Coffee break #01 - Friabili

Friabili come le Piccole Dolomiti, come i segni del tempo che restituiscono memorie e liberano le fantasie di quello che resta, del ricordo. Daniela Zangrando con il suo Coffee break evoca i mondi segreti e friabili di territori dell'anima, persi nel tempo e nella memoria.
Un castello di sabbia può resistere ore sotto il sole cocente. È sufficiente che il costruttore sia abbastanza abile nella miscela di acqua e sabbia e si ergerà superbo, con tanto di torri e torrette. Un castello come si deve insomma. «Sembra vero!» – azzarderà persino esclamare qualche signora di passaggio.

Lasciate che la vampata del giorno lo cucini per bene. Che superi la notte. Tornate a guardarlo all’indomani. Disdetta! Dov’è finita la merlatura? E come mai il fossato è pieno di sabbia? Nessuna traccia dei cammini di ronda. Accessi bloccati. Ma, cosa ancor peggiore, è la sorte capitata al mastio. È squamato. Si sta aprendo. Non servono più a niente le feritoie. Non le scale. Sembra aver subito un attacco dall’interno, dal cuore. Si sgretola a vista d’occhio. Non sapete capacitarvi di quanto sta accadendo? È difficile – così dite – anche solo paragonare questo spettro di torrione sgretolato, triturato, sminuzzato, polverizzato con il Signor Mastio precedente? Non cadete nel tranello. Comparare non ha senso. Quello che avete di fronte, è tutt’altra cosa. Non ha niente a che fare con la muraglia difensiva e altera disegnata dai vostri ricordi. Con buona probabilità restano però gallerie e passaggi sotterranei. Andatene alla ricerca. Sono percorsi segreti, per bambini e animali.

Commuovono le Piccole Dolomiti. Mostrano all’uomo solo scheletri, ossa consumate, gengive scoperte. Un sole troppo caldo ha indurito la loro pelle fino alla rottura. Una nebbia insistente le ha costrette troppo spesso al pianto, celando il loro volto con veli monacali. Si sono piegate al sacrificio e si sono viste rinsecchire, prosciugare. Sono invecchiate. Pian piano, hanno lasciato cadere le braccia lungo i fianchi, ma, in un moto di tardivo orgoglio, si sono costrette a giungere le mani in grembo. Posa di consumata compostezza. Così, si sono fermate. Come in ogni degna leggenda. Appena prima dello sfascio. Della fine. I loro sguardi annebbiati si sono fissati nel vuoto. Come quelli di chi non ha più niente da dire o, forse, non vuol dir nulla.

Eppure, se chiedessi a Silvano Sella, di ritorno dall’Hindu Kush Pakistano, di raccontarmi la sua montagna preferita, non avrebbe esitazioni. «Le Piccole!» – direbbe subito, senza pensarci troppo su. Eccolo che già inizia a parlare del Vajo Scuro, della Cascata Arcobaleno, del Gramolon, di anni di camminate, di sequenze di piedini arrampicati sulle ferrate, colti nel rapimento della prima scoperta della montagna. E di un camoscio, fermo sopra una roccia, custode della segretezza delle gallerie sotterranee, spirito mansueto a guardia di un instabile Regno.

di Daniela Zangrando
Silvano Sella (1951-2014), alpinista appartenente alla Sezione CAI di Montecchio Maggiore (Vicenza).

Coffee break #0




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