L'imperdibile viaggio al Bhagirathi IV della spedizione di Della Bordella, Schiera e De Zaiacomo

La spedizione dei Ragni di Lecco (composta da Matteo Della Bordella, Luca Schiera, Matteo De Zaiacomo) all'inviolata, difficile ed ambita parete Ovest del Bhagirathi IV (6193m, Garhwal, Himalaya indiano) raccontata dalla videomaker e alpinista Arianna Colliard. Uno sguardo diverso su un'esperienza che va ben oltre il risultato di un bel tentativo, finito a soli 200m dalla cima, su uno dei più interessanti problemi alpinistici himalayani. Da leggere!
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Luca Schiera, Matteo Della Bordella e Matteo De Zaiacomo davanti ai Bhagirathi nel 2015
Arianna Colliard
Da dove si inizi il racconto di una spedizione, io proprio non lo so. Ma la spedizione di certo inizia molto prima di quello che si racconta. Inizia quando qualcuno lancia un'idea, o si ricorda di una foto o di un commento, quando si forma un gruppo con lo stesso intento... inizia da un'accurata divisione di compiti, da una serie di incontri e allenamenti, da preparativi estenuanti. Solo dopo, parecchio dopo, inizia la trasferta. O per vari motivi, come nel mio caso, si parte prima degli altri e poi si aspetta.

E così, il 16 agosto verso mezzanotte, si aprono le porte della caotica area arrivi dell'aeroporto di Delhi: bidoni blu, sacconi gialli, magliette sgargianti e tre visi pallidi un po' assonnati si distinguono in mezzo ad una distesa di gente... Eccoli, finalmente! L'espressione di Teo (Matteo Della Bordella ndr), Giga (Matteo De Zaiacomo ndr) e Luchino (Luca Schiera ndr) all'impatto con il Delhirio della capitale, si sapeva, valeva pienamente l'attesa. "Ma c'è il riscaldamento acceso qua fuori?". No. "Ma è proprio così? Veramente??". Sì. (Ed è pure notte). La fase di acclimatamento al caldo torrido e all'umidità sconcertante di una metropoli nel pieno della pianura indiana e dell'estate, nessuno l'aveva considerata. Caos, clacson, gente. Tanta, tantissima gente. E mucche, cani, odori, colori, sudori, arie condizionate, cibo piccante, bevande ghiacciate... "Scappiamo!".

La reazione generale, mio malgrado (temo più il freddo del caldo e ormai qui sono temprata...) ci spinge ad accellerare i tempi per arrivare in montagna il prima possibile. Non c'è obiezione, o eventuale monsone, che tenga. Mi chiedo tra quanto, come, e soprattutto, in quali condizioni, mi troverò a ripassare di qua al ritorno... Eppure, si sa, il bello sta anche nel gusto dell'incognito. Ad ogni modo, infilati nel mezzo di una stretta valle, dopo due giorni di strade sconnesse, tortuose, dissestate, e una breve tappa ad Uttarkashi, raggiungiamo Gangotri; forse (per gli altri) il posto più bello del mondo, a questo punto. O dell'India, date le premesse... nonostante piova, non ci sia quasi nessuno in giro (non doveva essere turistica?), i sadhu cerchino di rifilarti qualsiasi cosa e il cibo sia peggio del solito (il luogo è sacro e, nel rispetto di tutte le religioni indiane, pur facendo uso di ingenti quantità di chilli e di masala, qui non sono ammessi nè aglio nè cipolla... oltre alla maggior parte delle proteine animali).

Questa volta, quindi, sono io che non vedo l'ora di muovermi. Sento un'atmosfera da posto sacro d'oriente ormai profanato dall'occidente, dove se sei chiaro sei di passaggio, sei interessato più a comprare che a capire... più a cercare i souvenir che a osservare i riti hindù. Involontariamente però, Luca, Giga e Teo riescono subito a dare un'impressione diversa. La mezza giornata a Gangotri è riorganizzazione e relax, curiosità di capire come funzionano le cose, cosa si può trovare (non la doccia calda), cosa si può fare... Provare a comunicare. Senza la minima intenzione di aggiungere grammi ai quintali di bagagli che già abbiamo con noi. Ci cade l'occhio su un vero barattolo di Nutella, di certo scaduto e impolverato, forse ormai cristallizzato. Ora no, ci diciamo, è ancora presto... ma verrà probabilmente il suo momento.

I due giorni di trekking per raggiungere il campo base, con mia sorpresa, non si rivelano particolarmente impegnativi. Primo, perchè il cielo è minaccioso, ma non piove fino a quando arriviamo a destinazione... E secondo, perchè i 30 portatori arruolati per i 25 km del nostro percorso, ci alleggeriscono notevolemente le spalle da eventuali sovraccarichi. Certo a scapito delle loro teste, mi verrebbe da pensare, dato che qui per trasportare enormi pesi, utilizzano la fronte anzichè la schiena... Però il sistema sembra funzionare (anche i meno giovani sono diritti come pali), varrebbe la pena provare!

I primi giorni scorrono veloci: si organizza il campo, si sistemano i materiali, si fa il punto della situazione, si valutano le condizioni. Si cerca di capire quando e come lavarsi (io), quanto ci vuole ad acclimatarsi (Teo), come fare a guarire la terribile faringite di Giga (Luca), e come evitare di prendersela la prossima volta (Giga). Nel giro di poco (tra l'invenzione di un inedito gioco di carte e la creazione di nuove regole per un diverso baseball...), la routine si assesta, la gola s'aggiusta, buona parte del materiale è al campo avanzato e qualcosa, addirittura, già alla base della parete.

Per arrivare da un campo all'altro ci vogliono circa 3/4 ore, a seconda di quanto peso abbiamo sulle spalle (col nostro stile obsoleto), e il percorso non è durissimo, anche se a tratti decisamente ripido. La location però, ripaga di tutto il fiatone: una terrazza sotto agli imponenti Bhagirathi (il II, il IV e il III), con splendida vista sullo Shivling e, in parte, sul Meru Peak. C'è anche un grottone naturale che diventa il bivacco di Luca e Giga. Non li invidio per niente, ma ho motivo di pensare che abbiano patito meno il freddo di noi, tutto sommato. Le notti infatti sono lunghe e gelide; sempre più lunghe, sempre più gelide, soprattutto al campo avanzato, dove la mattina il sole (quando c'è) arriva tra le 10 e le 10.30...

Considerando che per attaccare la parete i ragazzi partono alle 5 e io mi sveglio con loro alle 4.15, mi tocca passare un bel po' di ore in tenda, da sola, ad aspettare e congelare. O in alternativa, a star fuori e tremare per fare qualche ripresa o fotografare. C'è di buono che la maggior parte delle volte, quando verso mezzogiorno, recuperata la sensibilità di mani e piedi, mi appresto a tornare al campo base, intravvedo Jamir (il nostro ufficiale di collegamento) e Dinesh (il cuoco) intenti a raggiungermi, curiosi di vedere come funziona questa cosa dell'apertura di una nuova via su un'impressionante parete ancora inviolata.... Mi portano anche dell'ottimo pane alla patata (Aloo Parantha), non piccante, come pranzo al sacco, ritenendo che le nostre barrette e la nostra polenta istantanea non possano considerarsi degne fonti di nutrimento. Concordo!

Questo iter si ripete soprattutto nei giorni in cui sono in corso i tentativi in parete... Tre in tutto. Nei primi due, agli inizi di settembre, vediamo i nostri eroi rientrare al campo base poco dopo averli salutati sul Bhagirathi IV... E certo non è un buon segno. La prima volta, a loro dire, sono stati respinti perchè il sistema di fessure che avevano individuato non era continuo come sembrava, e senza spit, trapano e affini (come da loro intenzioni), non sarebbero riusciti a passare nella placca strapiombante che pareva attenderli poco più in alto...

La seconda volta la linea sembra esserci, ma sono le condizioni meteo a venire meno. In effetti metre li guardo scalare, scendendo dal campo avanzato sotto una leggera nevicata, vedo anche loro ormai avvolti dalla nebbia... E questo può significare solo una cosa: calcoliamo più riso e lenticchie per cena.

Non c'è due senza tre, il numero perfetto. Chi la dura la vince, chi non risica non rosica, rosso di sera bel tempo si spera. Questa volta i presupposti ci sono tutti! Metà settembre. Solito schema, rinnovata motivazione. Le temperature si sono abbassate vertiginosamente nell'ultima settimana, ma mentre scendo dal campo avanzato splende il sole. Allora aspetto un giorno, col fiato sospeso: il tempo tiene, non si vede nessuno all'orizzonte... Buon segno!

Ormai l'alba è scandalosamente tardi, il tramonto decisamente presto, e ho quasi finito tutti i libri, compresi quelli degli altri. Manca solo Così parlò Zarathustra, che ha portato Giga e che credo rimarrà lì, sul bidone che funge da biblioteca, intonso. Devo pure centellinare le batterie di camera e videocamera, meno sole vuol dire anche meno energia... E più ore di inattività. Le scorte di cibo si sono ormai decimate: siamo passati ai ceci speziati per colazione, che non sono così male, ma temo la fase successiva. Anche il ruscello ha poca acqua, fa più freddo e in quota scioglie meno, quindi lavarsi è ardua impresa e fare il bucato non è da prendere in considerazione.

Detto questo, è comprensibile il mio entusiasmo quando, binocolando dal punto panoramico più vicino al campo, mi rendo conto che in due giorni gli altri sono già a 200 metri dalla cima! Giusto sotto le prime striature nere di scisto, la grande incognita che, da lì, seduta su un masso con il binocolo in mano, non sembra possa essere un problema... Mentre invece lo è. In piena notte (o forse erano solo le nove, ma tant'è), qualcuno mi apre la tenda e a momenti mi viene un infarto; è Teo. Si sono calati, mi dice, lo scisto è un marciume strapiombante e improteggibile; hanno ancora alcune dita insensibili dal freddo e devono ripigliarsi un attimo, ragionare. Sono distrutti. Luca si è fermato a dormire nella grotta (allora è vero che è comoda!), ci raggiungerà domani.

La notte porta consiglio, ma anche tante nuvole e un cielo incerto. A breve ci sarà forse una finestrella di due giorni per tentare una salita fast and light senza portaledge, o magari sta per arrivare una mega perturbazione nevosa dalla quale è meglio scappare... Verso valle! Buona la seconda. Teo ha pure male all'inguine e teme un'ernia, ipotesi da porre al vaglio di un medico locale, se reperibile.

La discesa è infinita e bagnata, ma Gangotri finalmente è più popolata. Il telefono costa caro, non c'è internet, continua a piovere e le previsioni non promettono nulla di buono. E allora, che Nutella scaduta sia! Con i chapati, la morte sua. (E speriamo, non l'indigestione nostra...). Girovagando per il paese, tra un milk tea e un masala dosa, reperiamo poi informazioni poco chiare ma abbastanza concordi: a Nandanvan (il nostro campo base) e a Tapovan (quello dello Shivling), sta nevicando. Il medico dei sadhu sconsiglia a Matteo di non fare sforzi e di non portare sacconi pesanti (sulla schiena. Ma magari sulla testa...). Lui non ne è convinto, noi neanche, ma un quarto tentativo sul Bhagirathi IV nelle prossime settimane (prima dell'effettivo rientro), sembra comunque utopia.

Risultato: Teo ed io rientriamo, Luca e Giga restano. Io ho tre giorni per: risalire al campo base, raccattare più roba possibile e organizzarla per tre portatori, trovare i tre portatori, scendere dal campo base e arrivare a Uttarkashi. Ce la posso fare. Giga e Luca invece aspettano che passi il grosso della perturbazione per tornare a Nandanvan, tentare qualcos'altro, se possibile (sono motivati!), e recuperare il materiale dal campo avanzato.

Tutto come da programma: quando ripasso da Gangotri saluto gli altri, raggiungo Matteo e insieme scendiamo a Uttarkashi, capoluogo dello stato indiano dell'Uttarkhand. E' qui che scopro che il connubio birra (anche se poca) e pollo piccante, dopo parecchi andirivieni e un mese di alimentazione sana e salutare, per lo più in quota, può essere devastante. Il giorno dopo infatti, nel tragitto fino a Rishikesh, 6 ore di auto a manetta su una stradina in discesa solo curve, passo la mattinata peggiore di tutta la mia permanenza in India (in totale, dal 2007 ad oggi, circa 11 mesi). Nausea, vomito, mal di testa, sonno. Impossibilità a parlare, qualche difficoltà a respirare. Ecco, questa è l'unica parte che la prossima volta, nel caso decidessero di chiudere i conti con il Bhagirathi (non c'è due senza tre... Magari il quattro vien da sè!), mi risparmierò volentieri. Ed ecco quindi in quali condizioni, dopo 40 giorni, mi trovo a ripassare da Delhi.

Arrivati in Italia, dove credo si finisca il racconto di questa spedizione, scopriamo che anche Luca e Giga hanno anticipato il loro volo, ma sono poi riusciti a mettere i piedi in cima al Bhagirathi IV! Passando dalla normale, questa volta, cioè dalla parete Est, dato che il bello è durato pochissimo, la neve era tanta e un altro tentativo su roccia non sarebbe stato possibile. Grandi! Ringraziandoli per aver accettato di condividere con me questa meravigliosa esperienza, la cortesia, la fiducia e la santa pazienza, lascio loro un mio prezioso consiglio per un migliore rientro... Niente birra a Uttarkashi!! ;-)

Arianna Colliard

>>> Il report di Mateo Della Bordella sulla spedizione alla parete ovest del Bhagirathi IV



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