Luka Lindič e Luka Krajnc, nuova via sull'Aguja Saint-Exupéry in Patagonia

Intervista agli alpinisti sloveni Luka Lindič e Luka Krajnc dopo la loro prima salita lo scorso febbraio di Mir, una nuova via d’arrampicata sull' Aguja Saint-Exupéry in Patagonia.
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Luka Krajnc e Luka Lindič in cima a Aguja Saint-Exupéry in Patagonia dopo la prima salita di Mir sulla parete sud della montagna
Luka Krajnc

Verso la fine di febbraio 2020 gli alpinisti sloveni Luka Krajnc e Luka Lindič hanno aperto una nuova difficile via sulla sud dell'Aguja Saint-Exupéry, nel massiccio del Fitz Roy in Patagonia. La linea segue inizialmente un tentativo, datato 1994, effettuato dagli argentini Marcelo Galghera e Horacio Gratton, poi affronta 500 metri di terreno vergine superando difficoltà fino al 6c/A3 prima di raggiungere la via Petit Prince e seguirla fino in vetta. I due, che insieme hanno salito molte delle vie più difficili delle Alpi, sono riusciti al loro secondo tentativo e con due bivacchi in parete.

Luka e Luka: è da un po’ che non vi abbiamo visto arrampicare in cordata. In passato però avete fatto delle cose fantastiche insieme come Divine Providence e Rolling Stones, per nominarne solo due.
Lindič: Sì, con Luka abbiamo iniziato ad andare in montagna insieme a Celje, in Slovenia. All'inizio abbiamo "raccolto" numerose vie facili in Slovenia e abbiamo costruito una base solida. Dopo questo abbiamo unito le nostre forze per salire alcune delle nostre migliori vie sulle Alpi, ed è vero, siamo sempre stati una buona cordata. Entrambi abbiamo un'etica arrampicatoria e idee molto simili sullo stile di arrampicata che ci piace praticare. Credo che l'abbiamo dimostrato chiaramente con le due salite che avete citato. Oserei dire che Rolling Stones potrebbe essere ancora la salita di misto più difficile e continua delle Alpi, che tra l'altro non ha ancora visto una seconda salita totalmente in libera nel modo in cui l'abbiamo fatta noi.

In questa stagione avete deciso di unire le forze nel massiccio del Cerro Torre & del Fitz Roy
Krajnc: Abbiamo ancora dei progetti incompiuti lì.

Entrambi avete arrampicato lì in passato
Lindič: Era la mia quarta volta, per Luka Krajnc invece la terza. Luka ha già aperto tre nuove vie, sul Fitz Roy, El Mocho e Mojon Rojo, mentre fino ad ora avevo solo ripetuto alcune delle vie classiche, e ho anche trascorso una stagione invernale lì giù, principalmente sciando.

Gli sloveni hanno una lunga tradizione di vie difficili in Patagonia
Krajnc: Sì, è vero. Abbiamo ancora una buona reputazione soprattutto grazie a Silvo Karo, Janez Jeglič e Franček Knez. Hanno sicuramente salito alcune delle vie più grandi e serie nel massiccio. Hudičeva Zajeda sulla est del Fitz Roy, Peklenska Direttissima e Cara Sur sul Cerro Torre e Psycho Vertical sulla Torre Egger sono solo quattro vie che mi vengono subito in mente

Avete scelto di concentrare i vostri sforzi sulla Aguja Saint-Exupéry. Come mai questa montagna?
Lindič: Le condizioni per il nostro piano A non si sono mai presentate, quindi abbiamo iniziato a cercare un piano B. Qualcosa di ripido, relativamente sicuro e al riparo dal vento... la parete sud dell'Aguja Saint-Exupery sembrava un progetto intelligente e nella guida abbiamo letto di un tentativo che sembrava promettente. Abbiamo deciso di dare un’occhiata e da subito ci è piaciuta la parete e l’ambiente tranquillo ed appartato.

Il tentativo di cui parlate era stato effettuato nel 1994 dagli argentini Marcelo Galghera e Horacio Gratton. Cosa sapevate dei loro sforzi?
Krajnc: Da Rolando Garibotti abbiamo avuto le informazioni che il team aveva parlato di roccia brutta in alcune sezioni, ma niente di più.

Avete avuto bisogno di due tentativi per venirne a capo. Parlateci del primo tentativo.
Lindič: È andato bene nonostante le temperature relativamente fredde e un sacco di ghiaccio nelle fessure. Abbiamo scalato i primi sei tiri e abbiamo trovato alcuni spit del primo tentativo, poi abbiamo continuato per altre tre lunghezze prima di raggiungere un punto perfetto per bivaccare alla base di un evidente diedro. Lo stesso giorno abbiamo salito e fissato altri due tiri per essere più veloci il giorno successivo. La mattina successiva siamo risalti velocemente sulle corde fisse e abbiamo iniziato un lungo e ripido traverso nei grandi strapiombi. Il tempo era perfetto ma abbiamo raggiunto un punto in cui non volevamo impegnarci completamente. Avevamo soltanto una corda, pochi chiodi e un cordino da 5 mm. La linea sembrava fattibile con un po’ di fortuna, ma non c'era modo di saperlo. A causa del lungo traverso strapiombante sopra di noi sapevamo che una ritirata sarebbe stata troppo rischiosa con quel poco materiale rimasto, quindi siamo scesi. Non pensavamo di riprovare la via e abbiamo riportato tutto il materiale a El Chalten.

Invece siete tornati
Krajnc: Una volta in paese la via non ci ha dato pace e abbiamo iniziato a considerare un secondo tentativo. Abbiamo raccolto del materiale dagli altri alpinisti perché non avevamo portato abbastanza da casa. Rolando Garibotti e Thomas Huber ci hanno generosamente prestato tutto ciò di cui avevamo bisogno ed eravamo pronti per il secondo round. Portare più materiale è stato l'unico cambio di tattica. Avevamo soprattutto una corda in più per fissare il traverso strapiombante, fino a quando non saremmo riusciti a vedere se era possibile salirlo. Nel caso in cui non avesse funzionato, la corda fissa avrebbe facilitato la discesa.

Come sono andate le cose questa volta?
Lindič: A causa delle forti nevicate prima della nostra finestra di bel tempo abbiamo incontrato più neve sui primi tiri e più ghiaccio nelle fessure. Ma poiché conoscevamo già la via, siamo comunque riusciti a raggiungere il nostro punto più alto il primo giorno e abbiamo persino salito un tiro in più. Abbiamo usato la stessa tattica di prima, fisando la corda e tornando al comodo bivacco dopo il 9° tiro, come durante il primo tentativo.

Quanto avete scalato in libera?
Krajnc: per via della neve fresca e molte sezioni bagnate non ci siamo concentrati sull'arrampicata libera. Sapendo che il punto chiave era ancora davanti a noi abbiamo deciso di salire nel modo più efficiente e sicuro possibile. Ma la linea segue una serie di fessure, la maggior parte delle quali riteniamo sarebbero fattibili in libera se asciutte. Anche la parte strapiombante supera sezioni che probabilmente potrebbero essere salite in libera, probabilmente non più difficili di 8a. Dopo aver raggiunto la via Petit Prince, c'è un breve diedro di A2 che non siamo sicuri si riesca a salire in libera. Quello che è certo però e che una volta che inizi a salire in artificiale, la prospettiva cambia totalmente e mentalmente è difficile tornare all'arrampicata in libera. Forse qualcun'altro lo scoprirà e rimuoverà dal grado quel punto interrogativo.

A3. Non proprio banale, là fuori su quelle montagne ...
Lindič: Non siamo mai stati grandi esperti dell’arrampicata artificiale, abbiamo impiegato 4 ore per superare quel tiro. Il fatto che sia davvero strapiombante e che la parte superiore fosse piena d'acqua non ha contribuito ad accelerare i nostri progressi. È iniziato con dei buoni ganci, poi abbiamo continuato principalmente con chiodi e friends. Ma in generale il tiro è relativamente sicuro e nel caso di caduta, voli comunque per aria.

Se doveste rifarlo, cambiereste qualcosa?
Krajnc: Non molto, poiché pensiamo che la nostra tattica fosse davvero buona e che avessimo azzeccato anche l'attrezzatura giusta. Probabilmente non prenderei quella corda in più per fissare il traverso, adesso che sappiamo che è possibile, ma quando ti muovi su terreno sconosciuto e così strapiombante, hai molte domande nella testa che devono trovare delle risposte. È proprio questo il pizzico di avventura che stavamo cercando, e che ci ha dato la motivazione di cercare delle risposte.

Mir. Vuol dire pace in Sloveno. Come mai questo nome?
Lindič: Innanzitutto perché la via non ci ha dato nessuna tranquillità dopo il primo tentativo. Abbiamo intuito che poteva esserci una via d'uscita, ma entrambi eravamo concordi sul fatto che non eravamo disposti ad accettare il rischio di impegnarci con quel poco materiale che avevamo. Salendo invece per il secondo tentativo sapevamo che nulla poteva essere dato per scontato e che saremmo potuti tornare a casa senza nemmeno una cima. Tuttavia eravamo d'accordo sul fatto che la linea ci stava dando la spinta giusta per impegnarci al massimo, e per godere il momento, indipendentemente dal risultato. In secondo luogo, durante la nostra permanenza in Patagonia abbiamo visto molte persone provare le stesse vie o le stesse pareti, e questo non era l'esperienza che volevamo avere. Essere da soli su un terreno selvaggio è ancora la sensazione migliore e più pura che cerchiamo quando ci leghiamo insieme per andare in montagna.




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