t-shirt ADMO Climbing for life

Nelle palestre indoor di arrampicata troverai le magliette ADMO Climb for life. Una proposta di Pietro Dal Prà e Giovanni Spitale per contribuire alla sensibilizzazione sul tema della donazione di midollo osseo a sostegno dell'ADMO (Associazione Donatori Midollo Osseo).
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Nelle palestre indoor di arrampicata troverai le magliette ADMO Climbing for life
arch. P. Dal Prà
Contribuisci a salvare delle vite! Con un’offerta minima di tre euro, prendi ed indossa la maglietta “ADMO, Climbing for life” che troverai nelle palestre di arrampica italiane. Contribuirai così alla diffusione e alla sensibilizzazione sul tema della donazione di midollo osseo. Più arrampicatori vestiranno questa maglietta, più donatori ci saranno nei prossimi anni, e più gente si salverà da malattie che possono essere curate solo con il trapianto di midollo osseo.

Le t-shirt “ADMO Climbing for life” saranno distribuite nelle seguenti palestre di arrampicata, di cui si ringraziano calorosamente i gestori:
Nordic Arena a Dobbiaco
Sportler a Silea-Treviso
Palazzetto polifunzionale di Stava
King Rock a Verona
Roc Palace a Brescia
Way Out a Milano
B-Side a Torino
Il Punto a Borgo San Dalmazzo
Piugaz a Sesto Fiorentino-Firenze

Per saperne di più sul tema spendi quattro minuti e ascolta questa video intervista a Giovanni Spitale, giovane arrampicatore in attesa di trapianto:



Un'esperienza che ti cambia, di Giovanni Spitale e Pietro Dal Pra

Novembre 2009. Una mattina qualunque. Prendo il treno da Bassano a Padova, per andare all'università. La notte ha nevicato, oggi è sereno, si vedono benissimo le prealpi innevate, dalle piccole dolomiti al grappa. «Stanotte è luna piena» penso, «il tempo perfetto per una bella ciaspolata al buio».
La sera, però, vedo le montagne solo da lontano. Meno di 24 ore, e mi è caduto il mondo addosso. Mi hanno diagnosticato una malattia del midollo osseo, abbastanza grave. Già oggi mi hanno trasfuso d'urgenza, sia con globuli rossi che con piastrine. Mi hanno detto che per guarire devo sperare di trovare un donatore di midollo osseo compatibile.
Febbraio 2009. Sono da poco uscito dall'ospedale. Sono stati mesi intensi. Il donatore non è saltato fuori, non ancora, ma per ora la terapia farmacologica ha funzionato. Se non altro sono ancora vivo, fatto che non era per nulla scontato. Bene, è il momento di muoversi. Intanto, un po' di movimento, per rimettermi in forma. Se non avessi così male ad ogni articolazione sarebbe più facile. Voglio ricominciare ad arrampicare. Non sarà una cosa da oggi a domani, ma si può fare.
Poi bisogna muoversi per far muovere le persone. Ho visto più di qualcuno morire perché non si riusciva a trovare un donatore. Non va bene. Voglio salvarmi la vita, e voglio fare qualcosa per gli altri. Inizierò a girare le scuole, parlando con i ragazzi. Poi se mi viene qualche altra idea...
Giovanni Spitale

Maggio 2009. Una sera a Bassano presento la mia attività alpinistica e parlo del perché vado in montagna. Fondamentalmente ci vado per un bisogno di umanità. Una sete di vita. In questa occasione conosco Giovanni, un simpatico ventiduenne che è in attesa di donazione di midollo osseo. Mi scopro totalmente ignorante in materia, e interessandomi arrivo a sfiorare un altro mondo, non quello delle montagne, un mondo in cui non si va ricercare a umanità e vita per volare alti, ma per sopravvivere.
Da subito mi vergogno della mia ignoranza. Quasi mi arrabbio con me stesso e con il mondo di non aver mai saputo niente di quel popolato mondo di persone che vivono nella speranza di trovare un donatore compatibile. Mi stupisco enormemente di quanto facile sia diventare potenziale donatore di vita.
Un’ora. Forse meno. Dipende da dove si vive e da quanto traffico c’è per andare in ospedale a fare un normale esame del sangue. Un’ora. Per diventare un numero che sarà inserito in una enorme banca dati mondiale. Un contenitore a cui molti in attesa di trapianto guardano con speranza.
Una scatola di numeri, sempre troppo piccola. Assurdamente piccola. Perché per ingrandirla ci vuole un’ora della propria vita. Il tempo di un aperitivo, di una navigata in internet, di una pennica dopo pranzo, di due telegiornali, di una telefonata, forse meno di quanto molti spendono ogni giorno a scrivere sms.
Andiamo tutti di fretta e queste cose le facciamo tutte. Ma quell’ora da spendere per andare a farsi tirare fuori un po’ di sangue e buttare il proprio numero nella scatola della vita l’hanno trovata solo trecentosettantamila persone in Italia. Undici milioni nel mondo. La scatola dei numeri della vita è scandalosamente poco rifornita.
Società moderna. Un lamento continuo sulla spersonalizzazione dell’individuo. Sull’egoismo, la mancanza di senso, l’apatia, le frustrazioni. Il troppo ha svilito l’essenziale. Il benefico essenziale.
E allora, considerazione egoistica: ma impiegare un’ora per mettere il proprio numerino nella scatola della vita, dà solo più speranza di sopravvivere a qualcuno o dà anche a chi lo fa la possibilità di riconoscersi dentro un senso dell’essere al mondo? È meno nobile sentirsi orgogliosi in quanto potenzialmente donatori di vita che pensare al dolore di chi sta attendendo (al momento con possibilità remote vista la piccolezza della scatola della vita) un trapianto? Non perdiamoci in inutili elucubrazioni, anche perché i due aspetti non sono disgiungibili.
Andrò a farmi questo prelievo e diventerò un numero nella scatola della vita perché, ora che so, non ho scelta. Perché di ore inutili ne ho buttate, ne butto e ne butterò. E un’ora così concretamente utile non si può non vivere. Forse, e le possibilità sono remote, qualcuno nel mondo avrà la vita da questa mia ora e da questo mio gesto. Ciò che invece è sicuro….è che starò meglio io.
Pietro Dal Pra

Per approfondire il tema Donazione vai su www.admo.it
Note:
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