In Marmolada Nicolò Geremia e Thomas Gianola trovano la loro Etica Franca

Era agosto 2019 quando con Nicolò aprimmo la bellissima Colombo Lunatico. Forse per la sua posizione isolata ha avuto poco successo, quest’anno ha visto però la prima ripetizione da parte dei due amici Federico e Matteo che ne sono usciti soddisfatti. Già quella volta gli occhi di Nicolò avevano intravisto una linea sullo spigolo a sinistra. Ma Nicolò è bravo in questo, vedere belle linee, e quindi cade nel dimenticatoio.
2025: 6 anni dopo la passione e voglia di mettersi in gioco è rimasta la stessa. Nicolò ha rivisto la linea da aprire da una via affianco e pare ci sia tutta. La parte bassa sale su diedri e fessure di tipo classico. Poi c’è una placca/bombè piuttosto liscia che formerà la grande incognita della salita, prima di entrare in un sistema di fessure abbastanza ovvio e all’apparenza proteggibile. La linea è logica e la porzione di parete è decisamente libera. A sinistra corre una vecchia via Aspettando la pioggia che delimita la porzione di parete che ci interessa con una grande fessura.
Partiamo alla volta della cengia passando per la Don Quixote e siamo presto alla base del Pilastro in poco tempo. Si chiacchera di etica di apertura. Di paranoie e di stile. Si discute anche del fatto di quanto possa essere etico usare i cliffhanger per piazzare chiodi in apertura o se sarebbe più onesto farne a meno.
Vista la fitta nebbia non si vede quasi niente. Saliamo bene i primi tre tiri che risultano belli e non troppo difficili. Il quarto tiro ci dà già filo da torcere. Supera infatti la prima parte della grande placconata centrale. Dobbiamo darci il cambio al capo della corda per venirne a capo. Ne esce un tiro bellissimo e assai psicologico. Dalla sosta in una comoda nicchia, si innalza sopra di noi un bombè e poi una liscia placca di circa 30 metri per arrivare al sistema di fessure in alto. Siamo stanchi e quindi decidiamo di scendere.
Torniamo il giorno dopo, carichi per finire la via, ignari di quanta delusione porterà questa giornata. Passiamo infatti quasi tutta la giornata a provare a passare sulla placca sopra la sosta. Prova a destra, prova a sinistra. Niente. Siamo fissati su quella bellissima placca. La vogliamo prendere in pieno. Ad un certo punto prendo coraggio, e faccio un lungo runout su movimenti aleatori sopra una fessura orizzontale tappezzata di friends. Arrivo a un punto che sembra ci siano dei buchi per dei friends ma niente. Sono svasi. Piazzo quindi 2 cliff, alla faccia dell’etica. Guardo in su. Sembra che tra 5-6 metri si arrivi ad una zona più bucata e proteggibile. Ho 2 possibilità: o tolgo i cliff e salto giù, in questo caso la giornata sarebbe per me finita, la testa bruciata. Oppure pianto uno spit. Uno spit soltanto. Solo uno. Mi permetterebbe di arrivare alla zona di buchi e poi finire il tiro. Cavolo, verrebbe un tiro bellissimo. Chiedo il permesso anche a Nicolò, e pianto quindi il maledetto spit.
Messo lo spit, mi alzo di 2 metri. Trovo una piccola clessidrina e già qui mi viene da piangere. Forse lo spit si poteva evitare? Ma poi la vera disfatta di Caporetto: ci sono 3 metri completamente lisci tra me e la bella sequenza di buchi che porta verso l’alto. Non ci posso credere. Neanche una presa. Niente. Zero prese. Torno sui miei passi. Affranto. Prova anche Nicolò ma mi conferma. Qui è completamente liscio. Inizio a pensare che il trapano sia proprio un maledetto Diavolo. Ti induce in tentazione, ti fa pensare di essere Dio. Ma la realtà è un'altra. Da li non si passa. Torniamo giù. Si torna a casa.
Una decina di giorni dopo ci siamo ripresi e la voglia di tornare è alta. L’idea è di aggirare la seconda parte della placca a sinistra. Tornati all’ultima sosta Nicolò apre il tiro seguente, facendo un orologio verso sinistra in appena 40 minuti. Un bellissimo tiro di settimo anche decentemente protetto. Otto ore di ossessione, bouldering e foglie sugli occhi per niente. Maledetto trapano. Maledetto io stesso!
Finiamo la via seguendo la logica fessura con dei bellissimi tiri che seguono le fessure alte della parete. Il risultato è una via molto bella, varia, su placche e fessure. Difficoltà contenute (fino al 7a circa) con protezioni talvolta precarie. Due soste sono spittate, per il resto sono su clessidre o chiodi. Non ci sono spit sui tiri. C’è un foro e un tassello, fuori via, di cui mi ricorderò a lungo.
Ho deciso di raccontare questa storia ed espormi, credo che dagli errori si impari. Fare solo gli eroi o negare le verità non ci porta lontani. Né in montagna e nemmeno nella vita.
- Thomas Gianola, Laste
L'Etica Franca di Nicolò Geremia
Nel 2019, aprendo la via Colombo Lunatico, guardai il pilastro alla nostra sinistra e l'immaginazione vagò, come al solito, alla vista di un enorme clessidra e di placche grigie, ammaliata come dal canto delle sirene. Poi me ne dimenticai, preso da altri progetti e obiettivi, fino a quando ad inizio estate, durante l'apertura della parte alta di Chiaroveggenza sul Pilastro della Hatchi Bratchi con Mirco Grasso, la prospettiva della linea si fa più chiara: si vedono nitidamente buchi e esili fessure fino all'evidente fessura finale. Torna la voglia di quella linea e comincia a crescere dentro di me l'irrefrenabile necessità di toccare quelle sezioni di roccia.
Tornato a casa spulcio la guida della Sud della Marmolada per vedere le linee presenti e se c'è la possibilità di salire la parete in modo indipendente. Trovata la pagina mi rendo conto che già nel 2019 avevo tracciato la linea ipotetica ma poi me ne ero dimenticato… vabbè che la mia guida della Marmolada è piena di linee ipotetiche già tracciate e salite solo nei miei sogni!
Do da mangiare all'immaginazione sulle foto delle pareti come un bambino con i pastelli. Ora devo solo trovare il socio giusto per questa apertura non semplice a livello logistico, e chi meglio del fortissimo alpinista Thomas Gianola, difficilmente stancabile, che dimostra più con i fatti che con le parole! Mi bastano due foto per convincerlo. Thomas mi conosce abbastanza per sapere che la linea probabilmente è affascinante e si fida di me. Cordata approvata! Organizziamo il materiale e ci accordiamo per due giorni di bel tempo.
Partiamo presto, stavolta vogliamo provare a non dormire in cengia ma in una grotta sotto la Sud, salire ogni giorno per la Don Quixote fino alla cengia, e da lì aprire. Tutto l'avvicinamento è un parlare d'etica e morale d'apertura, chi ci affascina come apritore e chi critichiamo come improbabile modello da seguire. Poi le critiche passano a noi, ai nostri errori, alle nostre evoluzioni e all'etica che vogliamo seguire per l’apertura. Già il fatto di avere il trapano appresso ci fa sentire in difetto. Propongo ingenuamente di provare a salire senza l'uso dei cliff, idea che andrà ad arenarsi al primo chiodo che andrò a piantare. Leoni nei pensieri conigli nei fatti.
Arrivati in cengia, guardiamo la linea, facciamo due foto e racconto la via a Thomas per come l'avevo vista dal Pilastro Hatschi Bratschi: ci sono due punti un po' lisci che possono respingerci a centro parete dove i buchi o spariscono o si fanno radi. Ci auguriamo fortuna e, motivati, partiamo.
Saliamo abbastanza veloci i primi tre tiri per evidenti fessure e facili placche bucate, fino alla prima placca incognita. Tocca a Thomas. Nell'esile fessura che spegnendosi porta alla placca, cerca di posizionare dei chiodi ma ovviamente la fessura è cieca e i friends mangiano la fessura vicino al bordo. Dopo un bel tempo di carpenteria acquisisce forza d'animo e passa verso quello che mi dice essere “un passo e poi facile: sarà quinto grado”. Avanza cinque/dieci metri, pianta un chiodo, va sù e giù, destra e sinistra, e… non credo, a vederlo, sia di quinto grado.
Sono passate due ore, la stanchezza si fa sentire e mi domanda il cambio. “Basta un movimento di piedi per saltare fuori” mi dice. Calato in sosta risalgo il tiro, controllo le protezioni, faccio il passo che lo aveva fatto tentennare per tanto tempo e, mannaggia se è duro! Arrivo all'ultimo chiodo piantato, che nel frattempo si era girato a testa in giù, provo a ribatterlo ma salta tutta la roccia su cui era piantato.
Merda, qua non sembra quinto neanche in falesia con spit a metro. Cerco protezioni, un friend su una robusta, ma non certo sicura, foglia di roccia. Avanzo fino a dove era arrivato Thomas e, delicato e precario, arrivo ad un buco dove ci sta un friend ancora più precario. Se provo il passo il volo assicurato è di almeno 10-15 metri. Devo trovare una protezione.
Il tempo della ricerca è un misto di paura da tenere a bada e necessità di mantenere alta la speranza di trovare un posto per un chiodo. Provo su tutti i buchi in zona, niente da fare. Vedo che due metri a destra c'è un buco grande, vado a vedere, provo qua e là, ma niente. Non demotivarti, mi dico, prova ancora. Provo, fino a che dentro il grande buco il chiodo inizia a entrare cantando armonicamente, e sorrido. Ma la felicità sparisce nel momento in cui il chiodo sfonda. Ah, ma per fortuna vedo la punta e, senza volerlo si è creata una clessidra! Non eccelsa, ma meglio di niente. Pulisco con il cavanut e passo un cordino. Ora, un bel po’ più tranquillo, torno al passo, lo imposto e riesco a saltar su. L'arrampicata si fa più facile ma come sempre sprotetta, ed è così che arrivo nella fatidica nicchia dalla quale avremo il secondo dilemma. Felici di aver aperto insieme un bellissimo tiro, scendiamo alla nostra grotta stanchi e soddisfatti.
Il giorno dopo saliamo veloci in cengia, ripetiamo i tiri già aperti e arriviamo alla nicchia verso le undici. Il volere e le possibilità ci si palesano quel giorno. Il volere era di passare sopra la nicchia su roccia spettacolare e avida di prese, ma l’impossibilità di passare diventa evidente e la sconfitta certa dopo otto ore di battaglia. Proviamo a turni, un po’ di qua un po’ di là, a destra, dritto a sinistra, dritto a destra. Niente da fare. L’amaro cola dai nostri cuori, la volontà di passare ostinatamente in un punto si è rinsecchita davanti l'evidenza di un muro liscio sopra di noi, e di un muro a destra da aprire a spit. Non è quello che ricerchiamo. Guardiamo totalmente a sinistra della nicchia: si passa. Decidiamo quindi che proveremo di là, anche se passiamo vicini ad una linea esistente. Oramai è quasi buio. Scendiamo.
Passa una settimana di meteo incerto e torniamo alla prima finestra di meteo accettabile. Decidiamo di andare in giornata e saliamo abbastanza veloci, a parte un mio volo a testa in giù senza gravi conseguenze, solo gran paura e qualche botta.
Dalla nicchia parto a sinistra, traverso, clessidra enorme, e via su per un esile fessura. Sono vicino ad Aspettando la pioggia, comincio a traversare deciso in placca per fare la sosta distante da quest'altra via. Arrivo ad una bella clessidra e mi faccio passare il trapano, oramai per l'abitudine di fare soste altamente sicure anche per il futuro (fino a qui abbiamo spittato solo due soste). Arriva il trapano, ma non funziona. La batteria cinese del mio Bosch ha deciso di dare forfait. Sorrido dopo qualche bestemmia, guardo Bubba e gli dico che le regole del gioco sono cambiate. Ora il proseguire si fa più ingaggioso e incerto.
L'etica si affranca così, decisa dalla tecnologia non funzionate. Torniamo ai primordi del solo potente gomito martellante. In caso, pensiamo, se non riusciremo a fare delle soste sicure, lasceremo qualche friend per le soste di calata e torneremo a piantare gli spit.
Thomas parte nel tiro seguente e, come piace a lui, apre un bel tiro psicologico tra fessure e placche fino alla base dell'evidente fessura finale. Qui rimane un bel po’, cercando di fare una sosta ma friend e chiodi non entrano abbastanza per una sosta robusta. Una ventina di minuti dopo trova una clessidra enorme. L'avrebbe trovata se avessimo avuto il veloce trapano funzionante?
Fortunatamente tocca a me salire la fessura, bella atletica, divertente e proteggibile. Segue poi un ultimo diedro-fessura classico che porta in cima Thomas. Insieme per la seconda volta raggiungiamo una delle cime della Marmolada, seguendo una nostra linea, una nostra evoluzione personale.
- Nicolò Geremia, Limana, Belluno
Geremia ringrazia: Karpos, Wild Country e Linea Verticale Feltre