Aperta sul Pizzo d'Eghen (Grigne) la via Ragni

Sul Pizzo d'Eghen nella Grigna Settentrionale nell'estate 2024 i quattro membri dei Ragni di Lecco Dimitri Anghileri, Luca Gianola, Matteo Motta e Davide Pontiggia hanno aperto la 'via Ragni'. Il racconto scritto da Pontiggia.
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L'apertura della 'Via Ragni' sul Pizzo d'Eghen, Grigna Settentrionale (Dimitri Anghileri, Luca Gianola, Matteo Motta, Davide Pontiggia 2024
Michele Caminati

Hola raga, programmi per questa estate?
Motta (Matteo Motta ndr): "Io con la bimba piccola non so se mi muovo troppo."
Dimi (Dimitri Anghileri ndr): "Io non so, magari qualche giro con la Giuli Bella ma devo lavorare, tempi di magraaaaa."
Dido (Davide Pontiggia ndr): "Eh boh, io qualche giro lo faccio ad agosto con la Vale, per il resto sono qua in zona."
Giano (Luca Gianola ndr): "Io con la moglie incinta mi sa che sto qua, farei roba in zona... ma andiamo a guardare all’Eghen?"

Così, dal nulla, dal non avere dei progetti ben definiti, dal non potersi spostare troppo e da una proposta di Gianolino, che assieme agli altri aveva visto questa linea sulla sua parete di casa, nasce questa idea che ci ha motivato fin da subito: aprire una via al Pizzo d’Eghen.

Nell’estate del 2023 io e Giano avevamo ripetuto Prigionieri dei Sogni, mitica via di Adriano Selva e Andrea Spandri, sempre guardata con sguardo riverente e timoroso. Anni prima questa via mi aveva respinto. Pensandoci bene, in quell’occasione non avevo possibilità di riuscita nemmeno con l’intercessione dei santi: era stato un azzardo.

Leggendo la relazione della via sulla guida e la descrizione dell’avvicinamento, la prima volta che mi sono incamminato verso l’Eghen mi sentivo già fuori dalla comfort zone appena sceso dalla macchina. Infatti, era stata una bella giornata movimentata: ambienti che non conoscevo, avvicinamento non semplice e via tosta.

La ripetizione successiva di Prigionieri ci ha fatto capire l’approccio che avremmo dovuto avere rispetto alla parete: l’etica e la logica di apertura usata erano chiare, e avremmo dovuto mantenere quella logica, cercando di non sfigurare con chi ci aveva preceduto, visto che avremmo aperto accanto a una via mitica che ha dato a questa parete la notorietà che le spettava.

Data un’occhiata un po’ più da vicino, sembrava di vedere roccia buona, qualche ciuffo d’erba, qualche fessura... La linea sembrava evidente. "Una goccia d’acqua", qualcuno ha poi detto durante l’apertura.
All’inizio dell’estate 2024, Giano e Motta ripetono anche Liberi di Sognare per dare un’occhiata da un’altra prospettiva. Da lì è deciso: si va.

Calendario alla mano per incastrare i mille impegni di tutti, e via: a metà giugno primo giro a portare su un po’ di materiale – grazie Giano e Motta – e il 18 giugno io e Giano torniamo per aprire il primo tiro.

La situazione sembra già ingaggiosa: fessura, tettino, fessura. Giano parte bello deciso e si fa strada su un tiro non facile come riscaldamento. Arriva in sosta e mi recupera. Bel tiro, qualche punto delicato, ma la roccia è veramente bella e solida, la scalata fantastica.

Sistemate le corde fisse, Giano, non sazio, vuole partire per il secondo tiro. La musica cambia e si vede: davanti a noi una bella placca giallo-grigia con qualche tacca e dei buchi nella parte più alta, dove arriva il nostro sguardo. Ci vuole un po’ per mettere il primo spit di questo tiro. Decidiamo così di scendere. Il ritorno dal sentiero è lungo, e la coda domenicale della Valsassina mi aspetta per tornare verso casa.

Il weekend successivo si torna in parete: Dimi e Giano all’attacco. Il secondo tiro risulterà poi il più duro, anche in apertura: cliffate non facili e pedalare. Poi un tratto più lavorato e si arriva a una bella e comoda cengia sotto a un tetto. Riposo meritato per il momento. Sistemate le fisse e ripulita un po’ la cengia dai vari detriti, si può scendere.

Finalmente riusciamo, la volta dopo, ad andare in parete tutti e quattro. Il gruppo si sente e le risate sono assicurate. Tra uno sfottò e l’altro, con le solite imprecazioni lungo lo scomodo traverso che porta alla base dello zoccolo, l’avvicinamento vola, e ci fermiamo a guardare il nostro saccone lasciato in parete da metà dello zoccolo.

Da qui si vede bene la nostra linea. Possiamo capire meglio cosa fare e dove cercare di andare. Chiaramente, in quattro nessuno ha un binocolo per scrutare meglio le pieghe della parete, ma vabbè, ci conosciamo: sappiamo che mancherà sempre 30 per fare 31. Ma è anche il bello. Alla fine: colpa tua, colpa mia, due foto alla parete, risalita delle fisse e siamo sulla nostra bella cengia.

In quattro riusciamo a dare una pulita ai tiri già aperti e allo stesso tempo si va avanti lungo lo strapiombino del terzo tiro. Ne esce una lunghezza molto entusiasmante, varia, abbastanza lunga e con qualche passo di decisione.

Qualche intoppo per fare sosta, con trapano incastrato per ben due volte, ma Dimi – con la calma e la raffinatezza che lo contraddistinguono – risolve e fa sosta. Chi lo conosce sa che sto scherzando: sono stati 15 minuti di... come si può dire senza essere volgari... di una gentile e soave richiesta di aiuto da parte di entità extra-terrene. Ecco, sì, così si dice. Un’altra giornata in parete è andata. Si può tornare a casa.

Nonostante la parete non sia delle più comode da raggiungere, ce la siamo sempre presa con calma. Non avevamo fretta di finire la via: era bello passare tempo in parete tutti e quattro. I tempi morti erano la base del cronoprogramma giornaliero, e ci andava bene così. La pausa pranzo era d’obbligo, sempre gentilmente offerta da Giano, che aveva il compito di fermarsi la mattina a prendere i viveri. Il ritrovo era sempre in funzione dell’orario di apertura della cooperativa di Margno. Dove vuoi andare senza panini freschi e formaggio?

Torniamo in parete dopo qualche weekend di brutto tempo. Ormai arrivare al punto più alto raggiunto implica un bel riscaldamento sulle jumar. Parto già stanco per aprire il quarto tiro: tettino, ristabilimento. Da sotto, solo sfottò per essere stato fortunato nel trovare delle prese buone per progredire. Spitto e mi riposo.

Non sono così abituato alla sensazione di scalare e fermarsi a una certa per spittare, ma mi dà una bella dose di adrenalina. Adesso: a destra o a sinistra? Boh. Un po’ di indecisione, ma si va avanti. Bel lavoro di squadra oggi. Dimi finisce il tiro con un bel passaggio e dritto in sosta, dove poi la parete si abbatte. Abbiamo anche il tempo di guardare meglio le sequenze di prese dei tiri precedenti. Siamo gasati dalla linea e dai tiri.

Verso metà luglio torniamo e concludiamo la via fino in cima, con due tiri più facili ma comunque in cui si deve prestare attenzione. La linea da seguire è meno evidente, la parete è meno continua, e con qualche friend ci si protegge bene. La via è finita, ma il progetto continua: bisogna liberare i tiri.

Torniamo tutti e quattro verso settembre e in una giornata liberiamo tutti i tiri. È stato veramente bello farli in libera e rendersi conto di poter unire tutti i movimenti che in apertura ci avevano dato del filo da torcere. Emozionante.

Verso i primi di novembre Dimi e Giano tornano per fare la libera della via one-push. Può così partire il toto-grado. Che bello. Penso di aver discusso di più per i gradi della via che durante l’esame orale a scuola. I numeri e le lettere volano come alla tombola di Natale. Sembra impossibile venirne a una. Le sensazioni sono diverse, ma bisogna decidere. Beh, oggi che scrivo il racconto è luglio 2025. Sono passati dieci mesi dalla libera. Non più tardi di ieri, nel nostro gruppo arriva un messaggio: "Raga ma allora sti gradi?". Stiamo ancora discutendo. Ne verremo a una prima dell’uscita dell’articolo? Speriamo di sì.

- Davide Pontiggia, Caslino d'Erba

Link: ragnilecco.com

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