The Nose e la Salathé Wall: doppio bottino nello Yosemite per Stefano Ragazzo e Silvia Loreggian

Il report di Stefano Ragazzo e Silvia Loreggian che durante la loro prima vista nella Yosemite Valley negli USA hanno salito sia The Nose sia la Salathé Wall su El Capitan.
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El Capitan, Yosemite: Stefano Ragazzo e Silvia Loreggian nella foto di rito al Cap Meadow
Stefano Ragazzo, Silvia Loreggian

Mentre guidi nella Yosemite Valley e all’improvviso ti trovi davanti El Capitan illuminato dalle prime luci dell’alba il primo pensiero che ti viene in mente è: "Azz ma è liscissimo, sembra impossibile poterlo scalare!" Poi guidi fino alla sua base, lo guardi con il binocolo, lo confronti con la relazione, e ti sembra ancora più liscio di prima!

Qualche giorno dopo ti ritrovi alla sua base con la lampada frontale, pronto per iniziare l’arrampicata, un po’ intimorito inizi a muovere i primi passi, ti senti a tuo agio, il sole inizia a sbucare dal fondo della valle e come ogni parete che prima sembrava liscia ed impenetrabile tutto inizia a diventare tridimensionale, buchi, fessure, camini e cenge iniziano a formarsi man mano che sali, ti infili dentro il ventre della montagna, ti lasci inghiottire, a volte in fessure talmente grandi che scompari dalla visuale di chi ti guarda, inizia il viaggio...


The Nose, El Capitan, 17-18-19 novembre 2021

Abbiamo organizzato l’arrampicata di The Nose in  tre giorni con due bivacchi. Dopo un brevissimo avvicinamento (per chi non lo sapesse, El Capitan anche per l’avvicinamento rispecchia i desideri di ogni arrampicatore: 20 minuti!) siamo all’attacco della via con le prime luci dell’alba. Le giornate sono corte in questa stagione, vogliamo sfruttare ogni minuto di luce muovendoci veloci. In parete ci sono diversi luoghi relativamente comodi per bivaccare, non ci siamo portati la portaledge e quindi abbiamo dei punti precisi da raggiungere ogni sera.

E’ la prima volta per noi su una cosiddetta big wall, quindi con un saccone pesante al seguito, necessità di paranchi per issarlo in sosta ed uno stile di arrampicata totalmente nuovo. Abbiamo una discreta esperienza di arrampicata in granito ma El Capitan non è semplicemente un granito diverso (più liscio e scivoloso), è anche un insieme di aspetti nuovi come pendoli da venti metri per saltare da una fessura all’altra, camini terrificanti senza protezioni da sosta a sosta, sezioni di arrampicata artificiale e molto altro. Nonostante questo, o forse proprio grazie all’insieme di questi aspetti sfidanti, la determinazione e la concentrazione ci fanno procedere bene. Raggiungiamo i posti da bivacco sempre con grande anticipo, da un lato vorremmo approfittarne e provare ad andare oltre, ma l’incognita di dover trascorrere la notte appesi perché non raggiungiamo la piccola cengia dove sdraiarsi ci fa titubare e così ci limitiamo a fissare la corda sul tiro successivo, così da salirlo in velocità con le jumar la mattina successiva ed a rilassarci un po’ durante la sera.

La prima giornata di scalata procede a ritmo spedito, salvo un piccolo incidente di percorso: su un tiro in traverso il saccone non viene accompagnato a dovere e si ritrova a sbattere a velocità decisamente troppo elevata contro un diedro sulla verticale della sosta successiva. Risultato: una tanica da quattro litri esplode dentro al saccone (e per fortuna una sola!) e la borraccia da litro attaccata sotto scompare nel vuoto. Non ci lasciamo scoraggiare dall’incidente di percorso, di cui verificheremo l’entità solo una volta raggiunto il bivacco perché svuotare un intero saccone appesi in sosta non è affatto semplice! La perdita d’acqua si rivela poi salvifica, in quanto raggiungeremo la cima con altri quattro litri d’acqua in avanzo. Risulta invece poco piacevole il sacco a pelo e il materassino inzuppati di acqua per due giorni! Ma la prima notte al Cap Tower ci lascia a bocca aperta: siamo su una terrazza di sei metri per due, perfettamente orizzontale, completamente soli e con la luna piena.. Non potremmo chiedere di meglio!

Il secondo giorno ci dà la sveglia con tutti quegli aspetti che potremmo definire "originali" dell’arrampicata su El Cap. Un bel camino che è "solo" 5.8 ma che non ha protezioni quindi del numero sulla carta proprio non ci interessa, una sequenza di artificiale, il Boot Flake che è quanto di più strano incontrato finora (un pendolo di 20 metri con successiva scalata di altri 20 metri verticali senza poter inserire protezioni così che il secondo possa fare una specie di tyrolienne direttamente sulla sosta successiva), ed i famigerati tiri del Great Roof e del Pancake Flake, dove pensare a chi è passato per queste lunghezze di corda e a chi soprattutto è riuscito ad affrontarle in arrampicata libera.. è decisamente una bella emozione! E’ simpatico che ogni tiro degno di nota (il ché vuol dire praticamente tutti) ha un nome proprio, come se ogni tiro fosse una via a sé.

Successivamente, dopo esserci goduti il nostro ritmo e la nostra solitudine in parete, non potevamo che sperimentare anche il famoso affollamento del Capitan. Prima una forte cordata che scala la via in giornata e che giustamente ha bisogno di superarci ma a cui però si incastra la corda in avanzo mentre procedono in simultanea e senza il nostro aiuto provvidenziale sicuramente avrebbero rallentato la loro tabella di marcia di non poco, e poi… la prima cordata islandese della storia! Bello a dirsi, non altrettanto a trovarcisi letteralmente bloccati sotto per tre lunghezze di corda perché questo ha significato impiegare un paio d’ore a tiro (di cui un’ora fermi in sosta ad aspettare), scalare col buio e condividere il Camp VI per la notte, dove va bene la condivisione in parete e tutti questi discorsi qua ma.. probabilmente saremmo stati più comodi in due!! Per non parlare della dimensione dei loro sacconi e della quantità di bottiglie di plastica da litro appese sotto, che occupavano solo loro il posto di due persone! E dopo questa "piacevole" notte, svegliarsi con il Changing Corner da scalare prima del sorgere del sole! Insomma, è tutto parte del gioco che abbiamo scelto di giocare!

Dopo due giorni e mezzo di scalata il più possibile in libera, acrobazie circensi e bivacchi su posti incredibili, a mezzogiorno siamo in cima, pieni di serenità e, come direbbero alcuni amici: "con il gaso a mille". Senza nessuna fretta, ci godiamo il momento ed urliamo come fanno questi pazzi americani nelle vesti degli “stone monkeys”!

Salathé Wall, El Capitan 23-24-25 novembre

È assolutamente vero che l’arrampicata è una droga e che ognuno di noi ha le sue forme di dipendenza, più o meno sane. L’arrampicata poi si sfaccetta in tante tipologie e quando provi qualcosa di nuovo… ti serve qualche giorno per recuperare, ma subito hai bisogno di un’altra dose. Quante volte abbiamo sognato questa parete, le sue linee, siamo qua una volta nella vita (per ora..!), le condizioni meteo sono perfette, non ci pensiamo un minuto di più, e mentre sorseggiamo la birra post Nose stiamo già organizzando la salita della Salathé Wall! La logistica di questa via richiede un giorno in più se ci si vuole agevolare issando il saccone alle cosiddette Heart Ledges, per le quali troviamo fortunatamente le corde fisse in loco. Questa operazione ci permetterà di scalare Freeblast, cioè i primi dieci tiri della via senza saccone al seguito e procedere così molto più veloci godendosi l'arrampicata senza stress. Per il resto, il conteggio di acqua, cibo e materiale essenziale già ce l’abbiamo pronto, basta aggiungere un giorno alla tabella di marcia.

Ci incutono un po’ di timore le misure grandi dei Friend che su The Nose non erano necessarie ma che qui sembrano essere ricorrenti: C4 #5, #6 meglio se doppiati.. Beh, noi doppi non ce li abbiamo quindi il dubbio non si pone! I racconti di amici e i suggerimenti di alcuni arrampicatori locali al parcheggio di El Capitan Meadow (punto di ritrovo di tutti gli appassionati della Yosemite Valley), ci mettono in guardia sulla lentezza dell’arrampicata di questa via e sull’obbligatorietà di muoversi disinvolti nelle famigerate fessure offwidth (fuori misura). Ancora una volta, questa nomea di mistero e al tempo stesso di difficoltà, è la chiave vincente per farci affrontare la via con grinta e determinazione!

Un paio di giorni di riposo, durante i quali lavarsi i capelli sul lavandino dei bagni pubblici, assaporare un paio di birre e realizzare che la temperatura in parete è decisamente più gradevole rispetto al gelo polare che avvolge invece il fondo valle, e siamo di nuovo in parete.

Il primo giorno i tiri non sono estremi e permettono quasi tutti di scalare veloci ed in libera. La prima sequenza di offwidth ci scorre via con successo, meritano di menzione il famoso Hollow Flake dove dopo un faticoso pendolo ti infili controvoglia in una stretta fessura dove posizioni il friend #6 a circa un terzo della lunghezza e poi è meglio che lo lasci lì perché diventa ancora più larga; The Ear, che è letteralmente un orecchio di roccia appoggiata sulla parete e dove per fortuna avevamo già fatto pratica di “squeeze” su Astroman, altrimenti.. Chi si infilava là dentro? Ed il successivo tiro di artificiale: 45 metri di fessura dritta, scalata durante il tramonto e che ci ha fatto arrivare in sosta con le frontali accese nel buio più totale, durante il quale il tempo sia in sosta sia per chi scalava si è letteralmente fermato! Ma poi, il bivacco tanto atteso, The Alcove, il silenzio della parete ed un pasto caldo condiviso seduti sotto ad un mare di stelle.

Il giorno successivo la scalata si fa decisamente più lenta, impieghiamo sempre più di un’ora a tiro ed effettivamente siamo su difficoltà più sostenute. E’ il giorno del Teflon Corner, dell'Enduro Corner, di The Roof e della Headwall. Abbiamo ancora addosso la sensazione di stanchezza provata sulla fessura svasa dell’Enduro, il vento che ha iniziato a soffiare proprio sull’esposto Roof e la luce incredibile del tramonto che batteva sulla Headwall. Il bivacco per questa notte è la Long Ledge: siamo a quattro tiri dalla cima, ma ormai è buio da un paio d’ore, la stanchezza si fa sentire e questa cengia lunga otto metri ma larga cinquanta centimetri, totalmente sospesa nel vuoto, è troppo spettacolare per non fermarsi a dormire! Sembra di toccare il cielo, un cielo incredibilmente nero e pieno di stelle.

A metà mattina del terzo giorno siamo in cima, veramente stanchi questa volta ma altrettanto felici e svuotati. Non abbiamo incontrato anima viva in parete ed abbiamo di nuovo avanzato otto litri di acqua.. Non possiamo certo dire che la fortuna non sia stata dalla nostra parte!

Sono passati diversi anni da quando, scalando la prima big wall in Dolomiti, abbiamo iniziato a sognare El Capitan. Alla base della parete sud della Marmolada, pronti per una salita in giornata stile fast&light, scattiamo la cosiddetta "foto di rito" immaginandoci immersi nella valle di Yosemite negli anni d’oro delle prime arrampicate libere sulla parete delle pareti.

Oggi, siamo in vetta a El Cap dopo aver scalato la più estetica ed iconica via della parete, con la cordata migliore che potremmo desiderare e ci sentiamo così felici, così orgogliosi, così spensierati..!

Mentre scriviamo, il nostro viaggio on the road in USA continua, non è passato molto tempo dalla nostra settimana in parete e già sentiamo il nodo in gola di nostalgia di tutto quello che è stato il tempo trascorso nella magica valle di Yosemite e nell’enorme parete di El Cap. Il tramonto e le stelle hanno un altro colore quaggiù, quasi quasi manca anche quell’imbrago mai tolto per 3 giorni consecutivi..! Alla prossima, Capitano!

Silvia Loreggian e Stefano Ragazzo ringraziano Ande, Grivel, Lyophilise & Co. e Tecnica.

Link: www.alpinevibes.it




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