Il fuoco dell'anima di Andrea di Bari e Luisa Mandrino

Il fuoco dell’anima di Andrea di Bari e Luisa Mandrino (Corbaccio Edizioni): dalla borgata romana anni '60 all'arrampicata, la storia di un ragazzo che è riuscito a realizzare il sogno della sua vita. Recensione di Francesca Colesanti.
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Il fuoco dell’anima di Andrea di Bari e Luisa Mandrino (Corbaccio Edizioni)
Corbaccio Edizioni

Fin dalle prime righe questo libro ci immerge in un’atmosfera tutta particolare, che non è l’aria rarefatta dell’alta quota, bensì la polvere pesante della borgata romana anni Sessanta. Ma questa polvere a poco a poco si dissolve per lasciare spazio ai sogni di un ragazzo, che li persegue con tenacia e una buona dose di disincanto: “Una cosa ci tengo a dire: l’essenza di questo libro è che un adolescente di 14 anni è riuscito alla fine a realizzare il sogno della sua vita”.

Questo è Andrea di Bari: senza cedere alla prospettiva di una brillante carriera da rappresentante di semipreziosi, Andrea arrampica, arrampica e arrampica ancora. Con gli amici. Alcuni dei quali lo accompagnano dall’infanzia sui campi di pallone dell’oratorio fino alle pareti calcaree del Gran Sasso, poi sulle rocce assolate di Sperlonga fino alla scoperta di Ferentillo e dell’eldorado di Kalymnos. Andrea diventa uno dei più forti climber italiani negli anni Ottanta, per poi ritirarsi nella sua patria d’adozione, l’Umbria, e dedicarsi anche all’attività di sceneggiatore.

Fuoco dell’Anima racconta la prima parte del suo percorso di vita, dal ’75 alla fine degli anni ’90, quando Andrea, fra un 7c+ al Moneta e una solitaria al Gran Sasso, scopre l’amore, la rivalità, gli incidenti, ma anche Mozart e la psicoanalisi. Partecipa alle prime competizioni internazionali, conosce e scala con tutti i big dell’epoca Mariacher, Iovane, Glowacz, Destivelle, Edlinger. Ospita Berhault a Roma (“che dorme nel mio letto, sotto i poster che lo ritraevano!”) e lo porta a scoprire la palestra de ‘noantri, la Cava di Ciampino.

Sfida i pregiudizi e gli sguardi altezzosi della vecchia guardia del Cai romano e ottiene le prime sponsorizzazioni, “si sforza di rimanere con i piedi per terra” (sic!) quando, dopo anni di duro impegno, riesce finalmente ad approdare al professionismo: “l’alternativa, in caso di fallimento, era tornare in cantiere”. Racconti, aneddoti, dialoghi, brividi si susseguono a ritmo veloce, corredati da una buona dose di fotografe d’epoca. Peccato davvero troppe poche.

Recensione di Francesca Colesanti

Pubblicato su Il Manifesto In Movimento marzo 2017

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