Tra i Pilastri dell'Angelone

Ivo Ferrari tra le placche e le vie dei Pilastri dell'Angelone (Valsassina, Lecco) ci riporta e ci racconta un'arrampicata piena di bellezza e storia. Quella stessa storia che Andrea Savonitto ci ricorda in un pezzo tra passato e presente.
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Sulla prima lnghezza della via Il Vampiro
archivio Ivo Ferrari
Ragnatele di spit, chiodi e resinati, vie, varianti, incroci vari, monotiri, placche da urlo e sassi mobili, erba e alberi, verde e roccia grigia, questo è l’Angelone oggi, sicuramente non più il “parco avventura” degli anni ottanta, ma certamente il posto più frequentato per l’arrampicata classica in Valsassina, ricco di stili e pensieri diversi. Umidità alle stelle, inversione termica, caldo in quota: il primo giorno d’inverno è tutto un programma e per un amante delle salite fredde, l’ideale oggi e asciugarsi al caldo del sole dell’Angelone! Che non ci siano più gli alpinisti di una volta, mi sembra chiaro!

Oggi voglio quindi accompagnarvi, insieme a Federica, proprio nel sito d’arrampicata più famoso dell’intera Valsassina, le strutture dell’Angelone. La scelta è ampia, davvero ampia: si va dal breve tiro di venti metri alla via di 200. Ma bisogna pur scegliere e, grazie anche all’aiuto di chi questi posti li conosce bene, come Marco Lanzavecchia (Rel) e Andrea Savonitto (Gig) ho potuto “addentrarmi” nel regno dei Pilastri. La scelta è caduta su due settori ben distinti, classici e su roccia magnifica, ricchi di quella storia che rende ricchi il solo conoscerla.

Lasciata la macchina nel parcheggio (a pagamento) della funivia dei Piani di Bobbio, senza zaini pesanti sulle spalle inizia la nostra giornata non lontano da casa, una giornata di sole. Un sentiero battuto, comodo e per nulla faticoso ci porta sotto la struttura del Trittico, vero gioiello del gruppo. Qui Savonitto, Raverselli e Frizzini nel 1981 inventarono quattro brevi lunghezze su roccia perfetta! La via “Il Vampiro”. Un grappolo di rinvii e qualche cordino, scarpette comode ai piedi ed inizio a salire, i soliti primi movimenti di “conoscenza” del terreno, quelli d’obbligo per prendere fiducia, sempre e su qualunque difficoltà (che sono in grado di fare ovviamente!). È una progressione diversa, dove la scarpetta, il movimento del piede e quell’uso un po’ dimenticato dell’equilibrio, consentono di salire velocemente.

Ci sono altre persone in giro, sento le voci e qualche piccolo sasso cadere qua e là! Chissà come deve essere stato, come era negli anni della “scoperta”, quando Andrea e pochi altri salivano a loro piacimento lungo queste solide placche, protetti, a volte, più dalla “fiducia” che da reali protezioni. Chissà se io, ora, forte forse dell’esperienza del tempo che passa, sarei in grado di scalare con la “fiducia” ... meglio non pensarci molto e rinviare l’ottima protezione fissa. Federica mi segue ad ogni lunghezza, dicono che le donne siano avvantaggiate su questo tipo d’arrampicata, a volte però solo se la corda è bella in tiro! Sulla cima dello sperone prepariamo due brevi doppie e, in pochi minuti, siamo alla base del secondo gioiellino della giornata, una gran classica della zona, due sole lunghezze per un “Cavallo Bolso” datate 1980 ad opera di Galli e Silvestri.

Ora sono entrato in sintonia col paesaggio, con i movimenti e con me stesso... ma non mi basta, la roccia è talmente bella che bisogna continuare, serve altra adrenalina per eliminare le tossine accumulate in settimana! Con la guida in mano cerchiamo altre idee, basta spostarsi poco e la scelta non manca, ma convinco Federica a puntare verso la vetta, vicino all’enorme frana caduta non proprio tanto, tanto tempo fa! La via del Don e dei suoi giovani Condor, l’Anabasi al Quarto sperone, forse la linea immaginaria più famosa dell’Angelone.

“Ascesa con peregrinazione”, questo è il significato di Anabasi, che la dice lunga sull’atmosfera di ricerca che si respirava in quegli anni. Ora la logica è aiutata dai numerosi resinati, ma l’attenzione è d’obbligo, la frana, la lunghezza e la complessità della parete richiedono comunque il “sapere o pensare” che al di là dei gradi, c’è qualche cosa in più... serve qualcosa in più! I pareri su questa via sono discordanti, ma mi era piaciuta 25 anni fa e mentre osservo il Pizzo della Pieve (Parete Fasana) imbiancato d’inverno, sorrido pensando che è bella ancora. La discesa è nel bosco, comoda e veloce, girato l’angolo ci confondiamo ad altre persone colorate, rumori di rinvii che “ballano” appesi all’imbragatura, quei rumori che amo da sempre, che sento il bisogno di sentire...

Ho chiesto ad Andrea di raccontarmi, e gentilmente mi ha narrato col suo bellissimo pezzo, che molti avranno letto e che tanti devono leggere!


IL RUGGITO DEI GRILLI di Andrea Savonitto
A vent’anni ci si ritrova in compagnia dei propri grilli. C’è chi se li mette in testa e vuole questo o quell’altra. Normalmente fa la fila. Perché gli piace farla.

Sul finire degli anni settanta funzionava allo stesso modo e se arrampicavi lo facevi per fare Alpinismo. Così fan tutti, come tutti e se tutti fan così è così che si fa. Chi non poteva fregiarsi di frequentare le ragazze normalmente si annichiliva in estenuanti marce di avvicinamento verso pareti mitologiche nel senso storico, possibilmente in ombra ed avvolte nella nebbia e non li vedeva nessuno. Poi scendeva tra i mortali, diceva di aver visto Dio e qualche monachella ciellina magari gli mostrava il pelo delle ascelle.

Da qualche anno qualcuno più sfigato, e quindi con più tempo, aveva cominciato a concepire di arrampicare anche per allenarsi in vista dei cimenti estivi. Facce serie e determinate si ammucchiavano, rigorosamente di domenica, alla base delle poche vie di fondovalle attrezzate, per ripercorrerle anche più volte lo stesso inverno con le stesse tecniche ed equipaggiamenti dello sperone Walker. Se non ti alzavi prima dell’alba rischiavi di trovare davanti 15 cordate sulla TUA stessa via (che ora non fa più nessuno...) rischiando la morte ad ogni istante, per lapidazione; anche...

Quando denso esalava il sudore dai Guida Major, farciti di calzettone della nonna sotto zuavi in fustagno, velluti a coste e camicie di flanella a scacchi, la puzza diveniva insopportabile ed aromi d’alpeggio permeavano le comitive in fila sulle solite tre vie della Medale: ecco, allora, era arrivata la primavera. Passando dalla Grignetta ci si poteva portare ai monti per re-iniziare i riti estivi. In fila, e in attendamento, dove bisognava esserci, seguendo i propri sogni in testa fotocopiati dai palmares dei grandi. E’ inutile dire che ci si conosceva tutti… Gli stessi tre pullman di gente compivano la stessa migrazione stagionale come fanno gli Gnu attraverso le savane del Serengeti in Tanzania, dalle origini del mondo. Loro però anche adesso che sono decimati, sono più di un milione... di capi.

Dopo aver più volte rischiato la buccia nel rito prepuziatorio della scalata classica, con alcuni amici, ed altri, altrove (..ed allora ignoti), ciascuno vittima di allucinazioni psicopolitiche (..e varie), come succede per alcuni poveri gnu che si trovano ai bordi del branco e non sanno che cosa fare, in balia di iene e leoni, ci ritrovammo in una selva oscura. ” La retta via era smarrita!” (Questa l’ho già sentita…..boh!). In realtà erano i boschi di giovani carpini e faggi sottostanti ad un anonimo montarozzo a cui nessun alpinista vero si sarebbe mai sognato di prestare attenzione, neanche di striscio. Come cima faceva veramente pietà. Anzi non c’era proprio la cima o, se c’era, chissenefrega. Il Nome pacioso e simpatico quasi, non poteva presagire alcunché: Zucco dell’Angelone… Fulminante nella sua inutile mollezza. E così ci lasciammo fulminare, fummo fulminati e tutt’ora sprizziamo elettriciume a manetta pensando a flash scomposti in tutto quello che poi collateralmente ci è successo. Dentro e fuori di noi.

Aprimmo le nostre acerbe menti e come un esercito di grilli impazziti i nostri sogni presero la forma che volevano sparpagliandosi nei boschi alla rinfusa. Grufolando come cinghiali cercavamo i nostri tartufi. Ogni giorno un grillo ci chiamava suadente, ci mostrava le cosce e noi dimentichi di ogni alpinismo ne accettammo la sfida e le risorse. Imparammo a giocare decidendo di volta in volta regole che non avremmo mai scritto. Per una buona dose di tempo la riserva funzionò... Alla grande!

Massimo “pistolino” Sala, Frisco, “Maurello”, mia sorella, Rel, Moz, Pitti, Gaiazzi, la “finestra di Landerloof”, Roby Silvestri, il team della “Sgagnotta”, i “ Bausani” della Bovisa, presero il posto del “perfido Ivan” che dopo i primi assaggi con me sulla “ Lumaca di vetro”, ritornò raramente dedicandosi ad un altro Regno del Mistero sopra a “L’orsa Maggiore”… Capitava qualcheduno ogni tanto a spiare, ma non trovando la cima ne alcun segno di passaggio per lo più se ne tornava nel branco dove poteva agevolmente raccontare malignando di non aver visto nulla che ci fosse da vedere. Oppure incontrava uno di noi, o con noi si era lasciato condurre … Normalmente si rilassava. E ritornava. Sempre più spesso. Tra questi comparve anche il Mito: “la gognarda” in persona!

In realtà già prima di noi il Don era passato e aveva lasciato traccia, ma quando ci vide probabilmente pensò bene, di tener lontani i suoi ragazzi dell’Oratorio verticale di Baiedo, da quella tribù di devianti e dementi che aveva cominciato ad infestare l’Angelone. Non ci furono mai screzi, ognuno nei propri confini fino a che dell’inutile vernice sfregiò la fessura della via sacra: “COMA ETILICO”. La risposta non si fece attendere e così nacque “VERNICIATI IL CERVELLO” e fu,semplicemente, la fine delle ostilità. Per sempre. Troppo intenti, noi e loro, a farci i fatti nostri sul VAMPIRO o, allegoricamente, SAMBANDO.

Eravamo e siamo rimasti pacifisti anche quando ha cominciato a brillare qualche Spit… Spesso e volentieri a raddrizzare di poco salite già fatte clean. Del resto se le vie non le segni, non lasci i chiodi che non usi, non le pubblichi o, se lo fai come ho fatto io nella “storica guida” e questa non la regali a tutti anche a quelli che non sai che esistono, o che non la vogliono, non puoi pretendere che uno di suo sappia o voglia sapere e... si contenga nello spittare la tua magica via che così si rovina e gli altri non vedono i sorci verdi come li hai visti tu quando nel più puro eccelso virtuosismo l’hai aperta per primo “senza toccare l’alberello sennò non vale... Kazzo!!”… (In realtà tremavi col cagotto sotto, ma nessuno lo può dire.).

Siamo stati così bravi a non inventare regole che a un certo punto mi sono sentito in dovere di infrangerle. Ed è tutta colpa mia se poi mi hanno mangiato.

Le mitiche TEPA, quelle basse scamosciate con la V non si trovavano già più da tempo al mercato a seimila lire. L’arrampicata sportiva, aborto del Nuovo Mattino, aveva pervaso le menti del branco e voracemente ricercava nuovi e vecchi spazi, da contaminare. CONTAMINATION sortì il suo effetto. Girando un dì sulle placche baciate dal sole vidi più file di puntini di UNIPOSCA rosa: già qualcuno stava organizzando lo scempio. Che fare?? Guerra o realpolitik? Io che a torto e per presunzione “sentivo” mio l’ Angelone, mi decisi un giorno ad agire: “se qualcuno deve chiodare é meglio che lo faccia io che conosco ogni ruga ed ogni storia di queste rocce!”

Così, farneticando professionismo a go go, sproloquiai intenti progetual-grotteschi nell’ufficio del patron del Governo Politico. Senza batter ciglio dopo avermi faticosamente ascoltato il sagace CAMOZZ, motore della Comunità Montana della Valsassina, annuì e disse “la cosa s’ha da fare!!”. Così capii io. Lui più prosaicamente probabilmente discettò: “ Sta cosa sa di Affare”, ed innescò la macchina da guerra della ricerca fondi e sponsor per il più grande progetto di sviluppo “alpinistico” fino ad allora mai pensato in Lombardia. Ma le iene, come sempre, sbirciavano attente. Incontrai un calzolaio di Ballabio, che nel suo acume interpretò la voce CENTRO SERVIZI come “Toilettes” ed incautamente lo coinvolsi. Lui coinvolse un altro calzolaio, in Erba, esperto spalatore di letame. Insieme poi, dopo aver mangiato a sbafo ed essersi accomodati, nottetempo, col “bostik sotto al culo”, con armi e bagagli, tra cui un ingombro di telaio per tessere intrighi (che ‘azzo ci fa, se no, un telaio in un ufficio guide?) nel nuovo confortevole chalet misteriosamente comparso alla base del monte, mi confezionarono un ottimo paio di scarpe nuove! Con queste ogni tanto mi affaccio all’Angelone a dar da mangiare o ad accarezzare i grilli... Le trovo un po’ pesanti da portare, ma mi diverto ancora!!

Guida Alpina Andrea Savonitto
A presto, magari con chiodi e martello! Buon anno nuovo!!



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