Nanga Parbat: Walter Nones e Simon Kehrer al Campo base

24/07/2007 Walter Nones e Simon Kehrer dopo dieci giorni passati sul Nanga Parbat sono riusciti a scendere fino a 5700m e da qui sono stati trasportati in elicottero al Campo base. Termina così un’odissea iniziata il 15 luglio con la scomparsa in un crepaccio del loro compagno e capocordata Karl Unterkircher.
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Nanga Parbat
Steve House
Walter Nones e Simon Kehrer ce l’hanno fatta! Dopo 10 giorni passati sul Nanga Parbat, di cui gli ultimi due fermi a 6600m bloccati dal brutto tempo, questa mattina sono riusciti a scendere con gli sci fino a 5700m, dove gli elicotteri li hanno prelevati e trasportati fino al Campo base. Va detto subito che in tutta questa brutta avventura Nones e Kehrer sono stati bravissimi: per le scelte che hanno fatto e per come sono riusciti a districarsi in una situazione, psicologica e oggettiva, davvero difficile. E va detto anche che, in questo momento di felicità, il dolore per la perdita di Karl Unterkircher non è sicuramente passato in secondo piano.

Termina così dunque, nel migliore dei modi, una vicenda che ha monopolizzato l’attenzione di tutti media e di tutti gli italiani. Una vicenda, è assolutamente doveroso ricordare, iniziata il 15 luglio con la scomparsa dell’alpinista gardenese Karl Unterkircher, vittima di un incidente a 6400m di quota mentre, insieme a Nones e Kehrer, era impegnato nell’apertura di un nuovo itinerario sulla difficile e pericolosa parete Rakhiot del Nanga Parbat, la nona montagna per altezza della terra.

Già mercoledì 16 la notizia dell’incidente aveva fatto il giro dell’Italia. Walter Nones e Simon Kehrer erano riusciti a comunicare con le famiglie. Così la morte di Karl, alpinista tra i più quotati in Himalaya, ha avuto l’effetto di un fulmine a ciel sereno. Inoltre, a far più dura la situazione, dalle scarne informazioni sembrava che i due non potessero scendere per la pericolosità del tratto che avevano appena superato. Una situazione a dir poco molto difficile, tanto più se si considera che il tutto avveniva su una delle pareti meno conosciute di quel Nanga Parbat che, tra gli Ottomila, ha fama di essere tra i più pericolosi.

Altro particolare da tener presente è che da sempre il mondo dell’alta quota ha una legge non scritta: chi affronta le montagne più alte della terra sa che in ogni situazione deve cavarsela da solo, perché i soccorsi su quelle immense montagne sono sempre difficilissimi, se non impossibili. L’unica eventuale speranza viene da chi è impegnato sulla tua stessa via o sulla tua stessa parete, ma anche in questo non bisogna fare alcun affidamento sugli aiuti "esterni". Soprattutto quando, come nel caso di Unterkircher, Nones e Kehrer, si affronta una parete vergine dove sei completamente da solo. Tutto ciò non è una novità per nessuno.

Ciononostante, come tutti sanno, dall’Italia sono partiti i soccorsi. Agostino da Polenza nell’immediatezza della notizia ha chiamato Silvio Mondinelli e Maurizio Gallo chiedendogli di volare in Pakistan, al Nanga Parbat. Una missione impossibile, soprattutto perché entrambi erano certamente coscienti che senza acclimatamento non avrebbero potuto salire per aiutare i due alpinisti.

Ma Silvio Mondinelli, l’iron man dal cuore d’oro salitore di tutti i 14 Ottomila nonché autore di svariati soccorsi e soccorritore di professione, non poteva dire di no. Come non poteva negarsi, e infatti non si è negato Maurizio Gallo, ingegnere e guida alpina padovano che ha grandissima esperienza del Pakistan e di logistica delle spedizioni - non bisogna scordarsi per esempio che è stato uno dei primi soccorritori occidentali ad arrivare nei territori pakistani colpiti dal terremoto del 2005. Sicuramente la loro è stata una scelta coraggiosa: non è facile avere la responsabilità di un’operazione con tanti punti di domanda, né rifiutare un aiuto con il dubbio che le cose poi possano volgere al peggio.

Fatto sta che il 18 luglio Mondinelli e Gallo sono al campo base della Rakhiot. Il 19/07 organizzano due voli con l’elicottero, con i quali riescono a far pervenire un satellitare, cibo e gas ai due alpinisti ancora fermi a circa 6800m di quota. Una cosa è chiara da subito: nel punto dove sono, non possono essere recuperati dall’elicottero. Dovrebbero scendere di almeno di 400m, ma nonostante il satellitare fattogli avere, ancora non si riesce a contattarli. Poi Nones e Kehrer prendono la loro decisione: salgono verso l’alto, verso quella che ormai rimane la loro unica via di fuga. Scelta giusta, visto che raggiungono il bordo del ghiacciaio di Bazin e poi, il 20 luglio, il ghiacciaio a quota 7200m. Da lì hanno due possibilità di discesa: per la via tracciata nel ’53 per la prima salita del Nanga da Hermann Buhl o per la Kinshofer, la via “normale”.

Sulla via Kinshofer le spedizioni americane e iraniane, impegnate su quel versante avevano lasciato tende e viveri proprio per agevolarli. Ma Nones e Kehrer fanno un’altra scelta: scendono per la Buhl, come del resto era nei loro piani alla partenza. Una decisione che si rivelerà anche questa giusta: in precedenza hanno lasciato un campo deposito a 6400 e poi hanno gli sci che li renderà più veloci. I loro piani però vengono ostacolati dal maltempo: il 21 sono a 7000m, il 22 a 6600m, il 23 restano tutto il giorno bloccati. Poi, oggi, il felice epilogo, in un’ora Nones e Kehrer sono scesi con gli sci scegliendo, sembra, una linea di discesa autonoma rispetto alla Buhl. Poi, superati due grandi crepacci, uno dei quali in doppia, raggiungono i 5700m di quota. Da qui sono stati prelevati dall’elicottero inviato da Gallo e Mondinelli, risparmiandosi così il tormentato ghiacciaio. Ora, dopo 10 lunghissimi giorni, sono al Campo base, al sicuro.

Insomma oggi è un giorno felice per tutti. Per Walter Nones e Simon Kehrer è finita un’odissea nella quale, occorre ripeterlo ancora, si sono comportati da alpinisti più che esperti. Ripetiamo: sono stati bravi ad uscire con le loro gambe. Ma è un giorno sicuramente felice anche per Maurizio Gallo, Silvio Mondinelli e Agostino Da Polenza scaricati da una responsabilità non facile da sostenere. Ed è un giorno di felicità per tutti gli alpinisti.

E’ probabile che si parlerà ancora a lungo di questa vicenda nel mondo dell’alpinismo. Un mondo che non gradisce per nulla i titoli dei giornali che, anche in questo caso, riprendevano l’abusato Leitmotiv della montagna assassina. Ma non c’è nulla di nuovo: questo è il “gioco” dell’informazione. Anche se sentire, praticamente in diretta su Internet, la voce di Nones che parlava al satellitare, quando non si sapeva ancora se ce l’avrebbero fatta, non ci è sembrata la scelta più giusta. Ma questo è probabilmente solo un dettaglio. Adesso quel che conta è che almeno Walter e Simon si siano salvati.

Resta il ricordo e il rimpianto per Karl Unterkircher, un uomo che in molti stimavamo. E resta la consapevolezza di come il mondo dell’altissima quota sia sempre pericoloso, soprattutto quando si cercano di esplorare quei confini dove il rischio non è più gestibile se non dal fato. E’ un discorso vecchio quanto l’alpinismo, ma occorre avere, ancora una volta, la serenità e la forza di affrontarlo ed esserne consapevoli. E in questo Karl Unterkircher, con l’ultimo messaggio lasciato online prima della sua ultima avventura, può esserci di aiuto per non dimenticare.



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