Guide alpine, FASI e tribunali

Una riflessione a margine della sentenza di condanna in primo grado di due istruttori FASI per esercizio abusivo della professione di guida alpina.
arrampicataLa questione di chi può insegnare ad arrampicare, e dove questo sia possibile, è storia 'antica'. Ed è 'vecchia', ormai di qualche mese, anche la sentenza di primo grado del Tribunale di Milano che, accogliendo l'istanza del Collegio delle Guide alpine della Lombardia, ha condannato a due mesi di reclusione (con sospensione della pena) due istruttori di una Società sportiva milanese, affiliata alla Federazione Arrampicata Sportiva Italiana(FASI), per “esercizio abusivo della professione di Guida alpina”. Di queste questioni tra FASI, Guide alpine e il Club Alpino Italiano, ma soprattutto tra chi a vario titolo ne fa parte, si discute da sempre. E ciascuno, da sempre, con le argomentazioni più valide e con tutta la buona volontà del caso, dà la sua visione e versione della querelle.

Sull'argomento, e sui fatti giudiziari relativi, nel numero 43 della rivista Pareti è stato pubblicato un approfondito articolo, corredato di copia della sentenza e dei pareri del Presidente del Collegio Nazionale Guide Alpine, del Presidente FASI, e del Presidente dell'ICC. Anche nell'ultimo numero della rivista FASI, 'Sportarrampicata', è apparso un intervento che, tra l'altro, dà notizia dell'incontro tra i rappresentati della Federazione Italiana e delle Guide alpine. Un intervento sugli stessi temi, poi, è stato pubblicato anche su Lo Scarpone, l'organo ufficiale del CAI.

Nonostante tutto ciò, la faccenda sembra ancora lontana dall'essere non solo risolta ma anche chiarita. Tant'è che uno degli imputati e condannati in primo grado di quel processo ha fatto girare via e-mail una sorta di 'lettera aperta'. L'ha fatto, premette, perchè sente: “indispensabile raccontare i fatti per chi ha voglia di leggerli, e soprattutto per i tanti istruttori (non Guide alpine ndr) che mi hanno chiamato per manifestare solidarietà e capire come procedere con le attività della loro società sportiva”. Aldilà dei fatti raccontati, pur importanti, di questa lettera colpisce una frase: “stavamo facendo un corso secondo il regolamento FASI e il regolamento FASI è fuorilegge. Il giudice, per chiarire, aggiunge che nel momento in cui il CONI approva tale regolamento, si porta a sua volta fuori dalla legge”. E' un'affermazione forte. Com'è possibile che, almeno secondo quella sentenza di primo grado, ci sia un Regolamento della FASI che permette ciò che la Legge non consente? Come per tutte le cose complicate, e questa sicuramente lo è, per affrontare i termini del discorso occorre fare un po' di ordine. E per farlo non c'è altra strada se non quella di leggere la normativa in materia, cosa tediosa ma fondamentale. Va detto, e deve essere chiaro fin dall'inizio, che con questo non si pretende certo di dare un'interpretazione definitiva e autentica alla complessa faccenda, ma solo di contribuire al dibattito. Bene, ora cominciamo con il nostro viaggio.

Come molti sanno la Legge di cui si parla, quella che è alla base del contendere, è la n° 6 del 2 gennaio 1989 che stabilisce i principi fondamentali per le legislazioni regionali in materia di ordinamento della professione di guida alpina. L'art. 2 di questa norma al comma 1 recita: <>. Inoltre al comma 2 dello stesso articolo si precisa: <>.

Ora, precisato che l'articolo 3 riguarda le limitazioni per l' “aspirante guida” mentre l'art. 21 si riferisce alle competenze della particolare figura dell' “accompagnatore di media montagna”, non sembrano esserci dubbi: le guide alpine sono le uniche che, a titolo “professionale”, possono esercitare tutte quelle attività elencate dalla legge (che sintetizziamo per intenderci in “alpinistiche”) o che comunque rendano necessarie “tecniche alpinistiche”. Ovvero: sono le uniche che possono svolgere a titolo (ripetiamo) “professionale” l'insegnamento o l'accompagnamento di persone per le stesse attività.
Resta da precisare, prima di proseguire, che oltre agli “accompagnatori di media montagna” la Legge 6/89 prevede anche un'altra “deroga”, infatti l'art. 20 stabilisce che: <>.

E' interessante notare, a questo punto, che a parte le “eccezioni” del CAI e degli “accompagnatori di media montagna” la Legge 6/89 nulla dice né della Federazione Arrampicata Sportiva Italiana, né dei suoi istruttori, né tantomeno contempla l'arrampicata sportiva come attività a sé stante e diversa dal resto delle altre attività alpinistiche. D'altra parte come avrebbe potuto il legislatore tener conto di tutto ciò, visto che il primo atto costitutivo della FASI risale sì al 15/05/1987, ma che il suo riconoscimento da parte del CONI, come Federazione affiliata, è del 20/09/1990, quindi in data successiva all'entrata in vigore della Legge stessa?

Ma veniamo al Regolamento FASI citato come “fuorilegge”, cioè quello che consentirebbe agli istruttori della Federazione di insegnare l'arrampicata ai propri tesserati anche sulla roccia, con alcune importanti limitazioni di cui diremo. Beh, questo Regolamento come tale non esiste. Esiste invece uno Statuto FASI (scaricabile sul sito della Federazione www.federclimb.it) che all'articolo 1 dà la seguente definizione: <>. Tralasciamo pure che rispetto al testo valutato per la sentenza di primo grado dopo “Arrampicata sportiva” sia stato aggiunto: “praticata sulla roccia, sul ghiaccio e sulle strutture artificiali”. Quello che importa per il nostro discorso è che un regolamento specifico sulle competenze degli istruttori FASI sulla roccia non c'è.
Infatti, ciò che è stato prodotto e considerato in Tribunale per la sentenza di cui stiamo trattando è, invece, una pubblicazione della FASI dal titolo “Appunti tecnici” - fascicolo I - II edizione 1997 “Nozione e tecnica di base per un corso di arrampicata sportiva” - dalla quale il giudice ha ricavato, tra l'altro, la definizione di arrampicata sportiva.

In sostanza quel che c'è e che c'era da parte della Federazione (come risulta a chi ha partecipato ai corsi istruttori FASI) è un'indicazione verbale che si può così sintetizzare: le Società FASI servendosi dei propri istruttori societari o di quelli federali possono svolgere attività di insegnamento dell'arrampicata su roccia, purché: ci si limiti al “monotiro” controllato dalla base, il “corso” sia rivolto ai tesserati FASI e il tutto non abbia scopo di lucro (sia per la società sia per l'istruttore) ergo non abbia carattere di attività professionale. Va detto che in questo quadro si contemplano come ammissibili eventuali rimborsi delle spese vive sostenute con modalità e limiti previsti dalla normativa in materia.

Queste indicazioni si basavano su un'interpretazione della Legge 6/89 incentrata su quel termine “professionale” che, come abbiamo visto, nella stessa norma accompagna la competenza esclusiva delle Guide alpine. Se era pacifico, infatti, che solo le Guide alpine potessero, e possano, esercitare quest'attività a livello di professione, sembrava altrettanto scontato d'altra parte che le società FASI, con i loro istruttori, potessero svolgere l'insegnamento dell'arrampicata anche su roccia, entro i limiti già detti e senza scopo di lucro. Questa interpretazione, per la verità, non era esente da rimostranze di singole Guide alpine o dei loro Collegi nazionali e regionali che, dal loro punto di vista, davano e danno tuttora altre interpretazioni della faccenda.

Per anni la storia è andata avanti così, senza che succedesse nulla di sostanziale, fino alla sentenza del Giudice di Milano che, per certi versi, ha messo il dito nella piaga, andando anche aldilà di quelli che erano i termini della questione. Il giudice, infatti, motivando la sentenza non dà alcuna rilevanza all'aspetto “professionale” o non “professionale” del corso FASI oggetto della denuncia. Mentre, con riferimento alla Legge 6/86, afferma senza dubbio alcuno che: “(omissis … per l'aspetto didattico (laddove esercitato in ambiente naturale), gli imputati avrebbero semplicemente dovuto munirsi della qualifica di guida alpina, e prima ancora, della formazione ad essa connessa. Percorso che, invece, hanno fermamente ritenuto di non voler intraprendere”. Ma non basta, la sentenza sembra affermare un'esclusiva totale sull'accompagnamento in montagna da parte delle guide alpine, fatta salva la figura intermedia dell'accompagnatore di montagna, dimenticando però del tutto la figura del CAI.

A questo punto è giusto dire che si può anche non essere d'accordo con il Giudice. E va precisato anche che si tratta di una sentenza di primo grado per la quale (va sottolineato) il PM - cioè il magistrato che nel procedimento sostiene la Pubblica accusa - aveva chiesto: “l'assoluzione di entrambi gli imputati dal reato loro contestato perché il fatto non sussiste”. E ancora: tutto può essere ribaltato con la sentenza d'Appello che, tra pochi mesi, come nel gioco dell'oca potrebbe far tornare le pedine all'inizio della storia.
Resta il fatto, però, che questa sentenza, giusta o no, che piaccia o no, ha fatto luce su alcune cose che sarebbe sbagliato sottovalutare. Prima fra tutte: l'assenza nella normativa, in generale, e in quella relativa alla figura delle Guide alpine, in particolare, di riferimenti alla FASI e ai suoi istruttori. Secondariamente: la mancanza nella stessa normativa di riferimenti, e quindi di distinguo, tra arrampicata sportiva (falesia, monotiro ecc.) e attività alpinistica. Si badi bene: non stiamo dicendo che la differenza non ci sia - conosciamo tutti come siano distanti i due mondi dell'arrampicata sportiva, intesa come monotiro, e l'alpinismo - stiamo dicendo che nella normativa non si fa alcun cenno alla stessa e perciò il giudice è portato, se non tenuto, a non considerarla.

Detto ciò, torniamo all'inizio. Torniamo all'affermazione della lettera e alla domanda implicita su come devono atteggiarsi le società FASI e i relativi istruttori per quanto riguarda la loro attività d'istruzione sulla roccia. Questa sentenza, dicevamo, ha chiarito, qualora ce ne fosse stato bisogno, che: né la Legge 6/89 né altra normativa statale fa specificatamente riferimento né alla FASI né ai suoi istruttori. Se a questo si aggiunge, come del resto ribadisce la stessa sentenza, che nessun regolamento di una Federazione ancorché ratificato dal CONI può superare, e tanto meno essere in contrasto, con una Legge dello Stato, il 'gioco' è fatto. Questa è la realtà. E tale rimarrà (ripetiamo ancora: aldilà dell'esito del processo d'appello) finché non si cambierà la Legge o s'introdurrà altra norma che specifichi gli ambiti della Federazione, come del resto avviene per altri Sport e come del resto è stato fatto per il CAI nella Legge 6/89.

In mancanza di tutto ciò, per attività di insegnamento su roccia (e senza la presenza di una guida alpina) il rischio di una denuncia, per quanto sia remoto o si voglia credere tale, c'è e continuerà ad esistere. Gli istruttori della FASI (ma aggiungeremmo anche quelli che operano con la UISP) devono saperlo! Questo aldilà della posizione di chi sostiene che ai fini dell'arrampicata sportiva agonistica - aspetto sicuramente prioritario per la Federazione - possa bastare la sola arrampicata indoor.

Poi, resta condivisibile gran parte di quello che è stato scritto negli articoli cui si accennava all'inizio. Insomma: occorre, come si dice da tempo, che Guide alpine, FASI ma anche CAI e CONI discutano di questa materia, e trovino un punto d'incontro. Ed è auspicabile anche che per l'arrampicata sportiva sia creata una figura “professionale” intermedia (magari in collaborazione tra guide alpine e FASI) partendo proprio da quella lontana esperienza fatta in seno alle guide con i “maestri d'arrampicata”. Del resto è quello che succede in Francia. Questo andrebbe sicuramente a beneficio di tutti: perché è fin troppo evidente che le Guide alpine o non ci sono (come al sud), o quantomeno non bastano per soddisfare tutta la domanda. Com'è evidente che l'entrata in campo di forze diverse, ovviamente con competenze diverse e nel rispetto delle singole autonomie e scopi, servirebbero ad ampliare il movimento dell'arrampicata con ricadute positive su tutti. Senza contare che molti istruttori della FASI sono anche guide alpine. D'altronde sia la FASI sia le guide alpine sembra stiano impegnandosi proprio in questa direzione. Ma è inutile nascondersi che la strada è lunga, difficile e per niente… sicura. Nel frattempo, senza voler fare inutile “terrorismo”, per gli istruttori della FASI sarà bene aver presente quanto di “aleatorio” e poco “garantito” può esserci nella loro attività di insegnamento sulla roccia, anche nel rispetto di tutti i sacrosanti principi della Federazione Arrampicata Sportiva Italiana.

di Vinicio Stefanello

approfondimenti
Lettera aperta
Articolo apparso sulla Rivista Pareti n° 43 a firma ADG
Legge quadro Guide alpine - Legge 6/89
Statuto FASI e altri regolamenti sul sito della FASI
Andrea Gennari Daneri su pareti.it
Sportarrampicata 2005

foto Loris Marin


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