Whiteout in montagna: tutto quello che c’è da sapere sulla visibilità ridotta in ambiente innevato

Le Guide Alpine Italiane, grazie a questa intervista a Fabio Salini, spiegano cosa succede durante un whiteout in montagna, quali segnali anticipano il peggioramento della visibilità e quali strumenti e comportamenti possono fare la differenza tra un rientro sicuro e una situazione a rischio.
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Monte Cevedale, avvicinamento in nebbia al Passo Rosole
Matteo Castellini

In quota, la visibilità può cambiare in pochi minuti. Una giornata che sembrava stabile può trasformarsi in un incubo bianco, dove cielo e terra si fondono in un’unica massa nebbiosa cancellando ogni riferimento visivo. Questo fenomeno si chiama whiteout ed è una delle condizioni più insidiose che possano verificarsi in ambiente innevato. Spesso sottovalutato, può causare disorientamento totale, cadute, panico, incidenti e ritardi nei soccorsi. Per questo motivo è fondamentale saperlo riconoscere, prevenire l’insorgenza e, nel caso, sapere come comportarsi.

Le Guide Alpine spiegano cosa succede durante un whiteout, quali segnali anticipano il peggioramento della visibilità e quali strumenti e comportamenti possono fare la differenza tra un rientro sicuro e una situazione a rischio. Ne parliamo con Fabio Salini, Guida Alpina, che ci aiuta a capire di cosa si tratta e come affrontarlo.

Che cos’è, concretamente, il whiteout?
Il whiteout è una condizione in cui la nebbia e la neve si fondono visivamente, creando un ambiente completamente bianco dove è impossibile distinguere l’orizzonte. Non distingui più il cielo dalla neve. Non si percepisce più l’inclinazione del pendio, non si vedono i contorni. È una situazione che disorienta completamente. Spesso i clienti lamentano sensazioni di nausea o vertigini perché manca qualsiasi riferimento visivo, e l’unico punto fisso diventa la Guida che apre la traccia.

Quali sono i rischi concreti in queste condizioni?
Il principale rischio è il disorientamento. Anche compiere un gesto semplice, come appoggiare il bastoncino a terra, può diventare problematico: pensi di toccare il suolo e invece affondi di 20 o 30 cm, rischiando di perdere l’equilibrio. In whiteout, non si è più in grado di stimare le distanze, i dislivelli o la direzione. È una condizione che può indurre panico e decisioni sbagliate.

Come si affronta, in pratica, un whiteout?
Il punto fondamentale è prevenire. Se si prevede la possibilità di incappare in condizioni di scarsa visibilità, bisogna prepararsi. L’elemento chiave è la traccia GPS personale, registrata durante l’andata. Una traccia scaricata online non è affidabile: può essere vecchia, non aggiornata, o non adatta alle condizioni reali. Se ci si trova nel whiteout, è consigliabile tornare indietro seguendo esattamente il percorso registrato con il proprio dispositivo.

In passato come ci si orientava in assenza di visibilità?
Prima del GPS, ci si affidava alla carta topografica, alla bussola e allo schizzo di rotta, ovvero un tracciato fatto a mano con direzioni e distanze. Oggi il GPS ci permette di navigare anche senza visibilità, ma non è infallibile. La traccia dev’essere recente, soprattutto se si opera su un ghiacciaio, dove le condizioni cambiano rapidamente: crepacci e ponti di neve possono modificarsi o crollare nel giro di pochi giorni.

Lo smartphone può sostituire il GPS?
No, non completamente. Le app sono uno strumento utile, ma per un professionista il GPS resta essenziale, soprattutto in traversate lunghe o su terreni complessi. Il telefono può integrare le informazioni, ma non sostituire un dispositivo dedicato, più preciso e più affidabile anche in condizioni meteo avverse.

Ci sono altri pericoli da considerare in whiteout?
Sì, il problema principale è che non si riesce più a osservare l’ambiente circostante. Non vediamo i pendii a monte, i segnali di valanghe recenti, le crepe da propagazione nella neve o le cornici. In queste condizioni, l’osservazione visiva — che normalmente è una delle prime forme di analisi del rischio — viene completamente meno. È per questo che, in situazioni di whiteout, la scelta più sicura è spesso quella di non proseguire e, se possibile, tornare sui propri passi.

Ti è capitato personalmente di trovarti in una situazione di rischio per il whiteout?
Durante un’uscita sul Monte Cevedale, ci stavamo spostando verso il Passo Rosole quando ci siamo trovati nella nebbia fitta. A un cambio di pendenza, ci siamo accorti di un distacco avvenuto giorni prima, ma non riuscivamo a capirne né le dimensioni né i contorni. Abbiamo preferito fermarci, rimettere le pelli e tornare al Cevedale. In certe situazioni, la prudenza è l’unica via ragionevole.

Qual è il consiglio più importante?
Nel whiteout, ogni scelta deve essere conservativa. Prepararsi in anticipo con strumenti affidabili, avere una traccia personale e saper rinunciare quando le condizioni non sono più gestibili è fondamentale. Anche tornare indietro è una decisione da professionisti.

Info: www.guidealpine.it




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