Marcello Bombardi ripete Ego Land in Marmolada

Sono a un movimento dalla fine delle difficoltà di tutta la via. La presa dopo è solo una spanna sopra ma sono fregato, non sono nella posizione giusta. Non ho tolto il mignolo dalla tacca della mano sinistra e questo non mi permette di girare la mano in posizione leggermente più verticale per fare l’ultimo allungo decisivo alla presa buona di mano destra. Sono fermo, consapevole di essere così vicino e così lontano alla riuscita. "Take!" urlo a Edu che mi assicura sulla sosta sotto, frustrato per il piccolo dettaglio che fa la differenza. "Ancora un giro" penso, "ancora un giro buono ce l’ho" prima che una componente tra tempo, energia e pelle finisca e non mi permette di completare la via.
Sono arrivato alla base della Marmolada una settimana prima, nel mezzo di un’estate in cui per motivi vari (gli anni passano e le motivazioni cambiano, ma questa è un’altra storia…) mi sono impegnato su vari progetti multipitch. Dopo 20 anni di scalate sotto i 40 metri il mondo delle vie lunghe mi ha aperto un mare di nuove possibilità, stimoli, sogni, obiettivi. Ego Land era già uno di questi appena uscita l’anno scorso la notizia di questa nuova via. Quando Edu Marin mi ha scritto, invitandomi a provarla insieme a lui, ho accettato subito con entusiasmo. Sapevo sarebbe stata una grande occasione per provare un progetto rilevante e allo stesso tempo accrescere l’amicizia.
Edu era arrivato in zona già da una settimana. Aveva iniziato a provare la via, cercandone i metodi, mettendo magnesite sulle prese e fissando delle corde statiche per facilitare i giorni in parete e permettere delle riprese per un suo progetto video. Il primo giorno sulla via mi sono reso conto velocemente del grande lavoro che lui e Juan Pablo Caballero (il suo amico fotografo) avevano già fatto, e che di conseguenza io mi ero saltato, ma senza darci troppo peso.
Ego Land è una delle ultime multipitch nate sulla mitica parete sud della Marmolada e che forza i grandi strapiombi del pilastro denominato Dorso dell’elefante. Dopo due tiri di avvicinamento su calcare giallo più friabile, con difficoltà attestate sul 7b+ e 8a che ti danno già una bella sveglia, la via presenta subito i due tiri chiave. Il primo, gradato 8c/+, una lunga cavalcata di resistenza su buchi, con prese e movimenti che farebbero invidia a molte vie di Ceüse. Il secondo, 8b/+, più corto e con la difficoltà concentrata in un paio di movimenti su tacche piccole. Da lì in cima le difficoltà vanno via via scemando man mano che la parete diventa sempre un po’ più verticale e la densità e profondità dei buchi caratteristici di questo incredibile muro di calcare grigio va ad aumentare.
Alternandoci sui tentativi provavamo i movimenti motivandoci a vicenda e ci scambiavamo consigli sui metodi cercando un punto d’incontro tra inglese, italiano e spagnolo. Abbiamo passato tre giorni in parete, intervallati da altrettanti giorni di "descanso". Mentre io mi lamentavo di non tenere i buchi, notoriamente uno dei miei punti deboli, ed ahimè il primo dei due tiri duri era di resistenza su buchi..., Edu faceva più fatica sulle sequenze di tacche. Ogni sera tornavamo poi al rifugio Falier dove, dopo alcuni giorni di titubanza da parte dei gestori, il duo spagnolo Edu - JuanPi era riuscito a conquistare anche i loro cuori e a farsi finalmente intendere su come farsi servire il cappuccino della mattina come piaceva a loro, "muy cargado y muy caliente".
Con il mio tempo disponibile in scadenza e delle sensazioni migliori sui due tiri duri decidiamo di riposare due giorni e fare un tentativo di salita dal basso. La sera prima mi ritrovo a guardare la parete, osservando la nicchia con l’ultima sosta raggiunta i giorni precedenti appena a metà muro. Non avevamo visionato gli ultimi tiri ma eravamo fiduciosi che le difficoltà fossero più contenute e affrontabili sul momento. Avevo ancora bene in mente i movimenti ma anche le fatiche degli ultimi tentativi sul muro. L’eccitazione per il tentativo in libera dal basso era tanta, così come l’incertezza del risultato.
Sono appeso alla corda. Riguardo la posizione corretta delle dita di come prendere quest’ultima tacca. "Down", Edu mi ricala alla sosta di partenza dell’8b/+. Sono riuscito il giro prima a salire in libera il tiro di 8c/+, dando tutto quello che avevo, in stile "a muerte" per non essere di meno alla compagnia spagnola. Edu è caduto purtroppo due volte alla fine del tiro, con dito bucato, un paio di urla che hanno fatto intimorire i turisti che camminavano tranquilli nella valle sotto e con l’animo visibilmente provato, disturbato di non aver possibilità quel giorno di liberare la via. Empatizzo per la sua situazione e mi sento meno entusiasta sul momento di aver la possibilità a mia volta di salire tutta Ego Land in libera. Tentare la salita di una via non è una gara con il tuo compagno ma comprendo bene il sentimento di rammarico che giustamente può provare Edu dopo tutte le fatiche spese ad attrezzare i tiri con rinvii, soste e magnesite.
Faccio una breve pausa e parto per un altro tentativo. Dopo alcuni rinvii di avvicinamento sono di nuovo sulle due piccole tacche del movimento chiave. Prendo l’intermedio, questa volta sì che tolgo il mignolo e torco leggermente il polso più verticale, la pressione va tutta sull’indice, sento la roccia che entra nella carne. "Bene così" penso, mi aiuta meglio a tenere il corpo vicino la parete. Alzo il piede e mi slancio per l’ultimo allungo alla presa buona, questa volta ce l’ho in mano. Arrivo in sosta e un’onda di sentimenti contrastanti mi travolge e mi turba. Mi sento gasato di poter salire la via in libera, dispiaciuto di non poterlo condividere con il compagno di cordata, appagato delle fatiche e di non aver mollato quando la ghisa mi riempiva l’avambraccio sul tiro di 8c/+, in difetto per non aver preso parte al duro lavoro svolto da Edu nei primi giorni. Inizia però a farsi una certa ora e alcune nuvole minacciano brutto tempo, non c’è tempo di trovare tregua alle emozioni o godersi il momento. Bisogna arrivare in cima velocemente. Saliamo gli ultimi tiri che ancora non avevamo guardato i giorni prima il più velocemente possibile e in alternata da primi. Arrivato alla sosta finale della via, stremato e grato della lunga giornata, mi prendo un momento per uno sguardo veloce al panorama ora all’imbrunire. Alla mia destra le cime del Civetta e del Pelmo, osservate da una prospettiva diversa rispetto a quella dei molti momenti di riposo al rifugio, sembrano ora incredibilmente alla mia stessa altezza. Scendiamo quindi veloci con le calate per arrivare alla base della parete ormai con la frontale accesa.
Non ho mai praticato seriamente uno sport di squadra. Nonostante abbia stretto forti legami con i compagni di allenamento o scalate, penso di non aver vissuto quel pieno spirito di cameratismo tipico di quegli sport. In varie esperienze vissute però su multipitch ultimamente sono rimasto colpito dalla presenza forte di questo aspetto e dalle dinamiche, relazioni ed emozioni che ne derivano. E ancora una volta rimango sorpreso di quanto questo sport, con tutte le sue sfaccettature, possa dare lezioni di vita così forti. Sono super grato ad Edu di avermi invitato a provare Ego Land, di aver condiviso con me questo suo progetto che aveva iniziato come suo personale, delle giornate passate insieme, di avermi sostenuto fino in cima il giorno della libera e di aver creato un’amicizia più stretta. Allo stesso tempo mi sento come un giocatore che entra in partita negli ultimi minuti e segna il gol decisivo dopo che la squadra ha sudato per tutta la partita. Ringrazio Ego Land e concludo questa esperienza sicuramente consapevole che al prossimo progetto vorrò partire dal principio per condividerne pienamente fatiche, dolori e gioie finali.
- Marcello Bombardi, Pont-Saint-Martin