Dhaulagiri 2005: Ops... Abbiamo sbagliato cima.

24/04 settimo report dalla spedizione Dhaulagiri 2005: Nives Meroi, Romano Benet e Luca Vuerich hanno dovuto rinunciare a 40 metri di dislivello dalla cima per le condizioni dell'ultimo tratto della cresta. Fra tre giorni un nuovo tentativo.
Himalaya, Luca Vuerich, Nives Meroi, Romano Benet, Dhaulagiri

Una "quasi" vetta, una vetta sbagliata e un diario che rimbalza tra chi sta a casa, chi aspetta al campo base, chi è sulla montagna e chi, di quella montagna, quasi può toccare la cima ma non afferrarla. Storie dal Dhaulagiri di Nives Merroi, Romano Benet, Luca Vuerich, Leila Meroi, Inaki Ochoa e Mario Cedolin e tutti gli altri che sul "Dhaula" incrociano e condividono speranze, vite e passioni. Le emozioni arrivano in ordine sparso. Ve le riportiamo così come ci sono arrivate (portate dal vento?).


COMUNICAZIONI SATELLITARI, o delle distanze che avvicinano
di Manuel Lugli

Venerdi 6 maggio 2005.
Le voci dal campo base sono squillanti e decise: “Tutto bene, stiamo tutti bene. Siamo scesi ieri al campo base senza problemi. A parte il fatto che abbiamo sbagliato cima…” Resto un attimo perplesso: o la carenza di ossigeno comincia a fare i suoi effetti o mi stanno prendendo in giro. Sento una gran risata all’altro capo del telefono satellitare e prima ancora che possa chiedere spiegazioni, Romano Benet racconta.
“Siamo saliti io, Nives e Luca fino all’inizio del traverso e ci siamo resi conto che il pendio era estremamente carico e pericolosissimo da attraversare. Qui purtroppo nevica tutti i giorni ed i pendii non riescono a scaricare.

Abbiamo allora deciso di salire più alti per cercare un itinerario meno rischioso. Purtroppo a 40 metri di dislivello dalla cima, forse cento metri in linea d’aria, la cresta che stavamo percorrendo si è fatta impraticabile. Assolutamente non percorribile. A quel punto non ci è restato che scendere. ”Ritorno istantaneamente con la mente al K2 nord del 1994, quando la via, parzialmente nuova, finiva a 150 metri dalla vetta. Un’altra beffa, Sono allibito. Ma loro sono tranquilli, ridono e, senza scomporsi, Nives mi dice: “Riposiamo tre giorni e poi ritentiamo. Cosa dobbiamo fare ? Non possiamo che riderci sopra e rimboccarci le maniche. Abbiamo ancora tempo davanti, prima di volare all’Annapurna. Speriamo solo che il clima ci dia una mano.” Questi sono gli alpinisti friulani: quando il gioco si fa duro…

Anche il resto del team ha lavorato sodo. Giuliani, Alloi, Cedolin e Gricar sono saliti fino a 7.300 metri per portare ancora un po’ di cibo per il loro tentativo finale. Stanno bene e sono anch’essi determinati a raggiungere la cima nei prossimi giorni. Inaki Ochoa ha fatto la sua “maratona” salendo per tutta la notte dal campo base fino a 8.000 metri in una sola “tirata”, per arrestarsi davanti alle condizioni proibitive della neve. E’ provato, ma in ripresa. Le stesse condizioni hanno costretto a ripiegare da quota 7.850 metri anche Ivan Vallejo e Christian Stangl. L’unico ancora sulla montagna è Peter Guggemos, che assieme al suo sherpa sta salendo verso il campo 3 per attendere condizioni migliori. Insomma un incrocio di dita internazionale.

Un'altra telefonata da Davide, il nostro uomo che è al base dell’Annapurna a preparare il campo per Nives e compagni, ci consente di parlare con Gnaro Mondinelli. Anche lì il tempo non è certo favorevole: tantissima neve e molta fatica a salire. Comunque tutto è pronto per la salita e domenica, se il tempo è accettabile, anche per loro ci sarà un nuovo tentativo.

di Manuel Lugli


Himalaya, Luca Vuerich, Nives Meroi, Romano Benet, Dhaulagiri


“OPS... ABBIAMO SBAGLIATO CIMA…”
di Nives Meroi

7 maggio – campo base.
Tutto è iniziato il 3 maggio, quando alle sei di mattina siamo partiti dal campo base alla volta del nostro campo uno, a quota 6300 metri circa. Il tempo era discreto; nel primo pomeriggio abbiamo raggiunto la nostra tenda e ci siamo preparti per la notte.

La mattina successiva abbiamo aspettato che arrivasse il sole per far asciugare un po’ la tenda ed i sacchi pelo; poi ci siamo preparati, caricato gli zaini e siamo partiti.
Verso le tre del pomeriggio, arrivati a 7300 metri, abbiamo deciso di fermarci per la notte. Dopo la fatica della giornata: le molte ore di cammino e gli zaini carichi sulle spalle, riuscire a ricavare una spiazzo nel pendio di ghiaccio e neve ci ha richiesto un ulteriore sforzo. Dopo oltre un’ora di lavoro siamo riusciti a montare la tenda e ad infilarci dentro per poter finalmente stenderci un po’ e sciogliere la neve per bere qualcosa.

Al caldo, dentro la nostra piccola tenda, fra una “Nalgene” di the e una di limonata abbiamo “fatto i compiti”: i test per l’Università e quelli per Leila. Evitiamo di guardare lo strumento che misura la percentuale di ossigeno nel sangue per non demoralizzarci, mentre a vicenda ci sottoponiamo a test del tipo: sottrai 7 dal numero 100, e vai avanti così finchè ti dico stop. Un compito difficilissimo per una come me, che certi conti non riesce a farli neanche livello del mare.

Dopo qualche ora di riposo, a mezzanotte ci svegliamo e iniziamo l’estenuante lavoro della “vestizione”. Prepararsi in tre, nei due metri quadri scarsi di tenda, non è mai impresa facile: cercare di bere e mangiare qualcosa, vestirsi, scaldare gli scarponi sul fornello per riuscire ad infilarli. All’una e mezza riusciamo a saltar fuori e partiamo alla luce delle lampade frontali.
Saliamo divisi, ciascuno avvolto dal bagliore della sua lampada. Soli.
Sotto di noi un mare di nuvole, attraverso il quale intravvediamo il bagliore dei fulmini di un temporale che si sta scaricando sotto. Continuiamo a salire. Vedo la frontale di Romano che procede ad un paio di centinaia di metri davanti a me, a metà strada c’è Luca, per ultima io. La neve è fonda e pericolosa, sotto i miei piedi avverto le vibrazioni dei passi di Luca. L’equilibrio di tutto il pendio, enorme, sembra appeso a un filo e sotto, un salto nel vuoto di oltre 3000 metri.

Finalmente si fa giorno; è una bella sensazione potersi guardare intorno, anche se il freddo della notte ancora non mi fa sentire i piedi e le mani. Il pendio continua ad impennarsi, a fatica annaspiamo nella neve inconsistente seguendo le tracce della spedizione coreana che ieri era quassù. Ho sorpassato Luca; Romano mi aspetta sulla cresta, tiro fuori le ultime energie: spero proprio di essere arrivata. E invece: le tracce coreane si interrompono, ma la cresta prosegue… E così tocca andare avanti. Saliamo ancora un centinaio di metri, lungo la cresta di roccia e neve, fino ad una cima, dove qualcuno ha piantato un paletto d’alluminio. Facciamo le foto, le riprese con la videocamera e poi via, per abbassarci il più possibile, per scappare al più presto da questi luoghi, in cui la vita è interrotta, sospesa.
Scendiamo quasi col fiato sospeso, lungo i pendii che sembrano vibrare ancora di più ad ogni passo.

Lungo la strada incrociamo Inaki Ochoa, nostro compagno di spedizione, che era partito dal campo base ieri sera, per tentare una salita non-stop. E’ bello non essere soli quassù, gli raccontiamo della nostra salita e lui, inesorabile, dice:”Ma quella non è la cima. La vera è “due cime più in là”, uno spuntone più alto di circa 30 metri.”.
Siamo senza parole, tornare su è impensabile.
Decidiamo di scendere tutti insieme, non ci resta che tornare al base, attendere una nuova finestra di bel tempo e poi cercare di tornare su fino alla cima, quella vera ‘sta volta!

Nel primo pomeriggio siamo nuovamente alla tenda, dove troviamo gli altri nostri compagni: Mario, Cesare, Roberto e Klemen che stanno salendo ad installare il campo 3.
Depositato il materiale, loro vogliono tornare al campo base, prendersi un po’ di riposo e poi fare il loro tentativo alla cima. E’ ancora presto, abbiamo abbastanza ore di luce: decidiamo di scendere anche noi fino giù, al base.

Himalaya, Luca Vuerich, Nives Meroi, Romano Benet, Dhaulagiri

LUCA VUERICH
30 secondi di brivido nell’acqua fredda, 30 secondi nell’acqua calda... è così che ho cominciato il mio secondo giorno di riposo al CB dopo l’avventura del Dhaulagiri. Ho i piedi congelati e il solo pensiero di dover affrontare nuovamente la parete mi demoralizza.
Tre giorni di fatica non si smaltiscono tanto facilmente, soprattutto quando il freddo ha contribuito a rendere tutto più difficile. Mancava veramente poco: una manciata di metri e saremmo stati in cima. Purtroppo però la nostra strada non era quella giusta. Un bastone metallico era il segno che forse quella era la vetta, ma a volte anche i segni più evidenti nascondono l’inganno.
Ora dovremo attendere qualche giorno per riprendere le forze (e la sensibilità ai piedi per quel che riguarda me) e sperare che il tempo giochi a nostro favore, permettendoci di afferrare quegli ultimi trenta metri che ci separano dalla certezza di essere arrivati finalmente in cima, quella giusta ‘stavolta.

LEILA MEROI (03.05.05)
Finalmente il grande giorno: oggi i ragazzi partiranno per il primo effettivo tentativo alla cima.
Sveglia all’alba, come sempre; colazione veloce, i soliti saluti, un “giro” di Puja e poi via…li vedo sparire avvolti dalla nebbia. Sì perché qui ogni mattina l’umidità dalla foresta sottostante sale rapida e inesorabile, riempiendo nel giro di poco tutta la valle di un latte denso, impenetrabile. Ogni figura si tinge di un bianco irreale. Li vedo sparire uno alla volta e a me non rimane che aspettare.
Inaki ci ha gentilmente prestato due walkie-talkie, in modo tale da rimanere in contatto durante tutta la salita. Appuntamento ogni giorno dalle 10 alle 12 e dalle 18 alle 20…il resto è silenzio ed attesa.
Torno alla tenda e mi dedico ai test per l’Università. Controllo i valori raccolti in questi giorni e cerco di trovarne il filo conduttore. Più li scruto più mi rendo conto di quanto Nives, Romano e Luca siano delle “pessime” cavie: sembra che per loro la quota non esista e che la fatica sia un accessorio di cui ci si possa facilmente sbarazzare dopo qualche passo di riscaldamento.
Sono contenta perché stanno tutti bene e per il momento anche il tempo sembra reggere.
La giornata passa veloce ed è ormai ora di cena.
Oggi è il mio compleanno; mi spiace che Nives e gli altri non siano qui con me, ma nello stesso tempo spero che questa data possa portar loro fortuna. I ragazzi della cucina mi hanno preparato un ottimo budino alla fragola; mangiamo tutti insieme, quattro chiacchere in allegria e a nanna presto.
Domani mattina, naso alla parete e orecchio alla radio, trascorreremo il tempo appesi ad un filo.
Forza ragazzi!

05.05.05
Questa mattina sveglia all’alba: Luca mi ha chiamata da 7700 mt dicendomi di affacciarmi alla tenda e guardare in su. Mi precipito fuori e, “imbracciato” il binocolo, punto lo sguardo verso il nevaio posto sulla sommità del Dhaula. Eccoli! Corro dai kitchen boy e faccio vedere anche a loro.
Questo significa che ormai i ragazzi sono in prossimità della vetta e che finalmente manca poco al loro ritorno. Chiamo Luca nella speranza di poter avere qualche notizia in più, ma si vede che il posto in cui sono non è raggiungibile e devo rassegnarmi all’idea di dover aspettare ancora.
Ieri pomeriggio la notizia che i coreani hanno conquistato la cima, ora tocca a noi.

h.10:30
Nuovo contatto radio con Luca. “Torniamo giù”, mi dice con una voce tra il serio e lo stanco. Io non capisco. Domando se sono o meno arrivati in cima e se stanno tutti bene.
“Tutto bene, - risponde lui – siamo arrivati in cima, ma a quanto pare non è quella giusta.”
Ma ci sarà un segno, domando agitata, qualcosa che indichi la sommità di questo enorme panettone? Luca risponde che in vetta hanno trovato un palo di alluminio, quello che probabilmente molti alpinisti hanno considerato come il vertice della salita. Erano sulla cresta sì, ma di certo la salita non era finita: continuava per una trentina di metri, minacciando gli incauti con la sua aria pericolosa.
E le tracce dei coreani? Hanno detto di essere arrivati in cima, significherà qualcosa se le hanno incontrate sul loro cammino!
Le tracce dei coreani finiscono 400 metri prima… pare che questa montagna abbia più di una vetta.
Verso sera quasi tutto il gruppo fa rientro al CB. Sono stanchi, bruciacchiati e fortemente disidratati. I ragazzi della cucina vanno loro incontro offrendogli del succo caldo. Io li raggiungo e subito prendo le misure per l’Università. Hanno le pulsazioni alte ma l’ossigenazione e buona.
Stanno tutti bene, ma la loro testa è ancora lassù, su quella vetta vista ma non conquistata. Potrebbero considerarsi già arrivati (in fondo chissà quanti alpinisti hanno dichiarato di aver conquistato la vetta “del palo”), ma la loro coscienza di persona e di professionisti impone il silenzio.
Qualche giorno al CB, un po’ di riposo e poi su di nuovo…sarebbe la seconda volta gli 8000 mt del Dhaulagiri. Inshallà, siamo tutti con voi!

di Leila Meroi


LOCOMOTORI SOLITARI (05.05.05)
di Mario Cedolin
“La cresta infinita”
Indispensabile tachicardia costringe cuori in tumulto.
Locomotori solitari (caldaie in pressione) arrancano sul binario di nylon.
Inteminabile prospettiva che deborda oltre la cresta.
Purgatorio dantesco per scelta.
Sfida? Gloria? Curiosità? Limite personale?
La ragione mutua l’istinto del conoscere;
esso alberga oltre le Colonne d’Ercole.


sito ufficiale spedizione Dhaulagiri 2005
diario spedizione Dhaulagiri 2005
presentazione spedizione
1° report - Viaggiando nel tempo sospeso
2° report - tra incontri con i "ribelli maoisti" e la lentezza
3° report - smentire i pregiudizi
4° report - smentire i pregiudizi
5° report - rientro alla base per i trekkers
6° report - rientro alla base per i trekkers
archivio
portfolio Luca Vuerich
Nodo infinito
news Meroi, Benet, Vuerich


Dall'alto: Dhaulagiri; anticima 8115m. (Foto archivio Luca Vuerich).


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