Tre Cime di Lavaredo Punta Frida: una prima salita in Dolomiti

Il racconto dell’alpinista ceco Michal Coubal che insieme a Ája Coubalová ha aperto The Lights from the other World, una nuova via d’arrampicata sulla Punta Frida, Tre Cime di Lavaredo, Dolomiti.
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Punta Frida Tre Cime di Lavaredo ed il tracciato di The Lights from the other World (Michal Coubal, Ája Coubalová 07/2018)
Michel Coubal

Il fatto che per un bel po’ di tempo mio fratello e io arrampicavamo in una zona ogni fine settimana, per poi non tornarci mai più, probabilmente dice qualcosa di noi. Però il vero motivo per cui non siamo mai più tornati alle Tre Cime di Lavaredo sta probabilmente nelle 11 notti trascorse sulla Cima Grande nei mesi estivi del 1988 e del 1989. Ma adesso, 30 anni dopo, il mio cuore desiderava rivedere dei posti così familiari, vedere luoghi che avevo visto così spesso in passato. Volevo anche rimettere piede nel Rifugio Locateli che, grazie al suo rifugista, mi faceva sempre sentire a casa mia. In breve, volevo paragonare i miei vecchi sentimenti e ricordi con quelli di oggi. E, soprattutto, volevo arrampicare in Dolomiti con mia figlia Anna, proprio come facevo con mio fratello anni fa.

Dopo aver esplorato un po’ di opzioni, per il nostro primo giorno abbiamo scelto la via Cassin sulla Cima Piccolissima. Nel 1983, con mio fratello e l’amico Martin Veselý avevamo attraversato il confine italo-jugoslavo vicino a Tarvisio e ci eravamo diretti verso le Tre Cime di Lavaredo. Mentre facevamo autostop abbiamo perso di vista Martin e ci eravamo rivisti soltanto a Praga, dopo aver trascorso una meravigliosa settimana di arrampicata in Dolomiti.

All’epoca avevamo dormito vicino al rifugio in una delle gallerie della prima guerra mondiale. Il denaro era scarso e stavamo risparmiando per comprare 6 fettucce e 5 moschettoni. Abbiamo visitato il rifugio soltanto per prendere dell'acqua dal bagno, ignari del fatto che il rifugista ci osservava attraverso il suo grande binocolo mentre salivamo le pareti nord. Due giorni prima della fine del nostro soggiorno ci ha visitato nella galleria e ci ha portato nel suo rifugio, dicendo che voleva incontrare i romantici che preferivano dormire in una grotta piuttosto che nel comfort di un rifugio. Il giorno dopo lo abbiamo salutato dalla “Via degli Scoiattoli" sulla Cima Ovest.

Adesso Anna saliva da capocordata, esplorando questa piccola sfida, mentre io mi godevo la vista dal basso. Ovviamente la via non ha deluso le nostre aspettative. Ero orgoglioso del fatto che la mia memoria fosse una delle poche cose che funziona ancora bene, proprio come 35 anni fa quando avevo salito questa meravigliosa via con mio fratello. Ho riconosciuto le soste, i camini e le rampe ma, per amore di Dio, inizialmente non ricordavo come scendere. Solo quando la terza calata è iniziata con una roccia incastrata in un camino con delle vecchie fettucce e moschettoni a ghiera arrugginiti, allora ho saputo esattamente dove ci trovavamo. Tutto è bene quel che finisce bene.

Per i successivi due giorni del nostro viaggio nella nostalgia, ho promesso ad Anna qualcosa di nuovo sulla parete SE di Punta Frida, in cambio della promessa che lei non avrebbe mandato me e mia moglie Vendula in una casa di riposo entro breve. Secondo le mie informazioni, una via sorprendentemente logica e diretta poteva ancora essere salita in libera su questa parete, così siamo andati a vederla da vicino il giorno dopo. Non ero sicuro del secondo tiro. La parete era gialla e arancione con piccoli strapiombi bianchi, era notevolmente simile alla roccia che si trova sulla parete nord della Cima Grande. Il primo tiro seguiva una bella fessura. Il secondo tiro era proprio come ci aspettavamo: la roccia era piuttosto friabile, con delle piccole scaglie e buchi che sembravano non aspettare altro che io starnutissi. Ho arrampicato lentamente, martellando alcuni chiodi non particolarmente buoni, e ho anche dovuto fare qualche nodo su cordino, ma comunque tutto è filato liscio. Quando sono arrivato sotto un piccolo tetto ho detto ad Anna che avevo bisogno di un po’ di tempo per pensare a qualcosa, e le ho anche detto di rimanere ben sotto un altro tetto. Poi ho preso in mano il martello e ho tolto tutte la rocce nelle mie vicinanze. Per il resto della giornata, Anna ha continuato a ricordarmi che la sua definizione di pensare è molto diversa dalla mia. Ma io ero contento. Aveva funzionato.

Ad un certo punto siamo scesi per dormire in macchina. C'erano molte persone, macchine, binocoli e treppiedi con telecamere attorno al rifugio Auronzo, tutti in attesa dell'eclissi lunare. Tuttavia, la luna è scomparsa ben presto dietro le scure nuvole e alle 10 di notte è iniziata una tempesta. Pioggia torrenziale, grandinate e fulmini continui, ancora e ancora, fino a quando non ha smesso alle tre del mattino. La nostra sveglia era pronta per suonare un'ora e mezza più tardi. Il sole stava già sorgendo, tutto era tranquillo e il cielo era chiaro. Non c'era traccia della tempesta che infuriava solo poche ore prima. Quindi siamo partiti per fare quello che so fare così bene, e che mi piace fare anche dopo tutti questi anni.

Dopo aver superato un tetto siamo saliti su terreno classico, lungo fessure, una rampa e persino un camino che presto si è trasformato in una larga fessura. Vale la pena menzionare un tetto con una fessura sopra la quinta sosta. Era formato da diverse lame rivolte verso il basso, fragili all'inizio ma solide nella parte superiore. Siamo stati salvati dai nostri Friends, perché piantare un chiodo qui avrebbe probabilmente provocato un grande cambiamento di questa parte della parete. Sopra la rampa sono stato sorpreso nel trovare roccia bella e solida.

Quel giorno nessuno sarebbe morto durante la discesa. Abbiamo tenuto gli occhi aperti. Anche se a volte è stato un po’ difficile, ancora una volta dopo tanti anni è arrivata un'altra grande avventura nelle Dolomiti. E i ricordi sono diventati semplici lampi di luce che arrivano da un altro luogo.




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