prevenzione da contagio Covid si sono sommati a quelli relativi alla ristrutturazione del rifugio. Nel complesso abbiamo a nostro avviso migliorato il modo di lavorare e il comfort dei clienti riducendo della metà la capienza del rifugio. Questo senza incidere troppo sulle presenze complessive perché le prenotazioni sono state spalmate durante tutti i giorni della settimana (e non solo gli usuali tre/quattro giorni di massima affluenza).

La difficoltà che talvolta si presenta è rassicurare i clienti sul rispetto delle norme sanitarie e distanziamenti. Oppure l'invitare i clienti stranieri a rispettare regole come l'uso mascherina (si parla della scorsa estate, dunque il Covid era spauracchio soprattutto per noi italiani, mentre gli altri paesi erano ancora inconsapevoli). Il rapporto con i clienti è direi migliorato perché notiamo una maggior disponibilità a andare incontro a piccole regole di convivenza per il bene di tutti. Abbiamo introdotto cambiamenti di sanificazione ambiente e di gestione delle presenze che intendiamo portare avanti anche a emergenza conclusa perché ci hanno fatto scoprire un modo di lavorare più sostenibile per noi e i clienti. Tutto sommato l'esperienza shock ha anche portato buone cose e siamo fiduciosi nella prossima stagione estiva in arrivo! Incrociamo le dita!"

Armando Chanoine e Mauro Opezzo, gestori dei rifugi Torino e Monzino sul versante italiano del Monte Bianco, punti di riferimento dell’alpinismo classico e meta per appassionati provenienti da tutto il mondo

"Il quadro complessivo, nonostante la riduzione dei posti e il distanziamento, è che in molte più persone hanno cercato di avvicinarsi alla montagna e agli sport outdoor perseguendo la "libertà" nelle terre alte. Il Monzino, in particolare, è sempre stato un rifugio per alpinisti, ma l'estate scorsa ha visto un aumento esponenziale del turismo. Escursionisti e trekkers, di solito orientati verso mete piu tranquille, si sono avvicinati anche solo per mangiare una polenta o godere dell'immenso panorama, chi alzando il proprio livello e chi affidandosi ad una guida professionista. Gli alpinisti, soprattutto italiani, assidui frequentatori del luogo e forse economicamente più alle strette, hanno optato per gite più lunghe andando a ricercare i bivacchi a quote più alte senza fare la classica tappa in rifugio per bere o ristorasi prima del proseguo del tragitto."

Tiziana Berthod, gestrice del rifugio Federico Chabod nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, base di partenza per la salita alpinistica all'unica vetta solo italiana tra i 4000 delle Alpi e meta classica per turisti, escursionisti e famiglie

"E' innegabile che la situazione vissuta a causa del Covid ci metta, come rifugisti, di fronte alla necessità di accettare profondi cambiamenti nel nostro lavoro, con la consapevolezza che certi numeri siano ormai lo specchio di un passato che non tornerà. Le restrizioni richieste nei protocolli di distanziamento e da noi applicate con rigore la scorsa estate hanno determinato, di fatto, una riduzione del 60% rispetto agli anni precedenti. Pur lavorando intensamente nei mesi estivi, siamo riusciti solo a far fronte alle spese, solo grazie ad una riduzione dei costi di affitto. L'incremento delle spese legato alla sanificazione quotidiana degli ambienti ha inciso pesantemente sia in termini di costo, sia in termini di personale ed ore di lavoro effettivo. Ma la passione per il lavoro ci spinge a trovare nuovi stimoli: il rifugio resta una meta per escursionisti e famiglie, oltre che per alpinisti e trekkers, sia italiani che stranieri. Speriamo che la montagna continui ad esercitare il suo fascino come luogo di fuga, in modo da continuare, come gestori, ad essere un punto di riferimento e una destinazione di ristoro e di accoglienza per molte persone. E guardiamo avanti con speranza e fiducia in nuove prospettive."

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Bibliografia e fonti

Diego Cason, ISTAT Datawarehouse e uffici statistica regionali e provinciali, maggio 2020
Riccardo Beltramo e Stefano Duglio, "Il turismo in montagna in tempo di CoViD-19. La percezione dei gestori dei rifugi delle Alpi" - ricerca effettuata dal Centro Interdipartimentale NatRisk - Centro di Ricerca sui Rischi Naturali in Ambiente Montano e Collinare dell’Università di Torino - giugno 2020
(1) Fonte: Diego Cason, ISTAT Datawarehouse e uffici statistica regionali e provinciali, maggio 2020
(2) Fonte: Prof. Riccardo Beltramo, Ordinario di Environmental Management Systems e IoT4.0 per il Turismo montano presso l’Università degli Studi di Torino - Dipartimento di Management - Sezione di Scienze merceologiche – NatRisk (Centro di Ricerca sui Rischi Naturali in Ambiente Montano e Collinare) - giugno 2020.


Note: CHI SIAMO
Peakshunter Mountain Guides

Guide Alpine certificate UIAGM con sede operativa in Valle d'Aosta, ai piedi del massiccio del Monte Bianco: professionalità ed esperienza pluriennale nell'organizzazione di attività outdoor in Italia e in Europa, in ambiente alpino (alpinismo, arrampicata su roccia e ghiaccio, scialpinismo) e nell'assistenza per escursioni private o di gruppo

Francesco Pierini Fotografo
Francesco Pierini è un videomaker e fotografo professionista toscano, specializzato in fotografia di viaggio, avventura e sport estremi. Dal 2019 fa parte di Peakshunter Mountain Guides, con cui collabora per gli aspetti di comunicazione.

CREDITS
Progetto realizzato da Francesco Pierini con la collaborazione di Peakshunter Mountain Guides
Partner tecnico per abbigliamento e zaini: Ferrino Outdoor
Testi di Silvia Pergami e Francesco Pierini
Fotografie di Francesco Pierini



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