Patrouille des Glaciers 2012, i vincitori e l'avventura della gara dimezzata

Lorenzo Scandroglio racconta l'edizione 2012 del Patrouille des Glaciers, la mitica gara di sci alpinismo da Zermatt a Verbier che a causa delle condizioni instabili è stata fermata a Arolla.
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La partenza a Zermatt
Patrouille des Glaciers
Una “PDG dimezzata”, come il Visconte di Calvino, è questo il titolo che riassume la cronaca sportiva della grande classica svizzera di ski alp che si è tenuta in questi giorni. La gara dura e vera, nel ginepraio di formule, categorie, opzioni di percorso, quella con la top class dello scialpinismo globale che da Zermatt doveva raggiungere Verbier passando da Arolla, è stata fermata in quest’ultima località, nel bel mezzo del percorso a causa di una valanga caduta sul tracciato nella notte (si dice attorno alle 4:30) subito dopo il Col de Riedmatten, poco prima che passassero i concorrenti. Naturalmente la versione ufficiale dell’esercito svizzero parla di “interruzione a causa delle condizioni instabili della neve che hanno reso impossibile lo svolgimento regolare della manifestazione” ma chi era in gara ha raccolto le informazioni prima della loro edulcorata versione ufficiale. La classifica è stata stilata sulla base delle posizioni acquisite ad Arolla, ma è evidente che il podio di questa PDG non sarà ricordato come gli altri, per quanto ne dicano i comunicati ufficiali.

Certo, la montagna non consente di programmare le cose con largo anticipo, anzi. Spesso in quota occorre sapersi adattare ai cambiamenti in corso d’opera, altrimenti si lasci perdere l’alpinismo con gli sci e si pratichi uno sport “indoor”... Questa volta però che le condizioni non fossero particolarmente favorevoli allo svolgimento della gara era appurato fin da prima che partisse. Ma poi come se la sarebbe cavata l’organizzazione con le richieste di rimborso che sarebbero fioccate da tutte le parti alla modica cifra di 1200 franchi a cordata?

La vittoria maschile è andata al team franco – spagnolo “BomBlaJo” di William Bon Mardion – Mathéo Jacquemoud – Kilian Jornet Burgada (2h:54’:36”) davanti a quello rossocrociato delle “Gardes-frontière / SAC Swiss Team” di Florent Troillet – Martin Anthametten – Yannick Ecoeur (2h:56’:02”) e alla cordata transalpina “Morzine – Châtel FFME” di Alexis Sévennec – Valentin Favre – Yannick Buffet (3h.04’:39”). In ambito femminile vince la cordata internazionale “Les Enfants du Sourire” delle fuoriclasse Mireia Mirò – Laetitia Roux – Séverine Pont Combe (3h:31’:35”), seguita dalle due squadre elvetiche “SAC-CAS Swiss Team 1” di Nathalie Etzensperger, Marie Troillet Emilie Gex-Fabri (3h:53’:36”) e “Team Yosemite” di Chantal Daucourt – Simone Delamorclaz – Sabine Gentieu (4h:18’:35”). Svizzeri beffati dunque, dopo che nel 2010 stravinsero sia fra gli uomini che fra le donne.

Ma procediamo con ordine. Intanto ricordiamolo, la Patrouille des Glaciers (quasi 5000 concorrenti in cordate da 3) non presenta un’unica partenza in linea ma tante. Quest’anno da mercoledì 25 a venerdì 27 aprile, sempre la sera fino a notte fonda, così da permettere agli scialpinisti di attraversare le zone più pericolose nelle ore fredde, quando il manto nevoso in teoria è più stabile. Due sono le opzioni previste per al PDG, la lunga (da Zermatt a Verbier, 4000 metri di dislivello positivo per 53 chilometri di sviluppo) e la cosiddetta “pétit Patrouille” (da Arolla, 1900 metri di dislivello positivo per 27 chilometri).

Quest’anno le pattuglie partite mercoledì da Zermatt sono state fermate prima del Col de la Tête Blanche e sono dovute tornare indietro a causa della bufera con vento ben oltre i 100 km/h e la visibilità pressoché nulla. Mentre quelle partite da Arolla, sempre mercoledì, sono andate a buon fine. Quanto alla versione “hard” di venerdì 27 aprile, con la ‘crème’ dello scialpinismo mondiale, ecco come sono andate le cose nel resoconto dall’interno di Lorenzo Scandroglio in gara per il Team Dynafit Italia.

Non era la mia prima PDG ma rifarla aiuta sempre a rinfrescare la memoria: la trafila per arrivare alla partenza di questa mitica gara è lunga e difficile come farla. I Valdostani prendono gli impianti a Cervinia e arrivano sci ai piedi sul versante elvetico del Cervino; gli altri raggiungono il Canton Vallese guidando per ore fino a Täsch, ultimo paese della valle dove è possibile accedere in auto, parcheggiano e prendono il trenino per Zermatt alla modica cifra di euro 18. Qui comincia l’avventura. Prima di tutto il controllo materiali: ore di coda e un check minuzioso che va dalla verifica della presenza della piccozza, della luce frontale, del telo termico, della pala, della sonda fino alla misura della corda. In mezzo a tutto questo (fin qui siamo nella norma) ogni cordata deve possedere anche una bussola tradizionale, e non di quelle incorporate nell’orologio. Di principio tutto ha un senso, vuoi per il terreno su cui ci si va ad impegnare, vuoi perché in certe situazioni non si sa mai, meglio avere una certa autosufficienza e non pensare si avere sempre chi viene a tirarti fuori dai pasticci. Peccato però che molti alleggeriscano lo zainetto prima di partire e, chissà come, riescono ad averlo nuovamente completo prima del controllo finale. Misteri da chiarire per la credibilità di questo sport…

Fatto il controllo si va a dormire qualche ora per poi tornare in centro paese per la partenza. C’è chi si è ritrovato ad alloggiare a Täsch, ha dovuto riprendere il famigerato trenino (stavolta con il free pass) e ritornare con lo stesso un’ora prima del via bardato di tutto punto. Una via crucis insomma. Senza dimenticare il problemino tutt’altro che trascurabile del trasporto del mezzo: una fidanzata, un amico generoso, un incontro fortunato dell’ultimo minuto sono consigliabili per far sì che la vostra automobile da Zermatt si trasferisca come voi a Verbier. In alternativa si può prendere, la sera del sabato, un pulman-navetta che vi riporta, in un 3 ore di viaggio ai piedi del Matterhorn. Avete già assistito a tutto questo cinema e non siete ancora partiti.

Gli start cominciano alle 9 e proseguono tutte le ore fino alle 3 del mattino: poco meno di un centinaio di cordate da tre elementi ad ogni tornata. Quasi tutti con sci in spalla e scarponi agganciati agli assi, scarpe da tennis ai piedi, casco e luce frontale. Qualcuno ha scelto di partire già con gli scarponi ai piedi, ma deve aver pagato lo scotto di una camminata meno agile nel lungo tratto a piedi. In questo errore di valutazione sembra sia incappata anche la squadra azzurra femminile di Francesca Martinelli – Roberta Pedranzini – Gloriana Pellissier.

La nostra partenza era fissata per mezzanotte. Le partenze scaglionate con i più forti che partono sempre più tardi fanno sì che lungo il tracciato ci sia un interminabile cordone umano che, nella notte, assume le sembianze di un festone natalizio sull’albero di Natale. Ma questa volta di idilliaco c’era ben poco. Fino all’ultimo si vociferava di una possibile cancellazione della gara a causa del vento e del pericolo di valanghe. Poi però è stato dato il via. In quota erano annunciate raffiche oltre i 100 km/h. Il vento ha cominciato a farsi sentire con forza e, man mano con continuità, dopo la legatura degli scialpinisti, ovvero una volta sormontato il ghiacciaio. Da qui in poi, fino al Col de la Tête Blanche (3710 m), non sono mancate raffiche che spostavano o facevano cadere i concorrenti. Li si vedeva allargare i bastoncini e ancorarli nella neve, assumere posizioni di resistenza, fermarsi qualche secondo per poi ripartire. Abbiamo attraversato valanghe bonificate e solcate da tracce così strette che risultava difficile persino inserirvi i bastoncini per spingere e tenersi in equilibrio. Nel buio della notte e nel rumore assordante del vento, abbiamo anche sentito il boato vicino, troppo vicino, di una valanga. Diverse cordate hanno gettato la spugna e hanno girato i tacchi per tornare a Zermatt. La cosa migliore era menare le tolle, passare veloci e trascorrere il minor tempo possibile nella tormenta. In situazioni così non c’è molto spazio neanche per i pensieri ma solo per azioni risolute. Eppure tutti noi abbiamo pensato a quei militari dell’esercito Svizzero impiantati da ore nella neve, ai posti di controllo, sotto le sferzate del vento, pronti a incoraggiarti e ad aiutarti, a toglierti le muffole dallo zaino o a indossare un piumino, a sbrigliare un nodo o a togliere le pelli. Prima di poter scendere ad Arolla c’era ancora da sciare legati nella conca glaciale, circa 300-400 metri di discesa, rimettere le pelli per un centinaio di metri, rimontare al Col del Bertol nei pressi dell’omonimo rifugio e poi giù, finalmente. Una discesa da girone infernale però, con il vento contrario che, più volte, riusciva a vincere la forza di gravità e a fermare la progressione, nonostante gli sci disposti sulla massima pendenza.

A questo punto ci si slegava per fiondarsi ad Arolla. E sentivi di rinascere. Mentre le temperature salivano e il sangue tornava a circolare con un po’ di dolore nelle mani, sapevi però che ti attendevano ancora quasi 2000 metri di salita. Qualche frase di incoraggiamento fra i compagni e la consapevolezza che il peggio era passato, certo, ma che molto ancora doveva venire dopo il “pit stop” di mezza gara. Che le forze dovevano essere dosate. Ultima sorpresa le scintille degli sci sugli innumerevoli sassi che spuntavano dal sottile strato di neve. Poi Arolla, la folla, la notizia, lo stupore: “La gara finisce qui: è caduta una valanga dopo Riedmatten. Per motivi di sicurezza l’esercito ha fermato tutto…”.

di Lorenzo Scandroglio.

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